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Mammografia. Il 30% delle donne non ha mai svolto l’esame. Bene al Nord, ma al Sud resta ancora parecchio da fare. Al via la campagna Pink is good


La nuova campagna nazionale della Fondazione Veronesi è stata presentata oggi a Milano. Per la prima volta, partecipano all’iniziativa le società scientifiche più coinvolte nella gestione della salute delle donne: Aiom, Sigo, Simg e Ons. Veronesi: “Dobbiamo favorire la partecipazione a questi controlli salvavita che sono sicuri, poco invasivi e gratuiti”.

22 SET - Il 30% delle donne italiane, d’età compresa fra i 50 e i 69 anni, non ha mai eseguito una mammografia pur avendo diritto a ricevere dalla propria Regione l’invito gratuito a eseguire il test. Per incentivare l’organizzazione dell’esame da parte delle istituzioni competenti e favorire la partecipazione ai programmi di screening parte oggi Pink is Good - Prevenzione Seno: obiettivo 100%, la nuova edizione della campagna nazionale della Fondazione Veronesi, presentata oggi in un incontro coi giornalisti a Milano. Per la prima volta, partecipano all’iniziativa le società scientifiche più coinvolte nella gestione della salute delle donne: l’Aiom (l’Associazione Italiana di Oncologia Medica), la Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia (Sigo), la Società Italiana di Medicina Generale (Simg) e l’Osservatorio Nazionale Screening (Ons).
 
“Con la mammografia possiamo sconfiggere il carcinoma mammario – afferma Umberto Veronesi -. Se la malattia viene identificata nelle fasi iniziali e adeguatamente curata la sopravvivenza può arrivare fino al 98%. Ecco perché la prevenzione è un’arma così importante per tutte le donne. Si tratta poi di un esame sicuro e poco invasivo per il corpo femminile. Negli ultimi tre anni abbiamo avuto il 2% in più di adesioni ai programmi di screening organizzati sul territorio nazionale. E’ un dato incoraggiante, ma ancora insufficiente. Pigrizia, paura o noncuranza del pericolo spingono ancora troppe italiane a non svolgere i controlli. Il nostro compito oggi è invitarle ad essere più attente, a prendere coscienza di quanto la loro salute dipenda principalmente da una doverosa e consapevole “attenzione personale”.
 
“Solo il 70% delle donne ha svolto una mammografia negli ultimi due anni - dice Marco Zappa, direttore dell’Osservatorio Nazionale Screening -. Di queste il 57% ha aderito allo screening ma con forti differenze percentuali tra i vari territori. Si va dal 76% registrato nella provincia di Trento al 20% di Campania e 26% della Calabria. Dobbiamo invece, in tutta Italia, aumentare la partecipazione al test che, ricordiamo, è garantito gratuitamente ogni 24 mesi a tutte le donne dai 50 ai 69 anni”.

Il problema da risolvere non è solo quello di convincere tutte le donne che ricevono l’invito ad accoglierlo e fare il test. “C’è anche una marcata differenza di copertura fra il Centro-Nord e il Sud – prosegue Zappa -. Ovvero, in pratica, molte più abitanti delle regioni centrosettentrionali ricevono l’invito a fare gratis i test che permettono di scoprire precocemente l’eventuale presenza di un tumore (e di salvarsi la vita), mentre al Sud troppo spesso accade che le Regioni non si organizzino e l’invito a casa non arriva”.
 
Lo screening è un servizio compreso nei Livelli essenziali di assistenza, cioè nelle prestazioni sanitarie che spettano a tutti i cittadini indipendentemente dalla regione di residenza. Ad oggi, tutte le donne dopo i 50 anni e prima dei 70, ogni due anni, dovrebbero ricevere la chiamata a effettuare una mammografia. Guardando i dati più recenti dell’Ons nel dettaglio si nota che circa 3 donne su 4 della popolazione target sono regolarmente invitate a fare la mammografia, ma permane una grande e purtroppo immutata differenza fra Nord (più di 9 donne su 10), Centro (più di 8 su 10) e Sud (solo 4 su 10).
“Questo è il 'minimo sindacale' che andrebbe garantito a tutti - aggiunge Zappa -. Ci sono poi regioni che hanno già esteso le fasce d’età, coinvolgendo nello screening anche persone più giovani o più anziane”.
 
Per raggiungere l’obiettivo del 100% di adesione la Fondazione Veronesi nelle prossime settimane distribuirà materiale informativo in tutti gli ospedali italiani, ASL, consultori e ambulatori di ginecologi e medici di famiglia.  “Oggi nel nostro Paese il tumore del seno fa meno paura e ben otto pazienti su dieci riescono a sconfiggerlo - sottolinea Carmine Pinto, presidente nazionale Aiom -. La ricerca medico-scientifica ha portato a terapie sempre più efficaci e “personalizzate”. E poi c’è l’indubbio ruolo della diagnosi precoce. La mammografia è il più importante strumento con il quale possiamo individuare la neoplasia. Grazie al test la grande maggioranza dei carcinomi accertati ha dimensioni inferiori ai due centimetri. Così possiamo intervenire subito e con la massima efficacia possibile”.
 
Fondamentale per la prevenzione del cancro del seno è anche il ruolo del ginecologo. “Siamo i migliori alleati del benessere femminile e seguiamo una donna dal menarca fino alla terza età - afferma Paolo Scollo, presidente nazionale Sigo-. I ginecologi dovrebbero sempre insegnare alle loro pazienti come fare l’autopalpazione del seno e durante la visita ginecologica è buona norma che il medico svolga un controllo approfondito anche del seno. Capita così che molte volte siamo noi a individuare noduli alla mammella e ad indirizzare la paziente da un senologo o un medico oncologo. E troppo spesso siamo costretti a spronare le nostre assistite a sottoporsi regolarmente ai programmi di screening. Purtroppo a volte un esame non svolto può comportare una diagnosi peggiore poco tempo dopo”.
 
I programmi di prevenzione organizzati sul territorio sono rivolti anche alle donne di origine straniera diventate cittadine italiane, ma fra le immigrate i tassi di adesione agli screening sono ancora critici. “Solo il 43% di loro si sottopone alla mammografia - aggiunge Claudio Cricelli, presidente nazionale Simg-. Le differenze culturali, prima fra tutte la lingua, non favoriscono il ricorso agli esami preventivi. L’integrazione degli stranieri nel nostro sistema nazionale di prevenzione del cancro deve cominciare proprio negli ambulatori dei medici di famiglia. E’ molto più facile che sia una donna a venire da noi rispetto ad un uomo. Siamo molte volte gli unici camici bianchi che vedono, visitano o semplicemente parlano con loro. Dobbiamo convincere anche loro a partecipare ai programmi di screening”. 

22 settembre 2015
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