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Sclerosi multipla: efficace il trapianto di midollo osseo


La tecnica ha dimostrato di rallentare e in un quarto dei casi frenare la progressione della malattia in pazienti affetti da una forma aggressiva di sclerosi multipla. Ma si tratta di un intervento ad alto rischio
 

23 MAR - Trattare i pazienti affetti da forme rapidamente progressiva di sclerosi multipla esattamente come si fa con i malati di leucemia (distruggendo il midollo osseo e trapiantandolo ex novo) funziona. Lo conferma uno studio pubblicato ieri su Neurology. A condurlo, un team di ricercatori greci della Scuola di medicina dell’Università Aristotele di Tessalonica.Si tratta di una piccola ricerca che ha coinvolto soltanto 35 pazienti, ma durata ben 15 anni. La procedura (un trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche) impiegata dal gruppo di ricercatori non è una novità.
Dopo l’estrazione di cellule ematopoietiche, il midollo osseo dei pazienti è stato distrutto con chemioterapici. Infine si è proceduto al trapianto delle cellule precedentemente purificate.
Per 1 paziente su 4, a 15 anni dal trapianto non si è osservato un peggioramento della malattia. Il rischio di progressione è risultato più alto del 44 per cento in quanti avessero lesioni cerebrali attive al momento dell’intervento. Per quasi la metà dei malati (16) è stato riscontrato addirittura un miglioramento dei sintomi protrattosi per un paio d’anni e una riduzione del numero e delle dimensioni delle lesioni cerebrali.
L’intervento è però rischioso: 2 dei 35 pazienti (il 6 per cento) sono infatti deceduti a seguito di complicanze del trapianto.
Un dato, questo, che ha spinto Vasilios Limiskidis, uno degli autori dello studio, a precisare che “la nostra sensazione è che il trapianto di cellule staminali possa offrire benefici alle persone con sclerosi multipla rapidamente progressiva. Non si tratta di una terapia per tutte le persone con sclerosi multipla, ma potrebbe essere riservata alle forme aggressive che sono ancora nella fase infiammatoria della malattia”.
Insomma, la tecnica non sostituisce i trattamenti a disposizione, ma si candida a poter essere impiegata in una ristretta fascia di pazienti.
Un’ipotesi che però non convince tutti.
“Si tratta di una forma di terapia molto eroica, ma improbabile”, ha commentato per esempio Aaron Miller, chief medical officer della National Multiple Sclerosis Society americana e docente di Neurologia alla Mount Sinai School of Medicine di New York. E, anche per i pazienti con forme più aggressive, “credo che disponiamo di alternative migliori e più sicure”.
Il neurologo si riferisce alle due ultime terapie per la sclerosi multipla giunte sul mercato: l’anticorpo monoclonale natalizumab e il modulatore dei recettori della sfingosina-1 fosfato fingolimod.
Qust’ultimo proprio due giorni fa ha ricevuto l’autorizzazione alla commercializzazione in Europa dopo che da circa un anno era in vendita negli Usa. 

23 marzo 2011
© Riproduzione riservata

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