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European AIDS Conference/2. L'obiettivo è eliminare completamente la carica virale del paziente entro il 2020. Ma l'Europa sarà in grado di farlo?

di Marzia Caposio

Diagnosi precoce, efficacia dielle terapie, abbattimento della carica virale. Questi i punti chiave da raggiungere entro in 2020 secondo il Programma Nazionale delle Nazioni Unite per l’AIDS/HIV (UNAIDS). L’Europa potrebbe farcela, ma nella parte orientale la situazione è drammatica.

22 OTT - Sopprimere completamente la carica virale dal malato entro 4 anni e poco più da oggi è un obiettivo ambizioso, ma se si riuscisse a raggiungere significherebbe arrivare al 2030 con buonissime probabilità di eradicare completamente la malattia. L’obiettivo UNAIDS, il Programma delle Nazioni Unite per l'AIDS/HIV (dall'inglese Joint United Nations Programme on HIV and AIDS -UNAIDS) 90- 90- 90 è quello di effettuare il 90% delle dignosi precoci, di riuscire a trattare il 90% di questi pazienti diagnosticati e di questi nel 90% dei casi sopprimere completamente la carica virale. Il tutto entro il 2020. Ad annunciarlo è Michel Kazatchkine, Segretario Generale delle Nazioni Unite inviato speciale per l’HIV/AIDS in Europa e Asia intervenuto ad una sessione della 15° Conferenza Europea sull’AIDS in corso a Barcellona.

“Non c’è una sola Europa”, ha detto il Segretario, ce ne sono tre “Europa orientale, Europa centrale e Europa occidentale, con diverse epidemie, diverse risposte e diversi livelli di successo”. In Europa orientale, la diffusione del virus continua a crescere, trainata in gran parte da persone che fanno uso di droghe. Ma “si fa sempre più largo anche tra le persone eterosessuali, tramite la trasmissione sessuale”, avverte Kazatchkine. Per “questa Europa” quindi, le possibilità di raggiungere l’obiettivo UNAIDS sono putroppo scarse. L’accesso ai servizi di prevenzione rimane ancora basso e la riduzione del danno molto limitata. In Europa centrale, l’incidenza dell’HIV è in graduale aumento, ma rimane circoscritta agli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini e alle persone che fanno uso di droghe, ma “non vi è una vera e propria volontà da parte dei governi di investire su questi gruppi di persone più vulnerabili”, precisa Kasatchkine.

La riduzione dei servizi di prevenzione ha un impatto fortissimo sulla malattia stessa. Anche se l’Europa occidentale sembra avere le carte in regola per rispondere in modo positivo all’obiettivo 90-90-90, il numero complessivo di nuove infezioni è rimasto stabile negli ultimi dieci anni. Nonostante la copertura sanitaria, l’ottima cura del virus e gli alti livelli di sostegno sociale, nel corso degli ultimi 10-15 anni sono aumentate le infezioni tra gli uomini che hanno rapporti sessuali con altri uomini. “Per questo motivo servono ulteriori sforzi, ma sia per l’Europa centrale che per l’Europa occidentale sarà possibile raggiungere l’obiettivo entro il 2020”, sottolinea il Segretario.

Fondamentale sarà guardare con più attenzione agli anelli deboli della catena preventiva. “Manca ancora un programma mirato che comprenda le popolazioni di migranti provenienti da Paesi in cui il virus è molto diffuso e che spesso non hanno accesso facile alle cure”, prosegue Kazatchkine. “Al momento il numero di nuove diagnosi di HIV in molti Paesi dell'Europa orientale continua a superare il numero di persone che iniziano il trattamento ogni anno, il che significa che il gap di trattamento è in crescita, non è in calo. In questo senso le attuali linee guida non aiuatano perché limitano il trattamento alle persone con numero di cellule CD4 inferiori a 350”, precisa il Segretario. Anche la diagnosi precoce deve essere migliorata. In Europa orientale la copertura sulla malattia arriva a circa il 35% rispetto alla media globale che attesta intorno al 60%. "Le persone sono molto restie a recarsi presso i servizi a causa della stigmatizzazione e della discriminazione e questi preconcetti devono necessariamente cambiare”, conclude Kazatchkine.

Marzia Caposio
 

22 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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