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Ipertensione polmonare. Chirurgia meglio della terapia farmacologica


L’operazione chirurgica di endoarteriectomia polmonare offre una sopravvivenza a 3 anni di circa l’89%, per i pazienti affetti da pertensione polmonare tromboembolitica cronica (CTEPH), in confronto al 70% offerto dalla terapia con farmaci. È quanto emerge da un’analisi pubblicata su Circulation.

22 FEB - (Reuters Health) – I pazienti che ricevono una endoarteriectomia polmonare (PEA) come trattamento per l’ipertensione polmonare tromboembolitica cronica (CTEPH) vivono meglio nel lungo termine rispetto a quelli che ricevono un trattamento farmacologico. È quanto emerge dall’analisi dei risultati di un registro internazionale. La CTEPH può essere curata con endoarteriectomia polmonare e può essere gestita con terapia farmacologica, ma la prima scelta è la chirurgia, con i farmaci specifici per l’ipertensione arteriosa polmonare che vengono riservati ai pazienti che non possono essere operati oppure quelli con una forma persistente o che si ripresenta dopo la chirurgia PEA.
 
L’analisi
La dottoressa Marion Delcroix dell’università di Leuven, in Belgio, ed i suoi colleghi hanno utilizzato dati raccolti da 679 pazienti affetti da CTEPH presenti in un registro prospettivo internazionale per valutare i risultati a lungo termine. Al momento dello studio, il 60% dei pazienti era stato operato, ed il 40% no, inclusi 38 pazienti che hanno rifiutato l’operazione. In una media di 1287 giorni di osservazione (il range va dai 3 ai 1902 giorni), il 21% dei pazienti è deceduto, hanno scritto i ricercatori su Circulation online il 29 gennaio.

La sopravvivenza stimata ad uno, due, e tre anni era significativamente più alta nel gruppo delle persone operate (93%, 91% e 89% rispettivamente) rispetto al gruppo che non aveva ricevuto l’operazione chirurgica (88%, 79%, e 70% rispettivamente). In entrambe i gruppi, le curve di sopravvivenza erano simili per i pazienti che sono stati trattati con farmaci e gli altri, ma i primi avevano profili emodinamici molto peggiori rispetto agli altri.
Nelle analisi multivariate, la PEA si è rivelata il miglior elemento per prevedere la sopravvivenza (riducendo il rischio di morte del 63%) e la classificazione di IV classe NYHA è il più importante indicatore per prevedere la morte (aumentando il rischio di morte più di 4 volte). “La principale scoperta è che i pazienti operati hanno una sopravvivenza a lungo termine decisamente migliore dei pazienti non operati, nonostante la loro simile gravità emodinamica al momento della diagnosi, confermando che la prognosi che segue la PEA è eccellente in un set di pazienti scelto correttamente”, concludono i ricercatori.

Fonte: Circulation online 2016

Reuters Staff

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

22 febbraio 2016
© Riproduzione riservata

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