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Psoriasi: con Ixekizumab pelle libera da placche per 8 pazienti su 10


Presentati al 25 Congresso EADV conclusosi domenica a Vienna nuovi dati sulla validità ed efficacia di Ixekizumab per il trattamento della psoriasi. Nel nuovo studio effettuato un confronto tra Ixekizumab ed un altro anticorpo monoclonale, ustekinumab, che rappresenta attualmente uno dei trattamenti maggiormente utilizzati per la cura della psoriasi.

03 OTT - Ixekizumab sempre più efficace e sicuro. I nuovi lavori scientifici – ben 17 presentati al Congresso EADV di Vienna – rafforzano non solo il profilo di sicurezza a lungo termine dell’anticorpo monoclonale, testato su una popolazione di oltre 7.800 pazienti, ma soprattutto evidenziano elementi critici di svolta nel perseguimento di nuovi obiettivi clinici sempre più ambiziosi.
 
Nello studio “testa a testa” con ustekinumab, presentato a Vienna con un late breaker, ixekizumab ha mostrato superiorità nel raggiungimento di obiettivi primari e secondari. Tutti numeri di efficacia e sicurezza che permettono a ixekizumab di candidarsi a diventare terapia gold standard per la psoriasi.
 
"La psoriasi è una patologia cutanea la cui insorgenza è legata al mal funzionamento del sistema immunitario e, a causa del processo infiammatorio sistemico che la sostiene, coinvolge diversi organi - sottolinea la professoressa Ketty Peris, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Dermatologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore Policlinico Gemelli di Roma - Chi ne è affetto, purtroppo, presenta inoltre gravi ripercussioni psicologiche e sociali. La terapia ideale dovrebbe, quindi, far raggiungere al paziente la migliore qualità di vita possibile attraverso un netto miglioramento del quadro clinico. L’anticorpo monoclonale ixekizumab, oltre a elevati profili di sicurezza e tollerabilità, sta dimostrando una notevole capacità nella progressiva remissione delle placche psoriasiche fin dalle prime settimane. Siamo quindi sulla buona strada verso una terapia ottimale".
 
Nel 2014 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riconosciuto la psoriasi una malattia non trasmissibile grave, che deve essere oggetto di una maggiore attività di sensibilizzazione presso la popolazione generale
 
“Chi soffre di psoriasi combatte per due obiettivi: la rimozione dello stigma che da sempre accompagna questa patologia e la disponibilità di una terapia efficace e, al tempo stesso, sicura e ben tollerata - aggiunge Mara Maccarone, presidente ADIPSO (Associazione per la Difesa degli Psoriasici) - Insieme ad un’attività di sensibilizzazione sociale è importante informare i pazienti sulle possibilità di cura più efficaci. La ricerca deve mettere a punto soluzioni in grado di assicurare la più alta percentuale possibile di remissione delle placche psoriasiche. Se il traguardo di una remissione delle placche del 75%, fino a poco tempo fa, poteva essere considerato l’optimum terapeutico, oggi possiamo pensare che arrivare alla remissione totale sia un traguardo sempre più possibile. In questo senso i pazienti devono essere informati e messi in condizione di poter raggiungere questi nuovi standard terapeutici”.
 
Cos’è Ixekizumab
Ixekizumab (Talz®,Lilly) è un anticorpo monoclonale umanizzato IgG4 che si lega selettivamente all’interleuchina 17A (IL-17A), una citochina fondamentale nella patogenesi della psoriasi e inibisce quindi la sua interazione con il recettore IL-17A.
L’IL-17A è una citochina naturale che è coinvolta nella  risposta fisiologica infiammatoria ed immunitaria ma che in caso di psoriasi ed altre malattie infiammatorie croniche, è disregolata e prodotta in eccesso
Ixekizumab inibisce quindi la sua attività proinfiammatoria. Negli studi oggetto delle pubblicazioni su The Lancet nel 2015 e sul New England Journal of Medicine dello scorso Aprile Ixekizumab (Taltz) monoclonale ha determinato,già dopo sole 12 settimane di trattamento nella grande maggioranza dei pazienti
 
Tutti e tre gli studi di fase III che avevano fatto osservare una risposta clinicamente significativa al trattamento con Ixekizumab già dalle prime settimane hanno dimostrato che con Ixekizumab i livelli di remissione e mantenimento, ottenuti nella fase di induzione della terapia , cioè alla 12 ma settimana, si mantenevano elevati( fino a 8 pazienti su 10, anche dopo 60 settimane di trattamento.
 
Per valutare l’efficacia di Ixekizumab, i ricercatori avevano utilizzato sia gli indicatori PASI (Psoriasis Area Severity Index), sia la scalas PGA (Physician’s Global Assessment). L'indicatore PASI misura la portata e la gravità della psoriasi valutando arrossamento, spessore e desquamazione delle lesioni cutanee (classificate su una scala da zero a quattro) ponderata per la superficie di pelle coinvolta, mentre il sPGA è l'indicatore della valutazione clinica del medico sulla gravità delle lesioni psoriasiche complessive di un paziente ed è una misura consigliata dall'FDA statunitense e normalmente utilizzata per valutare l'efficacia di un trattamento.
 
Lo studio RHBS
Si tratta di uno studio di confronto tra Ixekizumab ed un altro anticorpo monoclonale, ustekinumab, che rappresenta attualmente uno dei trattamenti maggiormente utilizzati per la cura della psoriasi. Obiettivo principale di questo studio – denominato RHBS – è quello di verificare, a 12 settimane, la percentuale di pazienti che raggiungono il valore 90 nella scala di valutazione PASI (90 corrisponde a un miglioramento del 90% delle placche psoriasiche sul corpo del paziente). Attualmente i dati attestano una percentuale di remissione del 75% dei pazienti trattati con Ixekizumab e del 42,4% del campione in trattamento con ustekinumab.
 
Per quanto riguarda gli obiettivi secondari, Ixekizumab ha fatto registrare una percentuale del 90,9% di pazienti che superano un miglioramento del PASI superiore al 75% (ustekinumab si attesta al 69,1%). Inoltre, il 37,1% dei pazienti trattati con Ixekizumab raggiunge il valore 100 del parametro PASI, a fronte del 14,5% dei pazienti in cura con ustekinumab. Infine, la percentuale di pazienti che ottiene un PGA statico pari a 0 (remissione) si attesta al 43,2% con Ixekizumab al 18,2 % fra quelli trattati con ustekinumab.

03 ottobre 2016
© Riproduzione riservata

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