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I dolci e la dieta. Eliminarli del tutto non è un bene


Diete eccessivamente restrittive possono provocare squilibri nutrizionali e disturbi del comportamento alimentare. In Italia, i livelli medi di consumo degli zuccheri da parte della popolazione italiana non sembrano motivo di allarme, mantenendosi entro i limiti indicati dalle linee guida più recenti dell'Oms.

11 NOV - Il senso del gusto è di fondamentale importanza nella vita degli animali e degli esseri umani, perché orienta la scelta degli alimenti e influenza le quantità consumate. Il gusto dolce, in particolare, permette di identificare alimenti ricchi di nutrienti energetici: da un punto di vista evolutivo la preferenza per la dolcezza è una sorta di gusto di sicurezza, motivata dal fatto che il sapore dolce indica una fonte di energia (come i carboidrati) con un alto livello di sicurezza per l'organismo. L’importanza della preferenza innata del gusto dolce, tuttavia, viene spesso dimenticata nell’ambito del dibattito sugli zuccheri, indicati tra i nutrienti responsabili dell’incremento di sovrappeso e di obesità. Un dibattito sempre aperto anche a livello della comunità scientifica, come dimostra la discordante letteratura scientifica e il recente aggiornamento delle linee guida dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) sull’assunzione di zucchero, i cui risultati sono stati pubblicati di recente.

In questo scenario NFI - Nutrition Foundation of Italy ha promosso oggi presso la propria sede un confronto sull’argomento, che ha coinvolto Andrea Poli, Presidente, NFI - Nutrition Foundation of Italy, Franca Marangoni, Responsabile Ricerca NFI - Nutrition Foundation of Italy, Gian Luca Castelnuovo, professore associato di Psicologia Clinica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e clinico-ricercatore presso l'Ospedale San Giuseppe dell'IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Carlo La Vecchia, Epidemiologo del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità dell’Università degli Studi di Milano e Ilenia Grandone, Medico specialista in Scienza dell'Alimentazione presso il Dipartimento di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione clinica dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni.

“La ricerca scientifica ha dimostrato che diete eccessivamente restrittive possono provocare squilibri nutrizionali e disturbi del comportamento alimentare. I tentativi di controllare il proprio peso tramite l'esclusione selettiva di vari alimenti considerati pericolosi, sono spesso inutili in quanto tali alimenti, per il fatto stesso di essere proibiti, possono diventare irresistibili conducendo le persone a cadere nell'abuso, ha affermato Gianluca Castelnuovo, professore associato di Psicologia Clinica all’Università Cattolica del Sacro Cuore e clinico-ricercatore presso l'Ospedale San Giuseppe dell'IRCCS Istituto Auxologico Italiano. - Questo vale in particolare per il gusto dolce, che riscontra un elevato indice di gradimento già nei neonati, i quali reagiscono con una espressione facciale di tranquillità e soddisfazione ad una soluzione diluita di zucchero. Un recente studio osservazionale condotto dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di Los Angeles (California, USA), pubblicato sulla rivista Appetite, evidenzia come in 2.379 donne di 18-19 anni vi era l'utilizzo del cosiddetto “comfort food” in situazioni di rabbia, noia, stress, preoccupazione ed altre emozioni negative. Nell'articolo si conferma che la percezione dello stress in relazione a situazioni critiche risultava minore in chi aveva utilizzato il "comfort food". Dunque nessuna demonizzazione di fronte allo zucchero ed ai relativi cibi che lo contengono, anche se è importante favorire le capacità di gestire al meglio gli eventi stressanti senza ricorrere necessariamente o esclusivamente al cibo”.

