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Dalle farmacie un sì ai servizi. Ma con quali risorse?


Uno studio realizzato da un team di esperti della facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma, incentrato in particolare sulle farmacie della Capitale e eseguito per conto dell'Associazione dei titolari di farmacia romana, presieduta da Franco Caprino (nella foto) dimostra come sia indispensabile, se si intende promuovere il ruolo socio sanitario della farmacia, rispettarne anche lo status di soggetto economico, garantendole il giusto ritorno economico.

18 MAG - Con gli accordi tra i titolari di farmacia del Lazio e il servizio sanitario regionale, da ottobre 2009 a oggi, sono stati risparmiati circa 24 milioni di euro per la distribuzione dei presidi per diabetici attraverso le farmacie. E Questo grazie anche all’adozione di uno specifico portale internet che ha consentito un attento monitoraggio sia nella fase di prescrizione che in quella di distribuzione dei presidi. È un chiaro esempio di sinergia virtuosa quello citato da Franco Caprino, presidente dell’Unione dei titolari di farmacia laziali e di quelli romani, nell’aprire i lavori dell’incontro con il quale sono stati presentati i risultati di uno studio, condotto da un tema di esperti della facoltà di Economia dell’Università La Sapienza di Roma, coordinati da Alberto Pastore, docente della stessa facoltà.
Lo studio in questione ‒ “Impresa farmacia. Evoluzione del contesto e dinamiche reddituali” ‒ ha inteso mettere a fuoco le dinamiche normative, quelle di evoluzione del mercato e dell’utente finale, valutandone l’incidenza sulla farmacia considerata però nella sua dimensione di impresa. Per farlo, come ha spiegato Pastore, non sono state considerate soltanto le dinamiche socio-economiche ma anche l’opinione di un panel di 10 esperti comunque collegati al mondo della farmacia (commercialisti, distributori, farmacisti ecc.) che hanno “detto la loro”, appunto, su quali potessero essere le forze che in un modo o nell’altro, stavano modificando lo sviluppo di un nuovo modello di farmacia. E, infine, è stato valutato in base a stretti parametri economici, l’andamento economico tra il 2006 e il 2008 di 100 farmacie della capitale, suddivise in quattro diversi “cluster” individuati sulla base del loro fatturato annuo (al di sotto degli 800 mila euro, tra 800 e 1.200 mila euro, tra 1.200 mila euro e oltre i 2 milioni di euro).
I risultati dello studio sono stati chiarissimi: i fattori che hanno più inciso sulle fortune delle farmacie considerate sono stati senza alcun dubbio quelli di carattere normativo. A partire dai continui tagli alla spesa sanitaria e dalle riduzioni dei prezzi dei farmaci rimborsabili, alla diffusione dei farmaci generici, alle trattenute “una tantum” (la più recente è quella derivante dal Dl 32/09, il cosiddetto “decreto Abruzzo”), fino alla definizione del prezzo al pubblico dei farmaci Otc e Sop affidata al farmacista. A questi fattori vanno poi aggiunti i continui aggiornamenti dei foglietti illustrativi (ne deriva un forte impegno burocratico e dei costi di gestione del magazzino) e l’introduzione del sistema Web Care (cioè il monitoraggio informatico della dispensazione dei presidi per diabetici: anche qui i costi superano i margini riconosciuti alle farmacie).
Anche a prima vista questo insieme di cose appare comunque capace di ricadute negative sulle sorti economiche delle farmacie romane. Ma gli esperti della Sapienza sono andati oltre, dando un valore preciso (in media ma anche per ciascun cluster) all’andamento della redditività delle farmacie campione nei due anni considerati.
Ebbene, tra il 2006 e il 2008, i ricavi delle vendite hanno subito un decremento del 6,7%; in quest’area va sottolineato come le vendite di farmaci o prodotti Ssn siano scese in media del 16%. Notizie negative anche sul fronte dei costi: quelli operativi, infatti, sono saliti del 5,7% con un’incidenza sui ricavi totali del 17,8%. Il costo che ha subito il maggior incremento è stato quello per il personale cresciuto in media del 12% e giunto, nel 2008, a rappresentare il 50,7% del costo operativo totale.
I dati da citare sarebbero ancora molti, ma il loro significato ultimo, è chiaro e Pastore lo ha sottolineato: “Una situazione simile non appare sostenibile nel tempo. Mette infatti in discussione il duplice ruolo della farmacia cioè quello di “attore chiave” del sistema sanitario e, contestualmente, quello di soggetto economico”. “Una farmacia che non riesce a creare valore economico come impresa” ha concluso “difficilmente potrà generare un valore per i suoi utenti, per il sistema sanitario e per tutti gli stakeolder (Stato, Ssn, cittadini, mercato ecc.) con i quali si rapporta”.
In sostanza, se si vuole che il sistema funzioni correttamente, è necessario garantire una congrua remunerazione, anche studiando metodiche diverse dall’attuale, com’è stato ricordato nel corso del dibattito. Allo stesso modo continuare a intervenire con tagli su una componente del sistema che incide sul totale della spesa per cifre non superiori al 13% del totale, appare poco saggio: altre e diverse dovrebbero essere le voci sulle quali intervenire: dalla spesa farmaceutica ospedaliera ai costi delle strutture sanitarie e delle Asl. In assenza di decisioni in tal senso, soprattutto dalla componente politica del sistema, diventerebbe impossibile per la farmacia ‒ non più capace di generare reddito a medio-lungo termine ‒ svolgere il suo prezioso ruolo di erogatrice di servizi fondamentali per il Ssn.
 

18 maggio 2010
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