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Batteri antibiotico-resistenti. Allarme della Sin: “Neonati italiani tra i più a rischio”


L’Italia è tra i Paesi dove “i batteri, a causa dell’uso massiccio di antibiotici, sono divenuti più resistenti”. Per la Sin la prescrizione degli antibiotici va "strettamente regolamentata” e occorre "puntare sulla prevenzione". Ai governi si chiede l'impegno a promuovere la scoperta di nuove molecole attraverso accordi con le aziende farmaceutiche. 

10 GIU - “È necessaria una presa di coscienza individuale e collettiva sul fenomeno” dell’antibiotico-resistenza, “ ma principalmente l’adozione di un protocollo rigoroso all’interno degli Ospedali e nelle cure che prevedono l’impiego di antibiotici”. A chiederlo è Mauro Stronati, presidente della Società italiana di neonatologia, che in occasione del VII Convegno Internazionale sulle infezioni neonatali in corso a Pavia punta i riflettori soprattutto sul fenomeno dell’antibiotico-resistenza nei neonati, lanciando un allarme: “L’Italia è tra i Paesi più a rischio perché è tra quelli dove i batteri, a causa dell’uso massiccio di antibiotici negli ultimi tre decenni, sono divenuti più resistenti. Secondo lo European Centre for Disease Prevention and Control, infatti, il nostro Paese è al quinto posto per utilizzo giornaliero di antibiotici dopo Grecia, Francia, Lussemburgo e Belgio. È necessario quindi, volendone limitare la comparsa, modificare il modo di trattare le infezioni e il modo di utilizzare i farmaci antimicrobici che ancora si dimostrano efficaci”.

Le infezioni, spiega la Sin, “costituiscono una delle principali cause di mortalità e morbilità in epoca neonatale, infatti ogni anno nel mondo oltre un milione di neonati muoiono per gravi infezioni e nel 2012 quasi sette milioni di neonati sono stati sottoposti a trattamento per patologie infettive batteriche. Gli antibiotici costituiscono la difesa più importante ed efficace a nostra disposizione per limitare le conseguenze a volte devastanti delle gravi infezioni, ma vengono spesso utilizzati in modo eccessivo e non sempre corretto provocando l’aumento di microrganismi multi resistenti”.

Per fermare il fenomeno, secondo la Sin, è quindi “importante che la prescrizione degli antibiotici sia strettamente regolamentata” e “puntare sulla prevenzione. Dove possibile e specialmente in contesti ospedalieri l’attenzione dovrebbe essere massimamente focalizzata sulla prevenzione più che sul trattamento delle infezioni. Tutti i presidi preventivi, primo fra tutti il lavaggio delle mani, dovrebbero essere massimamente incentivati negli ospedali”.

Nel dettaglio, l’approccio, secondo la SIN, dovrebbe essere basato su 4 principi da seguire. “Innanzitutto il riconoscimento del problema da parte degli organi di controllo e dei governi, rendendolo pubblico mediante conferenze, rapporti, azioni. Da questo punto di vista, in verità, l’Italia si è già attivata con il Ministro della Salute Beatrice Lorenzin che recentemente ha confermato ‘il riconoscimento di questa emergenza come una priorità di sanità pubblica e la stessa è stata inserita nel macro-obiettivo del piano nazionale della prevenzione 2014-2018’”.

In secondo luogo “avviare partnership tra pubblico e privato per la scoperta di nuovi antibiotici”. In questo ambito, secondo la SIN, “è di fondamentale importanza che i governi promuovano la scoperta di nuove molecole attraverso programmi di ricerca e stabilendo accordi con le case farmaceutiche”.  

Il terzo aspetto riguarda “la prevenzione delle infezioni con vaccini e misure di igiene personale e nelle strutture”.

Infine “la necessità di un programma nazionale di accesso agli antibiotici per tutti coloro che ne hanno bisogno ma con priorità di accesso ben definite: uso principalmente medico (limitando l’uso animale); prescrizione basata sulla diagnosi (ma richiederà che la ricerca investa in nuovi e più accurati metodi di diagnosi che permettano di definire subito il tipo di infezione e l’appropriatezza di una data terapia antibiotica), accesso agli antibiotici definito dai programmi di stewardship”. Gli “Antibiotic Stewardship”, spiega la SIN, "sono task force di lavoro all’interno degli ospedali dove intervengono diversi specialisti con differente e complementare esperienza nell’ambito della terapia antibiotica, che serva ad assistere il medico durante la prescrizione del trattamento antibiotico, e che lo aiuti nelle decisioni di inizio, interruzione, prosecuzione di un dato trattamento per ogni paziente. “Uno specifico programma di Stewardship antibiotica dovrebbe essere sviluppato per le unità di terapia intensiva neonatale, dal momento che le UTIN presentano problematiche del tutto peculiari”, osserva la Società italiana di neonatologia.

Secondo i dati presentati dalla Sin, dei 4 milioni di decessi in epoca neonatale che avvengono ogni anno nel mondo, il 36% sono causati da patologie infettive. Non ci sono , però, dati sulla percentuale di decessi causati dalle infezioni da germi multi-resistenti. “Già nel 2013 – spiega la Sin – avevamo lanciato l’allarme, passato quasi inosservato, sull’incidenza dei rischi infettivi sul neonato classificando questo fenomeno come il ‘pericolo grigio’, che frequentemente si manifesta tardivamente, cioè dopo la dimissione, mettendo a repentaglio la salute del neonato. Nel 2014 poi la conferma del problema è arrivata dal Rapporto ‘Review on Antimicrobial Resistance’ commissionato dal premier inglese David Cameron in seguito all’epidemia di neonati morti in India a causa dell’inefficacia di antibiotici”. Inoltre, spiega la Sin, “un recentissimo studio americano (Clock e coll. 2016) su 1320 neonati ricoverati in Terapia Intensiva Neonatale ha dimostrato che il 9% erano colonizzati (si potrebbe dire ‘portatori sani’ anche se il termine non è proprio appropriato) da batteri portatori di almeno una resistenza antibiotica. L’utilizzo prolungato di antibiotici si associava ad un aumentato rischio di colonizzazione da germi resistenti”.

10 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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