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Olio di palma. Ferrero: “Basta demonizzazioni, i nostri ingredienti sono di qualità e sostenibili”. Gli esperti: “Allarmismi ingiustificati”


“Una scelta responsabile basata sulla scienza” così l’Azienda dolciaria di Alba difende, in un convegno a Milano, l’utilizzo nei suoi prodotti dell’olio di palma. E lo fa supportato da esperti, da Greenpeace e dall'Istituto Superiore di Sanità. Olivero, Viceministro dell’Agricoltura: “Basta con il terrorismo della disinformazione sui temi alimentari”

28 OTT - Sembrava tutto detto, una pagina già chiusa, ma in verità sull’olio di palma c’è molto da chiarire.
A partire dal principale capo d’accusa che l’ha messo salire sul banco degli imputati facendolo diventare il nuovo veleno della filiera alimentare, ossia la presenza di grassi saturi colpevoli di aumentare i rischi di malattie cardiovascolari. Bene, questa associazione non è stata più confermata nei recenti studi pubblicati sulle principali riviste scientifiche internazionali e non ci sono dati clinici a supporto di manifestazioni negative per ingestione di olio di palma. Ma non solo, quando si parla di olio di palma la differenza la fa la qualità della materia prima. È qui che si gioca la partita. Quindi, prima prima di giudicare e  lanciare allarmismi ingiustificati e privi di fondamento, si guardi alla scienza e alla credibilità di chi produce prodotti alimentari. E ancora, chi l’ha detto che l’olio di palma non è sostenibile? Spezzare il legame tra la produzione di olio di palma, deforestazione e accaparramento delle terre è possibile se si agisce in maniera responsabile.
 
Ci ha messo la faccia Ferrero, l’industria dolciaria di Alba, marchio interamente italiano che da 70 anni propone prodotti famosi in tutto il mondo, dalla Nutella aiRocher, dalle tante merendine Kinder alle Tic Tac, e in un convegno organizzato a Milano, si è levata qualche sassolino dalla scarpa, facendo parlare esperti della sicurezza alimentare, Istituto superiore di sanità ed anche Greenpeace. Perché, ha sottolineato Ferrero a chiare note: “Quella di utilizzare olio di palma è una scelta responsabile, basata sulla scienza. Soprattutto noi scegliamo la qualità”.
L’olio di palma di Ferrero è lavorato fresco con un processo di raffinazione svolto a basse temperature, con livelli di contaminanti molto più bassi di quelli indicati a livello internazionale.
 
“Abbiamo sempre tenuto un comportamento low profile e attento nei confronti del pubblico – ha spiegato Alessandro d’Este, Presidente e Amministratore Delegato di Ferrero Commerciale Italia – ma oggi dobbiamo anche dire la nostra. Siamo considerati l’azienda con la più alta reputazione al mondo. Questo non si raggiunge per caso ma grazie alla fiducia del consumatore e il miglior rispetto del consumatore è proprio la qualità sulla quale lavoriamo ogni giorno per migliorala. La qualità è intrinseca in tutti i nostri prodotti, in tutti i nostri processi produttivi, nei controlli puntuali e approfonditi che realizziamo e nella scelta delle materie prime migliori. E oggi lo facciamo con il supporto della scienza. L’etica è alla base del nostro modo di fare impresa. Siamo convinti della qualità del nostro olio di palma. Se non ne fossimo certi ritireremmo il prodotto dal mercato. È questa la nostra filosofia. Non ci sono compromessi in Ferrero”.
 
A dare un assist potente all’Azienda di Alba è stato Andrea Olivero, Viceministro dell’Agricoltura che ha attaccato senza mezzi termini le campagne contro l’olio di palma. “Basta con il terrorismo della disinformazione sui temi alimentari” ha detto con campagne che fanno leva sull’ignoranza delle persone, organizzate per creare anche turbative sui mercati. “Serve una comprensione puntuale delle caratteristiche dei prodotti alimentari – ha affermato – i cittadini devono capire positività e rischi dei prodotti. È necessario che prodotti di pregio anche molto ricchi possano entrare nell’alimentazione di ciascuno, bisogna avere una dieta equilibrata senza criminalizzare i prodotti. Diciamo quindi no alla sostituzione di prodotti nutrienti con surrogati fatti spesso di scarti. Dobbiamo portare le persone a comprendere che prodotti intrinsecamente ricchi possono essere consumati. Abbiamo bisogno di salubrità e anche della sostenibilità dei nostri prodotti. Per garantire la tenuta dell’ambiente in tutti i paesi del mondo”.
 