Andrea Poli, Presidente NFI - Nutrition Foundation of Italy, è intervenuto facendo il punto sulla revisione dell’OMS sui consumi ottimali di zucchero: “Nella recente revisione delle linee guida sugli zuccheri da parte dell’OMS, si raccomanda di limitare il consumo di zuccheri al di sotto del 10% delle calorie totali giornaliere, suggerendo che un’ulteriore riduzione al 5% potrebbe comportare ulteriori benefici per la salute. Senza dubbio alla base di questa revisione c’è anche la condivisibile idea che livelli elevati di assunzione di zuccheri siano associati ad una cattiva qualità della dieta. Tuttavia, c’è qualche perplessità della comunità scientifica su questa decisione. Da un lato, queste linee guida sembrano focalizzare l’attenzione su un unico componente dell’alimentazione: si corre così il rischio di perdere di vista l’apporto calorico totale o, peggio ancora, lo stile di vita nel suo complesso. Dall’altro lato, correttamente interpretate, queste linee guida confermano che il consumo moderato è perfettamente compatibile con un’alimentazione corretta e bilanciata”.

In Italia, i livelli medi di consumo degli zuccheri da parte della popolazione italiana non sembrano motivo di allarme, mantenendosi entro i limiti indicati dalle linee guida più recenti. Lo ha ricordato Franca Marangoni, Responsabile Ricerca NFI - Nutrition Foundation of Italy: “Bisogna innanzitutto conoscere i reali comportamenti della popolazione in modo da poter programmare interventi di prevenzione efficaci. Gli studi disponibili (principalmente INRAN-SCAI 2005-2006 e EPIC) riportano livelli di assunzione di zuccheri totali (cioè da cibi e bevande dolci, frutta e latte) in Italia piuttosto contenuti, al di sotto sia della soglia limite indicata come accettabile dai recenti LARN, che suggeriscono, per gli zuccheri solubili, un apporto che non superi il 15% delle calorie giornaliere, e sia della media europea. A questo proposito vale la pena sottolineare che nel nostro paese più che negli altri 9 partecipanti allo studio EPIC, un contributo importante alla quota giornaliera di zuccheri viene dalla frutta”.

Dal dibattito è emerso come nel caso in cui ci sia la necessità di gestire in maniera efficace l’apporto calorico, sostituire lo zucchero con un dolcificante a basso potere calorico può essere un’efficace strategia, senza nessun problema a livello di sicurezza per la salute. “La sicurezza dei dolcificanti non calorici è oggetto di un ampio dibattito iniziato negli anni Settanta - ha precisato il dottor Carlo La Vecchia, Epidemiologo del Dipartimento di Scienze Cliniche e di Comunità Università degli Studi di Milano - Negli anni sono state raccolte solide evidenze epidemiologiche che consentono di escludere un’associazione tra dolcificanti non calorici e il rischio di diverse neoplasie comuni. Inoltre, dati Americani e Nord Europei consentono di escludere un ruolo specifico dei dolcificanti su basso peso alla nascita e altre patologie della gravidanza. Un articolo pubblicato da me insieme alla tossicologa Marina Marinovich nel 2013, dal titolo “Aspartame, dolcificanti a basso contenuto calorico e malattie”, pubblicato su “Food and chimical toxicology” ha dato un’ulteriore rassicurazione in tal senso”.

“Gli edulcoranti a basso contenuto calorico sono utili se usati nel contesto di uno stile di vita attivo e sano, che comprenda un’alimentazione attenta ed equilibrata e un’attività fisica regolare. Usare edulcoranti a basso contenuto calorico non significa che possiamo mangiare di più ma ci può aiutare a ridurre il quantitativo di calorie introdotte – ha specificato Ilenia Grandone, Medico specialista in Scienza dell'Alimentazione presso il Dipartimento di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione clinica dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni. Una delle novità più interessanti in quest’ambito negli ultimi anni è rappresentata da stevia, una pianta originaria del Paraguay e del Brasile, conosciuta da molti popoli dell'area geografica Sud-Americana da diversi millenni. Il potenziale di estratti di stevia come dolcificante è significativo, poiché il suo potere dolcificante è naturalmente da 200 a 300 volte superiore a quello dello zucchero e il potere calorico irrisorio. Il vantaggio di utilizzo è legato al fatto che la stevia è praticamente senza calorie. Inoltre, sembrerebbe avere effetti positivi sul senso di sazietà, sui livelli glicemici e insulinemici post-prandiali e essere anche in grado di influenzare positivamente l’insulinosensibilità”.

11 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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