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Colesterolo: arriva approccio personalizzato. Pubblicate le nuove linee guida europee per il trattamento delle dislipidemie

di Maria Rita Montebelli

Scritte a quattro mani dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) e dalla Società Europea dell’Aterosclerosi (EAS), le nuove linee guida europee scelgono un percorso di trattamento individuale, che si contrappone alla filosofia americana della ‘statina per tutti’, pericolosa secondo gli esperti europei perché fa perdere di vista gli altri fattori di rischio, dando false sicurezze al paziente. 

03 SET - Sono oltre 4 milioni l’anno i decessi attribuibili alle malattie cardiovascolari in Europa; l’80% di questi, secondo gli esperti, potrebbe essere evitato semplicemente eliminando i comportamenti sbagliati.
“I lipidi rappresentano il principale fattore di rischio per le malattie cardiovascolari – ricorda il professor Ian Graham, presidente ESC della Task Force che ha redatto la nuova edizione delle linee guida, pubblicate su European Heart Journal – La relazione tra colesterolo LDL e malattie cardiovascolari è molto forte e inequivocabilmente causale. Difficilmente l’infarto colpisce individui con bassi livelli di LDL, anche tra i fumatori.”
 
Le nuove linee guida sottolineano la necessità di ridurre i livelli di lipidi nei soggetti e nelle popolazioni ad alto rischio. “Il trattamento di questi soggetti – afferma Graham – dovrebbe rappresentare una priorità assoluta per i medici. Dobbiamo tuttavia ricordare anche che la maggior parte dei decessi avviene nei soggetti con livelli di colesterolo solo lievemente aumentati. Questo implica la necessità di un approccio ‘di popolazione’ per la riduzione dei lipidi, quali ad esempio interventi mirati alla correzione degli stili di vita”.
 
Le nuove linee guida raccomandano che il livello target di colesterolo LDL venga definito sulla base del rischio individuale a 10 anni di comorbilità e di eventi cardiovascolari fatali. Così, nel paziente ad alto rischio, iltarget di LDL viene fissati al di sotto dei 100 mg/dl. A prescindere dal rischio inoltre, viene raccomandato che tutti i pazienti riducano di almeno il 50% il proprio colesterolo LDL.
 
“Abbiamo scelto questa via di mezzo tra il livello target di LDL e la percentuale di riduzione – spiega il professor Alberico Catapano, presidente EAS della Task Force per queste linee guida - per far sì che tutti i pazienti ottengano una riduzione di almeno il 50% del colesterolo LDL”.
 
Si tratta dunque di un approccio individualizzato al target da perseguire, diverso da quello delle linee guida americane che raccomandano di somministrare una statina a tutti i pazienti ad alto rischio cardiovascolare anche in presenza di bassi livelli di colesterolo. Seguendo la ‘filosofia’ americana, sarebbero molti di più i pazienti europei in trattamento con una statina. Ma le linee guida europee si sono opposte a questo approccio della statina ‘a pioggia’. La preoccupazione degli esperti infatti è che tante persone ad elevato rischio, inerti e in sovrappeso, si accontentino di ridurre il loro colesterolo con un farmaco, trascurando completamente tutti gli altri loro fattori di rischio.
 
Un’altra novità contenuta nelle raccomandazioni è che non viene più richiesto il digiuno prima di effettuare lo screening dei livelli di lipidi.
Viene data invece grande rilevanza agli stili di vita e alla dieta, specificando gli obiettivi per indice di massa corporea e peso e stilando una lista di alimenti raccomandati (cereali, verdure, frutta, pesce), di quelli da consumare con moderazione o di quelli da riservare ad occasioni speciali. La preferenza insomma va ancora una volta alla dieta mediterranea.
 
Se nonostante un corretto stile di vita, i livelli di colesterolo LDL restano elevati, il trattamento di prima scelta è rappresentato dalle statine e se non basta, viene consigliato di associare l’ezetimibe, che riduce i livelli di LDL di un altro 15-20%.
 
Se i livelli di LDL rimangono persistentemente elevati nonostante la terapia con una statina e l’ezetimibe, si può considerare l’aggiunta di un PCSK9 inibitore. “Gli inibitori di PCSK9 – afferma Catapano – rappresentano un vero progresso per i pazienti con ipercolesterolemia familiare grave. Si tratta tuttavia di farmaci molto costosi, fatto questo che potrebbe portare a limitarne l’impiego in alcuni paesi. Ci auguriamo che i medici facciano tutti gli sforzi possibili per ridurre il più possibile il colesterolo LDL dei loro pazienti. Per ottenere questo obiettivo abbiamo definito una sequenza di farmaci da utilizzare, mettendo al primo posto le statine, alle quali associare eventualmente l’ezetimibe e come terza linea i nuovi PCSK9 inibitori”.
 
Maria Rita Montebelli

03 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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