Non solo qualità ma anche sostenibilità. Ferrero ha poi puntato con forza sulla sostenibilità del proprio ingrediente. “Le principali Ong considerano  Ferrero una  bestpractice – ha aggiunto d’Este – ci approvvigioniamo esclusivamente  di olio di palma 100% sostenibile, secondo una tra le più  stringenti certificazioni rilasciate da Roundtable on Sustainable Palm Oil, e siamo membri del Palm Oil Innovation Group (Poig)”.
Un’iniziativa il Poig, ha spiegato Chiara Campione, Senior Corporate Campaigner Greenpeace Italia: “Che dal 2013 si pone come obiettivo quello di spezzare il legame tra la produzione dell’olio di palma e la deforestazione, l’accaparramento delle terre e la negazione dei diritti di lavoratori e comunità locali. Uno strumento volto a rafforzare e rendere più ambiziosi gli standard della Rspo, concentrandosi su: responsabilità ambientale, partnership con comunità locali e l’integrità aziendale e di prodotto. Ad oggi il Poig ha 16 membri, incluse organizzazioni come Greenpeace, il Wwf, Rainforest Action Network, ma anche grandi marchi come Ferrero”.  
 
Non bisogna poi dimenticare, ha aggiunto Alain Rival, Resident Regional Director for Southeast Asian Island Countries del centro studi Cirad che: “La palma da olio rappresenta una delle risorse agricole più remunerative nelle regioni tropicali umide e la sua coltivazione ha profondamente trasformato gli stili di vita e l’ambiente di quelle regioni, favorendo nel contempo il loro sviluppo agricolo. Capire quali sono le sfide, i driver e i prerequisiti alla base di tale repentino cambiamento è della massima importanza. Di fronte ad una crescente domanda di olio vegetale e alla necessità di pratiche agricole trasparenti e sostenibili nella gestione delle piantagioni, il settore della palma da olio sta vivendo un processo di intensificazione ecologica tale da cercare di produrre maggiori quantità di olio di palma per unità di superficie coltivata minimizzando al tempo stesso il suo impatto sulle popolazioni locali e l’ambiente”.
 
Alimentazione e salute. Ma la partita si gioca sulla salute. A fare chiarezza, Marco Silano, Direttore del reparto alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto superiore di sanità ricordando che indipendenza e trasparenza delle valutazioni sono i valori dell’Iss. “Abbiamo dato il nostro parere sull’olio di palma dopo molti mesi di lavoro – ha affermato –  e abbiamo concluso che non c’è nessun motivo per cui possa essere considerato come un elemento alimentare con componenti specifiche capaci di determinare effetti negativi sulla salute. Nessun ingrediente è buono o cattivo, tutto va inquadrato in un’analisi totale degli stili di vita e di una dieta equilibrata”.
 
Silano ha poi toccato il problema dei contaminanti di processo, in particolare dell’3MCPD che secondo l’autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) è presente soprattutto nell’olio di palma. “Non fanno parte intrinsecamente di un alimento – ha aggiunto – ma entrano in campo nei processi industriali della materia prima e qualsiasi alimento li presenta. In particolare quelli con lavorazioni lunghe o con alte temperature, pensiamo alle patatine fritte che possono produrre acrilamide, o alla formaldeide, sicuro cancerogeno, che si può produrre nei surgelati se la surgelazione è fatta in modo veloce o senza rispettare la catena del freddo. In linea generale i contaminanti si producono soprattutto se il processo è fatto troppo velocemente o a risparmio di risorse o di materia prima. Inoltre la 3MCPD può contaminare tutti gli oli vegetali. Per questo il sistema normativo delega alle industrie la capacità di ridurre i contaminanti di processo”.
 

