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Farmaci. Agli Usa piace il “prezzo di riferimento all’italiana”


Un articolo del New York Times, ripreso oggi dal sito web dell’Aifa, è dedicato ai cambiamenti degli scenari globali della sanità. L’Europa, e in particolare l’Italia, viene portata come esempio virtuoso per la sua politica di contenimento dei prezzi dei farmaci, applicata nel rispetto del valore dell’innovatività terapeutica.

30 OTT - Non è la prima volta che dagli Stati Uniti si guarda ai modelli del Vecchio Continente per trovare proposte per garantire la sostenibilità economica dei sistemi sanitari e contemporaneamente salvaguardare la salute dei pazienti e il loro accesso alle cure. Sul sito del The New York Times, nella sezione che appunto porta il titolo “The New Health Care” dedicata alle inchieste sui cambiamenti degli scenari globali della sanità, l’Europa - e in particolare l’Italia - viene portata come esempio virtuoso per la sua politica di contenimento dei prezzi dei farmaci, applicata nel rispetto del valore dell’innovatività terapeutica.
 
Negli USA, infatti, il dibattito attualmente si concentra sulle strategie per ridurre il costo dei medicinali (di gran lunga più alti rispetto ai Paesi Europei), senza minare la possibilità di premiarne il grado di innovazione e dunque inibirne l’eventuale sviluppo futuro. L’autore dell’articolo riflette innanzi tutto sul concetto stesso di innovazione: non tutti i farmaci apportano benefici decisamente considerevoli; molti infatti ne procurano di marginali, ma a costi – negli USA – davvero elevati. La soluzione potrebbe essere quella di adottare il sistema del “prezzo di riferimento” – propone e spiega l’esperto di economia sanitaria - applicato a raggruppamenti di farmaci terapeuticamente assimilabili. Approccio adottato in Italia, così come in Germania e in Spagna, che consente una riduzione media del costo dei medicinali tra il 7 e il 24%.
 
Vale la pena ripercorrere gli esempi riportati nell’articolo per illustrare il meccanismo. I farmaci vengono raggruppati in classi che presentano effetti terapeutici simili: tutti quelli a base di ibuprofene, ad esempio, appartengono alla stessa classe, nella quale rientrano anche altri farmaci antinfiammatori non steroidei, laddove terapeuticamente assimilabili. Nella proposta dell’economista statunitense le compagnie assicurative potrebbero individuare un prezzo di rimborso di riferimento per ciascuna classe di farmaci e, se le aziende fissassero un prezzo superiore, l’eventuale differenza di quanto non rimborsato dalle polizze sanitarie sarebbe a carico del paziente. Esattamente ciò che accade in Italia da molti anni con le liste di trasparenza per i farmaci a brevetto scaduto. O ancora, a quanto applicato nella recente rideterminazione dei nuovi prezzi di rimborso a carico del Servizio Sanitario Nazionale che ha individuato, appunto, raggruppamenti di farmaci terapeuticamente assimilabili per le relative procedure negoziali con le Aziende.
 
Definire un prezzo di riferimento, commenta sempre l’autore, consente di indurre le aziende farmaceutiche a diminuire i costi di quei medicinali per i quali esistono valide alternative terapeutiche, perché nel caso in cui esse non riducessero gli importi dei loro prodotti, i pazienti potrebbero semplicemente optare per quelli meno costosi e quindi rimborsati totalmente. In Italia il prezzo di riferimento viene stabilito in base a quello più basso per ciascuna classe di farmaci; in Germania è impostato su una media fra tutti i medicinali della stessa classe; mentre in Spagna viene individuato sempre facendo una media, ma tra i prodotti con i prezzi più bassi che costituiscono almeno il 20% del mercato della classe dei farmaci in questione.
 
Il principio del prezzo di riferimento premia il valore del rapporto costo/efficacia positivo di quei farmaci che costituiscono davvero una risposta innovativa, commenta l’autore dell’articolo. Il tema è quindi tutto incentrato sulla corretta definizione di innovatività terapeutica che va misurata in termini di effettiva salute prodotta. Nel testo del quotidiano newyorkese si fa l’esempio di un farmaco antitumorale la cui efficacia è differente in base alla tipologia di cancro per il quale è impiegato: l’aspettativa di vita dei pazienti in trattamento con il medicinale varia di molte settimane a seconda di quale tumore esso vada a curare e non è razionale quindi che il medicinale abbia lo stesso costo, sia che prometta di allungare la vita di un malato di tre mesi oppure di una sola settimana.
 
Si tratta di un tema molto caldo negli USA, che riguarda non solo i farmaci con obbligo di prescrizione o quelli inseriti nei programmi di assistenza sanitaria pubblica (come Medicare), ma molte altre tipologie di medicinali dove la parola d’ordine è promuovere l’innovazione “intelligente”, che quantifichi cioè non il prodotto in sé, ma il suo prodotto finale, ovvero la salute generata.
 
Fonte: tratto dal sito web dell’Aifa

30 ottobre 2015
© Riproduzione riservata

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