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La melatonina potrebbe influenzare la comparsa del diabete di tipo 2

di Maria Rita Montebelli

Un nuovo filone di studi indica un possibile ruolo della melatonina, o meglio di un una variante genica del suo recettore MT2 , nella comparsa di diabete di tipo 2. E c’è chi già sogna una nuova generazione di terapie anti-diabete, gli antagonisti dei recettori MT2. Ma gli esperti invitano alla prudenza

21 SET - Un nuovo attore si sta affacciando con prepotenza nel mondo del diabete di tipo 2 e il New England Journal of Medicine di questa settimana fa il punto della situazione. Si tratta della melatonina, un ormone secreto dalla ghiandola pineale durante la notte e che impronta fortemente i ritmi circadiani. Questo pattern di secrezione si modifica in caso di alterazioni del ritmo sonno-veglia (ad esempio nei turnisti o per il jet lag); gli studi epidemiologici hanno inoltre evidenziato una relazione tra il lavoro dei turnisti e una maggior suscettibilità al diabete di tipo 2.

Il diabete di tipo 2, oltre ad essere fortemente collegato all’obesità, presenta anche un’importante componente ereditaria che si distribuisce nei rivoli di inoltre 150 alleli di rischio, individuati dagli studi di genetica. Per lo più queste varianti interessano geni implicati nella secrezione di insulina da parte delle beta cellule o altri deputati a trasdurre l’effetto dell’insulina a livello dei tessuti target.

Ma c’è un’importante eccezione: il gene MTNR1B, codificante la proteina MT2, un recettore di superficie accoppiato a proteine-G ed espresso sulle beta cellule. Questo recettore viene attivato dalla melatonina circolante e gli studi di Tiinamaija Tuomi e colleghi delle università di Helsinki e di Lund hanno portato a scoprire che i portatori di una particolare variante del gene MTNR1B sono ad aumentato rischio di diabete.   

Studiando le  pancreatiche di donatori d’organo, i ricercatori hanno scoperto che i portatori di questa variante ‘a rischio’ del gene MTNR1B presentano elevati livelli dell’mRNA corrispondente all’interno delle insule. Inoltre, somministrando melatonina alle beta cellule di ratto che iperesprimono questo recettore si riduce la secrezione di insulina indotta da glucosio.
Insomma, una up-regulation del recettore MTNR1B nei portatori dell’allele a rischio, si associa ad una ridotta secrezione di insulina, che potrebbe dunque contribuire ad alterare la glicemia.

Gli stessi ricercatori hanno quindi somministrato per 3 mesi melatonina ai portatori omozigoti dell’allele di rischio e agli omozigoti per la variante normale del gene. In tutti i partecipanti allo studio la ‘cura’ di melatonina ha determinato una riduzione della secrezione insulinica indotta da glucosio nella prima fase del test da carico di glucosio (OGTT), rispetto ai valori basali (cioè prima dei tre mesi di melatonina), più marcata però nei portatori dell’allele di rischio.
E’ ipotizzabile dunque che l’inibizione della secrezione insulinica venga mediata da un’attivazione diretta dei recettori MT2 sulle beta cellule indotta dalla melatonina. Ma inevitabilmente sarà necessario effettuare ulteriori studi clinici, visto che uno studio precedente aveva ipotizzato che la melatonina stimolasse il rilascio di insulina dalle isole pancreatiche umane in vitro.


Ma allora, si chiedono gli autori, dobbiamo cominciare ad aver paura di assumere supplementi di melatonina, per trattare l’insonnia o il jet lag? Certo che no. Lo studio di Tuomi ha chiaramente dimostrato che l’assunzione di 4 mg di melatonina al giorno per 3 mesi non altera in maniera sostanziale la tolleranza glucidica e che i livelli di glicemia tornano nei limiti di norma 2 ore dopo l’assunzione. Per trattare i disturbi da jet lag, la melatonina si prende solo per qualche giorno, mentre nel trattamento dell’insonnia si utilizza a dosaggi normalmente inferiori ai 4 mg/die.


Questo studio tuttavia solleva il dubbio che la presenza di questa variante di rischio possa predisporre i soggetti con intolleranza glucidica alla comparsa del diabete di tipo 2, in particolare in presenza di obesità o altre situazioni che determinano resistenza-insulinica, condizione che viene normalmente superata aumentando la secrezione di insulina. Ma allora esiste il pericolo che questo meccanismo di compenso possa essere inficiato dalla supplementazione cronica di melatonina? La risposta anche in questo caso sarà offerta solo da studi clinici (ancora tutti da fare) per testare gli effetti della melatonina sull’intolleranza glucidica nei soggetti obesi.


Infine, secondo alcuni la scoperta del ruolo di questi recettori per la melatonina potrebbe aprire la strada ad una nuova categorie di terapie anti-diabete,  gli antagonisti dei recettori MT2 , nell’intento di massimizzare la risposta insulino-secretoria indotta dal glucosio, bloccando la cascata inibitoria che viene attivata dalla melatonina nelle beta-cellule.


Attenzione però agli effetti off-target, perché questi recettori sono espressi anche in tanti altri tessuti. Non va inoltre dimenticato che il recettore MT2 è solo uno dei 300 recettori accoppiati a proteine G, espressi dalle cellule beta pancreatiche. Potrebbero insomma esserci candidati migliori alla terapia. E uno di questi esiste già: i GLP-1 analoghi.


Maria Rita Montebelli
 

21 settembre 2016
© Riproduzione riservata

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