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Alzheimer: famiglie sempre più sole


Sono quasi sempre familiari e dedicano 12 ore al giorno ai malati. Uno studio presentato nel corso dell’XI Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria mostra come la disponibilità di nuovi farmaci possa dare una mano.

11 APR - Sono 600 mila i malati di Alzheimer in Italia. E per ciascuno di essi c’è una persona che se ne prende cura per almeno 12 ore al giorno. In oltre il 95% dei casi a svolgere il ruolo di caregiver è un familiare del malato, un figlio nella metà dei casi. Nel 72 per cento dei casi si tratta di una donna. È su loro che grava il carico della malattia, tanto che in tre casi su quattro spetta al caregiver anche la gestione dell’attività terapeutica, in prima analisi quella farmacologica.Sono questi i dati preliminari dello studio Axept presentati nel corso dell’XI Congresso Nazionale dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria appena conclusosi a Gardone Riviera (BS).
Lo Studio Axept, un importante progetto europeo promosso da Novartis, che ha coinvolto oltre 2.000 pazienti e relativi caregiver (la metà dei quali italiani), conferma che le famiglie si trovano ad affrontare da sole questo peso sociale, psicologico ed economico e , anche per gli aspetti più critici come la gestione della terapia. Il sostegno pubblico è in ritardo, con la malattia ancora considerata come il prezzo da pagare alla longevità, ma non una vera e propria patologia da trattare con tutte le risorse possibili, mediche, farmacologiche e non farmacologiche.
“I dati statistici della Linea Verde Alzheimer (800 679679) dell’AIMA [Associazione Italiana Malattia di Alzheimer] offrono uno spaccato drammatico della vita delle famiglie sulle quali, senza competenze e senza strumenti, è riversata tutta la responsabilità della cura del paziente”, ha commentato Patrizia Spadin, presidente dell’associazione. “In questo quadro, la gestione della terapia ha un peso rilevante nella routine quotidiana del caregiver che non ha gli strumenti per un approccio competente all’uso dei farmaci. L’unico dato che il caregiver può rilevare è quello relativo al benessere del paziente, ma al di là di questo, che la terapia sia efficace o meno, il caregiver non ha nessuno a cui rivolgersi, essendo le Unità di Valutazione Alzheimer oberate di lavoro e il medico di famiglia non sufficientemente competente”.
Per questo anche le più piccole innovazioni terapeutiche che consentano una maggiore “maneggevolezza” della terapia sono le benvenute, dal momento che consentono una maggiore aderenza alla terapia da parte del malato e uno sgravio per il caregiver.
Il cerotto transdermico a base di rivastigmina, per esempio, ha spiegato Roberto Bernabei, direttore del Dipartimento di Scienze Gerontologiche, Geriatriche e Fisiatriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, “rispetto alla terapia orale, permette un più efficace trattamento dell’Alzheimer e rappresenta un aiuto concreto sia per i pazienti che per i caregiver, in quanto evita dimenticanze, dubbi ed errori connessi alla gestione di molte pillole e procedure nell’arco della giornata”.
I dati preliminari dello Studio Axept dimostrano per la prima volta come una terapia più maneggevole favorisca la compliance del paziente e influisca positivamente anche sulle persone che lo assistono: nello studio, i livelli di aderenza alla terapia dei pazienti e di soddisfazione dichiarati dai caregiver sono risultati significativamente superiori nel caso della formulazione in cerotto rispetto alla terapia orale.
Le interviste ai caregiver dimostrano che ben il 78% non è preoccupato per l’assunzione del farmaco per via transdermica e il 93% non ha alcuna difficoltà nella somministrazione del farmaco per via transdermica. 

11 aprile 2011
© Riproduzione riservata

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