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L’aspirina non previene l’ictus da fibrillazione atriale. Ma si continua a prescrivere a un paziente su tre

di Maria Rita Montebelli

Uno studio appena pubblicato su JACC lancia l’allarme ‘aspirina’ prescritta in maniera inappropriata ai pazienti con fibrillazione atriale, nel tentativo di proteggerli da un ictus trombo-embolico. La ‘cattiva abitudine’ riguarderebbe almeno un paziente su tre, ma si tratta sicuramente di un dato sottostimato perché è relativo a contesti ad elevata specializzazione. Gli autori ribadiscono che non solo è praticamente inutile, ma espone anche i pazienti al rischio di emorragie digestive e intracraniche

21 GIU - Almeno ad un paziente su tre di quelli con fibrillazione atriale, a rischio medio-elevato di ictus, viene ancora prescritta l’aspirina al posto dell’anticoagulante orale. E’ l’amara costatazione di uno studio pubblicato su Journal of the American College of Cardiology (JACC) che ha utilizzato i dati del registro PINNACLE dell’American College of Cardiology (ACC).
La gravità del rischio di ictus trombo-embolico da fibrillazione atriale viene stimata in tutto il mondo utilizzando il calcolatore CHADS2 (che tiene in considerazione parametri quali l’età superiore a 75 anni, la presenza di scompenso cardiaco, ipertensione arteriosa, diabete o di un pregresso ictus) o una sua versione più aggiornata, il CHA2DS2-VASc, che incorpora altre variabili (range d’età 65-74 anni, sesso, presenza di fattori di rischio vascolari). In entrambi i casi, i pazienti con un punteggio uguale o superiore a 2, sono considerati papabili per la terapia anticoagulante.
 
Lo studio ha esaminato i dati di oltre 210 mila pazienti contenuti nel registro PINNACLE, rintracciando tutti quelli con punteggio CHADS2 uguale o maggiore di 2, tra il gennaio 2008 e il dicembre 2012. In una seconda fase dell’analisi i ricercatori americani hanno vagliato i dati di circa 295 mila pazienti con punteggio CHA2DS2-VASc analogo nello stesso intervallo temporale. Ne è risultato che nel gruppo CHADS2 ben il 38% dei pazienti era in terapia con aspirina e il 62% circa con anticoagulanti orali. Nel gruppo CHA2DS2-VASc i trattati con aspirina erano il 40% e solo il 60% faceva anticoagulanti orali.
In entrambi i gruppi, i pazienti in terapia con aspirina erano i più giovani, avevano un basso indice di massa corporea , più frequentemente erano di sesso femminile e in genere avevano delle comorbilità associate (diabete, ipertensione, dislipidemia, coronaropatia, arteriopatia periferica, precedente infarto, precedente by-pass aorto-coronarico). Per contro, quelli in trattamento anticoagulante orale più frequentemente erano maschi, con elevato indice di massa corporea, una storia di pregresso ictus o trombosi o scompenso cardiaco congestizio.
 
“I cardiologi – sostiene il primo autore dello studio Jonathan C. Hsu, professore di medicina, cardiologia ed elettrofisiologia presso la University of California, San Diego – forse prescrivono aspirina al posto degli anticoagulanti perché hanno l’errata percezione che l’aspirina abbia la stessa efficacia degli anticoagulanti. Peraltro, agli uomini vengono prescritti anticoagulanti il 6% delle volte più spesso che alle donne, nonostante siano queste ultime a maggior rischio di stroke”.
 
E a rincarare la dose ci pensano gli autori di un editoriale pubblicato sullo stesso numero di JACC. “Probabilmente questi medici - affermano Sanjay Deshpande, direttore dell’elettrofisiologia presso il Columbia St. Mary's Hospital di Milwaukee e L. Samuel Wann, cardiologo presso lo stesso ospedale – non si rendono conto che l’aspirina espone i pazienti al rischio di emorragia, virtualmente senza proteggerli dall’ictus. E dà da pensare il fatto che cardiologi di talento, motivati e coscienziosi come quelli che hanno contribuito al registro non prescrivano anticoagulanti ad un terzo dei pazienti che ne avrebbero bisogno, secondo quanto suggerito dalle linee guida”.
 
Sono gli anticoagulanti e non l’aspirina – ribadiscono gli editorialisti – il trattamento di scelta per la prevenzione dell’ictus trombo-embolico in corso di fibrillazione atriale. L’incidenza di ictus in corso di fibrillazione atriale è fino a 7 volte maggiore rispetto a chi non presenta questa aritmia.
 
“La prevenzione dell’ictus è una questione chiave nel trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale – afferma Hsu – e l’aspirina in questi pazienti ha un effetto protettivo minimo o del tutto assente, a fronte di rischi importanti come un’emorragia intracranica”. Questa ricerca evidenzia dunque un importante gap tra il trattamento ideale per la prevenzione dell’ictus tromboembolico e la realtà clinica. Anche in contesti ad elevata specializzazione, l’aderenza alle linee guida è decisamente bassa. ma parte del problema viene proprio dalle linee guida dove c'è una zona grigia relativa a quei pazienti che oltre alla fibrillazione atriale, hanno anche condizioni di rischio ateroslcerotiche per le quali l'aspirina è decisamnete indicata. Per questo, nel dubbio, i cardiologi adottano un atteggiamento conservativo e prescrivono la sola aspirina nell'illusione che possa andare bene per entrambi le indicaizoni. Forse dunque, per fare luce anche su questi punti ancora poco chiari, è arrivato il momento di  effettuare nuovi studi per andare a verificare gli esiti cardiovascolari dei soggetti con fibrillazione atriale e patologie aterosclerotiche trattati con la sola aspirina o con gli anticoagulanti orali, o con entrambi.
 
Maria Rita Montebelli

21 giugno 2016
© Riproduzione riservata

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