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Sindrome da crepacuore. Una patologia non benigna come ritenuto finora: simile all’infarto il tasso di mortalità


Cardiologi dell’Università Cattolica – Policlinico A. Gemelli di Roma in prima fila tra gli autori dello studio mondiale sulla sindrome di takotsubo pubblicato sul New England Journal of Medicine. Messi a fuoco i caratteri dell’insidiosa malattia. Lo studio apre la strada a terapie più appropriate per curarla.

28 SET - Ricercatori dell’Istituto di Cardiologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – Policlinico A. Gemelli di Roma hanno scoperto che la sindrome da crepacuore, nota come sindrome di takotsubo (oppure cardiomiopatia da stress), non è purtroppo una patologia benigna come ritenuto finora, ma può arrivare a tassi di mortalità simili a quelli dei pazienti ricoverati in ospedale per infarto (5%). La scoperta è frutto di uno studio senza precedenti appena pubblicato sul New England Journal of Medicine.
 
Lo studio è frutto di una collaborazione internazionale e per l’Italia ha coinvolto un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore guidato da Filippo Crea, direttore del Dipartimento di Scienze Cardiovascolari del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma, e da Leda Galiuto, professore aggregato alla Cattolica e cardiologa presso lo stesso Dipartimento di Scienze Cardiovascolari. Numerose e importanti le università e i centri internazionali coinvolti nello studio tra cui la Mayo Clinic di Rochester, l’Università di Zurigo e l’Oxford University.
 
“Le alterazioni del microcircolo coronarico hanno un ruolo fondamentale in molte malattie cardiovascolari ed in particolare, come da noi recentemente dimostrato, nella sindrome di takostsubo”, spiega Crea. Queste conoscenze diventano particolarmente importanti alla luce dello studio appena pubblicato sul New England perché consentono di identificare nuovi bersagli terapeutici per una sindrome che non è così benigna come ritenuto in precedenza.
 
Quello pubblicato è il primo studio internazionale sulla sindrome di takotsubo (International Takotsubo Registry Intertak) e ha coinvolto complessivamente 26 centri di 9 Paesi tra Europa e USA. Sono stati studiati 1750 pazienti con sindrome di takotsubo. L' obiettivo della ricerca è stato di caratterizzare clinicamente questi pazienti e comprenderne l'evoluzione clinica, nonché valutare i risultati della terapia oggi in uso. “La raccolta dati - chiarisce la cardiologa Galiuto - è stata eseguita dagli specialisti del Dipartimento di Cardiologia dell’Università di Zurigo. La sindrome da crepacuore colpisce soprattutto le donne (in questo studio in rapporto 9:1) e prevalentemente dopo uno stress emotivo, tipicamente un lutto (nel 30% dei casi), o fisico come un intervento chirurgico (nel 36%). La sindrome di takotsubo si associa a malattia neurologica o psichiatrica nella metà dei casi, ovvero si presenta spesso in associazione a disturbi psichiatrici come la depressione”.
 
La sindrome si manifesta come un infarto, con sintomi quali dolore al petto o affanno improvviso, si associa ad alterazioni dell'elettrocardiogramma, ma al momento della coronarografia d'urgenza, eseguita nel sospetto di infarto miocardico, le coronarie risultano sorprendentemente normali, senza stenosi (restringimento). Il cuore, però, mostra una alterazione della forma, che diventa a palloncino, a simulare appunto il vaso (tsubo) che usano i giapponesi per raccogliere i polipi (tako). “Il precedente studio realizzato al Policlinico Gemelli, pubblicato sull’European Heart Journal nel 2010, ha chiarito la fisiopatologia di questa sindrome caratterizzata da costrizione reversibile dei piccoli vasi del cuore”, ricorda Galiuto.

“Oggi - prosegue la cardiologa - questo studio multicentrico approdato su NEJM chiarisce che, nonostante le disfunzioni microvascolare e miocardica, tipiche della sindrome da crepacuore, siano reversibili la prognosi per questi pazienti è simile a quella dei pazienti con infarto, cioè, con possibilità di shock cardiogeno (una condizione grave nella quale il cuore non pompa sufficiente sangue all’organismo) nel 12% dei casi e di morte nel 5% dei casi”.

“Dunque, la sindrome di takotsubo - il cui meccanismo è stato chiarito dal team di ricercatori coordinati dal professor Crea, dando impulso al fiorire della ricerca in questo settore - non è affatto una malattia benigna; pertanto devono essere perseguiti tutti gli sforzi atti a migliore la comprensione delle cause e a una più puntuale scelta terapeutica”, concludono gli autori Crea e Galiuto. Alla luce di questo studio risulta senz’altro opportuno prestare molta attenzione alla gestione clinica di queste pazienti nella fase acuta della patologia e nel follow up, proprio perché i tassi di mortalità sono paragonabili a quelli dell’infarto. Questo studio stimola inoltre la ricerca delle cause della sindrome di Takotsubo per identificare nuovi e più efficaci bersagli terapeutici. 

28 settembre 2015
© Riproduzione riservata

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