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Dolore cronico. I CDC americani condannano l’uso eccessivo di oppiacei: “Pericoloso e inefficace” 

di Maria Rita Montebelli

Tom Frieden, direttore dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), in un editoriale sul NEJM lancia un pesante atto d’accusa alle terapie a base di oppioidi per la gestione del dolore cronico non oncologico. Negli Usa la prescrizione  è quadruplicata negli ultimi 15 anni, come anche i casi di morte da overdose. Le alternative efficaci e sicure non mancano. Ecco le nuove linee guida del CDC

17 MAR - Le morti da overdose di oppiodi sono quadruplicate negli Stati Uniti negli ultimi 15 anni. E non si parla di droga, ma di farmaci prescritti da medici. E’ questo il drammatico incipit di un editoriale pubblicato sul New England Journal of Medicine, a firma di Thomas Frieden, direttore dei CDC, all’indomani della pubblicazione delle Guideline for Prescribing Opioids for Chronic Pain dei  Centers for Disease Control and Prevention. Le nuove linee guida riguardano il trattamento del dolore per indicazioni diverse da quelle oncologiche o in contesti di fine vita e sono indirizzate ai medici che gestiscono in via ambulatoriale questi pazienti.
 
Mentre in Italia infuria la polemica sulla scarsa attenzione alla terapia del dolore, in qualunque ambito di patologia, e sullo scarso ricorso alla prescrizione di oppioidi, negli USA i CDC fanno scoppiare la bomba dell’eccesso di prescrizione di questa categoria di farmaci nell’ambito del dolore cronico, con tutto un corollario sull’inappropriatezza prescrittiva e sui tanti rischi fatti correre inutilmente ai pazienti, a fronte di benefici modesti, quando non dubbi.
 
“Gli sforzi per migliorare la gestione del dolore hanno portato a quaduplicare le prescrizioni di oppiodi – tuona Frieden – e questo ha dato impulso ad una strettamente correlata epidemia di dipendenze, overdose e morti da farmaci oppioidi che sta adesso ulteriormente evolvendo a includere un aumento dei casi di abuso e di overdose da eroina e fentanyl prodotto illegalmente.”
 
Il direttore dei CDC richiama l’attenzione sul fatto che non sono stati finora presi nella dovuta considerazione il rischio di ‘addiction’ da oppiodi, il loro basso rapporto terapeutico e la mancanza di una documentata efficacia nel trattamento del dolore cronico. Non manca un richiamo al marketing aggressivo delle aziende produttrici, che in questi anni ha ‘convinto’ molti medici ad aumentare la prescrizione di questi farmaci.
 
Mancano completamente evidenze sull’efficacia, sicurezza ed efficienza economica di una terapia con oppioidi sul lungo periodo. La maggior parte deitrial randomizzati controllati versus placebo sugli oppiodi ha una durata di 6 settimane o meno. E questa mancanza di conoscenze – prosegue Frieden – va confrontata con quanto invece si sa dei rischi associati ad una terapia di lungo termine e della disponibilità di efficaci alternative terapeutiche, farmacologiche o non. E le nuove linee guida dei CDC tengono ben in considerazione tutti questi aspetti.
 
Sul rischio di dipendenza, gli agonisti parziali come la buprenorfina, sono un po’ più sicuri, ricorda Frieden. Ma gli oppiodi che si comportano da agonisti dei recettori mu (praticamente tutti i prodotti attualmente sul mercato) ‘non danno meno dipendenza dell’eroina’ , non sono al riparo dal rischio di abuso da parte dei pazienti, né di overdose fatali anche se assunti per via  orale.
 
“La prevalenza della dipendenza da oppiodi – afferma Frieden - può arrivare al 26% tra i pazienti trattati con oppiodi per dolore cronico non oncologico”. E non è facile stabilire a priori qual è il paziente più a rischio di sviluppare dipendenza, fatta eccezione naturalmente per quelli con una storia di abuso di droghe o con condizioni psichiatriche.
 
Il rischio di overdose aumenta in maniera dose-dipendente; raddoppia ad esempio quando si arriva ad un dosaggio di 55-99 MME (Morfine Milligram Equivalents) e aumenta anche di 9 volte quando si raggiungono dosaggi pari o superiori a 100 MME, rispetto a dosi di 20 MME/die. “In media – afferma Frieden – un paziente su 550 di quelli che iniziano un trattamento con oppioidi muore di cause correlate a questa terapia, in genere dopo 2,6 anni dalla prima prescrizione; ma nei pazienti in trattamento con posologie di 200 MME o più, questa proporzione è di 1 a 32. E non siamo a conoscenza di nessun altro farmaco utilizzato di routine per una condizione non fatale che uccida i pazienti con questa frequenza”.
 
Tre sono i principi che ispirano le nuove linee guida dei CDC, articolate in un dodecalogo.
Il primo è che la terapia con non oppioidi è quella da preferirsi per la gestione del dolore cronico, con l’eccezione del dolore oncologico e dei contesti di fine vita. Gli oppiodi dovrebbero essere aggiunti agli altri trattamenti per il dolore cronico solo quando i benefici attesi, sia per il dolore che per il recupero funzionale, siano tali da superare i rischi inerenti a questa classe di farmaci. Non vanno dimenticate poi le terapie non farmacologiche (attività fisica, perdita di peso, terapia cognitivo-comportamentale, interventi per migliorare la qualità del sonno, ecc), che spesso danno risultati migliori degli oppiodi.
 
Il secondo principio delle linee guida è che quando si renda necessario ricorrere agli oppioidi, si deve impiegare il dosaggio più basso possibile per ridurre i rischi di overdose e dipendenza. Da evitare di norma dosaggi superiori a 90 MME/die e da valutare con attenzione i rischi e i benefici dei dosaggi da 50 MME/die in su. Una regola pratica alla quale attenersi nel prescrivere gli oppioidi è ‘comincia con dosaggi bassi e vai piano’.
 
Il terzo principio è che i medici dovrebbero fare attenzione nel prescrivere gli oppioidi e che dovrebbero monitorare con attenzione tutti i loro pazienti. Per mitigare i rischi bisognerebbe evitare di somministrare contemporaneamente le benzodiazepine, offrire del naloxone ai pazienti a maggior rischio di overdose, sapere come fare lo scalaggio di questi farmaci per arrivare a sospenderli in sicurezza, rivalutare con regolarità la posologia e la necessità di proseguire o meno il trattamento, effettuando uno screening tossicologico sulle urine prima di iniziare a somministrarli, da ripetere poi periodicamente, almeno in alcuni pazienti. Per i pazienti che sviluppano dipendenza sarà necessario ricorrere al trattamento con metadone, buprenorfina o naltrexone.
 
In conclusione dunque, l’avvio di un trattamento con oppiodi in un contesto di dolore cronico non oncologico va ponderato con attenzione. Se necessario, sarà bene utilizzare  una bassa posologia, per la minore durata possibile. A volte bastano appena tre giorni di trattamento; raramente più di una settimana.
 
“La gestione del dolore cronico – conclude Friedman – è un’arte e una scienza. La scienza degli oppiodi per il dolore cronico è chiara: per la maggior parte dei pazienti, i noti, importanti e troppo spesso fatali rischi superano di gran lunga i benefici transitori e non provati di queste terapie.”
 
Maria Rita Montebelli

17 marzo 2016
© Riproduzione riservata

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