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Cardiopatie. L’allarme della Società italiana di cardiologia: “Migliaia di pazienti a rischio perché non riconosciuti dal sistema sanitario”


In Italia circa un milione di persone necessitano di un intervento alle valvole cardiache (aortica e mitralica), ma sono migliaia coloro che non hanno accesso alle nuove procedure mini invasive per l’assenza di un riconoscimento nei Lea. Il nostro Paese agli ultimi posti in Europa per interventi percutanei delle valvole cardiache. "Assicurare procedure 'salvavita' alternative all’intervento a cuore aperto nei pazienti ad alto rischio cardiochirurgico".

30 NOV - Sono oltre un milione le persone che in Italia soffrono di una malattia delle valvole cardiache, condizione che nella maggior parte dei casi necessita di terapia cardiochirurgica o interventistica. Di questi, circa 300 mila non possono essere sottoposti all’intervento cardiochirurgico, a causa del rischio operatorio ritenuto troppo elevato, ma in molti casi potrebbero invece essere soggetti alle nuove procedure mini invasive che si sono dimostrate sicure e generalmente ben tollerate persino nei pazienti in condizioni cliniche critiche.
 
“Questi pazienti, in assenza di intervento, hanno un’aspettativa media di vita di circa 1-2 anni - dichiara Francesco Romeo, Presidente della Società italiana di cardiologia -. Oggi abbiamo evidenze scientifiche indiscutibili che le tecniche interventistiche percutanee mini-invasive costituiscono un’opzione terapeutica salvavita alternativa all’intervento cardiochirurgico convenzionale. Ma in Italia, queste procedure non godono ancora di un pieno riconoscimento da parte del servizio sanitario, mancano codici DRG specifici e spesso l’accesso è regolato dalle decisioni assunte dalle singole Regioni. Il risultato è che, nel nostro Paese, si effettuano solo circa 3.200 procedure valvolari percutanee l’anno contro un fabbisogno stimato di almeno il doppio. Un dato che in pochi anni ci ha visto scivolare dai primi agli ultimi posti in Europa per procedure effettuate – in Francia sono il doppio e in Germania il triplo - e rischia di penalizzare i cittadini che soffrono di malattie gravi delle valvole cardiache”.
 
Le patologie valvolari rappresentano una nuova “epidemia” di tipo cardiovascolare sia per l’elevata prevalenza (il 12% nella popolazione con età superiore ai 75 anni), sia per la ricaduta economica sul bilancio sanitario nazionale. Si calcola che ogni anno circa 28.000 terapie cardiochirurgiche o interventistiche sono riconducibili alle patologie delle valvole cardiache e oltre 200 mila ricoveri l’anno sono causati da queste patologie, circa 4 dimissioni ogni 1.000 abitanti. Le due malattie valvolari più frequenti sono la stenosi aortica e il rigurgito mitralico, patologie che rientrano tra i fattori che possono causare lo scompenso cardiaco. Se non trattate in tempi brevi, queste malattie possono portare alla morte del paziente per scompenso cardiaco progressivo - nella maggior parte dei casi - e alla morte improvvisa nel 30-50% dei casi.
 
Fino ad alcuni anni fa, l’unica possibilità terapeutica nelle valvulopatie cardiache era l’intervento chirurgico per sostituire o, se possibile, riparare la valvola danneggiata, un’operazione ‘a cuore aperto’ molto invasiva, che non tutti i pazienti possono affrontare per età, malattie concomitanti, fragilità generale. In seguito ai progressi ottenuti nella chirurgia riparativa valvolare e all’avvento di tecniche interventistiche percutanee, quali la procedura di impianto transcatetere della valvola aortica e di riparazione della valvola mitrale, si sono modificate le opzioni terapeutiche. Ma le raccomandazioni internazionali non vengono costantemente applicate e il numero di procedure risulta inferiore a quelle necessarie, tanto che almeno un terzo dei pazienti con malattie valvolari cardiache non ha accesso all’intervento.
 
“Lo sviluppo di procedure innovative per il trattamento delle valvulopatie offre nuove opportunità di cura ma anche importanti sfide, soprattutto riguardo l’appropriatezza e la sostenibilità - dichiara Romeo -. Secondo l’Oms siamo al terzo posto al mondo per aspettativa di vita, un risultato frutto anche dell’eccellenza cardiologica italiana ma per le valvulopatie cardiache resta ancora molto lavoro da fare. A questo proposito, il dialogo con le istituzioni sanitarie è fondamentale per la ricerca di una strategia programmatica condivisa volta a garantire questo Livello Essenziale di Assistenza e assicurare un intervento terapeutico salvavita tempestivo, adeguato ed efficace a tutti i pazienti che necessitano di un intervento alle valvole cardiache. Curare una valvola cardiaca significa salvare una vita”.
 
A questo proposito, la Società Italiana di cardiologia, propone “One Valve One Life”, un programma per l’implementazione delle raccomandazioni internazionali, l’identificazione dei fabbisogni assistenziali e delle disparità di accesso e l’individuazione di standard di qualità di cura elevati presso i Centri ad alta specializzazione presenti sul territorio.
 
“One Valve One Life” si propone di favorire una corretta informazione e la diffusione della terapia transcatetere delle valvulopatie e di garantire l’accesso a queste procedure salvavita. Se ne parlerà diffusamente nel corso del prossimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Cardiologia in programma a Roma dall’11 al 14 dicembre dove, fra le tante novità scientifiche, alcuni dei maggiori esperti mondiali discuteranno delle nuove prospettive nell’ambito delle tecniche interventistiche percutanee delle valvulopatie.

30 novembre 2015
© Riproduzione riservata

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