Ma quanto fanno male i grassi saturi presenti nell’olio di palma? E soprattutto quant’è forte la correlazione tra grassi saturi e malattie cardiovascolari? A fare luce è stata  Elena Fattore, Ricercatrice Dipartimento Ambiente e Salute, Irccs Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Milano: “A partire dalla fine degli anni settanta – ha spiegato – la riduzione dei grassi saturi è diventato uno dei principali obbiettivi delle raccomandazioni nutrizionali finalizzate alla riduzione della morbilità e mortalità per malattie cardiovascolari. Una delle conseguenze delle raccomandazioni sulla riduzione degli acidi grassi saturi, che sono presenti soprattutto nei grassi animali, è stata l’introduzione nei prodotti alimentari degli acidi grassi trans, derivanti dal processo di idrogenazione degli oli vegetali e marini. Attualmente, sia l’evidenza scientifica esistente al tempo della promulgazione di tali linee guida, che l’evidenza derivante da studi più recenti, sulla relazione tra consumo di acidi grassi saturi e rischio di malattie cardiovascolari è stata messa in discussione. In nessuno degli studi recenti, infatti, è stata confermata relazione causale, mentre è emerso che studi che all’epoca non confermavano la teoria lipidica non erano stati pubblicati, condizionando inevitabilmente sia la ricerca nel settore sia le linee guida nutrizionali che vennero rilasciate successivamente. Al contrario, gli studi più recenti sembrano confermare la pericolosità degli acidi grassi trans”.
 
Ma non solo, forse non tutti sanno che l’acido palmitico ha una centralità peculiare nella nutrizione infantile,a partire dall’allattamento al seno, dove rappresenta il principale acido grasso saturo, con percentuali variabili dal 20 al 25% dei grassi totali.  “Gli acidi grassi del latte materno sono il risultato dell’evoluzione della specie umana – ha sottolineato Carlo Agostoni, Direttore Pediatria Fondazione Irccs Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, secondo il concetto del migliore adattamento possibile. I saturi, in primo luogo il palmitico, sopperiscono a una funzione proenergetica, al pari dei monoinsaturi (l’acido oleico ha concentrazioni comparabili), mentre  i polinsaturi, principalmente rappresentati dall’acido linoleico, provvedono a richieste funzionali, modulando la composizione delle membrane dei tessuti ad elevata specializzazione. La disponibilità di acido palmitico nei primi mesi di vita può essere quindi considerata un elemento regolatore dei depositi e della produzione di energia, ed un indicatore, d’altra parte, di processi di lipogenesi, la via metabolica in grado di portare alla sintesi di acido palmitico quando il bilancio energetico lo permette”. Inoltre l’olio di palma, ha aggiunto “è preferibile rispetto a grassi vegetali ricchi di acidi grassi trans. Per tutti questi motivi è stato utilizzato nelle formule, anche per raggiungere quote di saturi comparabili a quelle del latte materno. E in questo momento non ci sono dati clinici a supporto di manifestazioni negative in seguito a ingestione di olio di palma.
 
E ancora, non bisogna dimenticare che la preparazione di alcuni alimenti richiede l’utilizzo di grassi con specifiche caratteristiche e l’olio di palma è una materia prima naturale molto versatile in quanto grazie alla ricchezza di antiossidanti conferisce stabilità al prodotto. “Le sostanze grasse da scegliere come ingredienti o legate ai processi di trasformazione – ha chiarito Giovanni Lercker dell’Alma Mater Studiorum–Università di Bologna presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agro-Alimentari – è bene sceglierle tenendo conto della loro stabilità all’ossidazione”. L’olio di palma aiuta a preservare il gusto del prodotto durante la sua vita, grazie alla superiore resistenza all’ossidazione rispetto ad altri oli. Fra gli altri vantaggi vi sono gusto e fragranza neutri una volta deodorizzato e la possibilità di separare frazioni liquide e solide per diversi requisiti di consistenza.
 
Le campagne del “senza olio di palma”.  Infine nel corso dell’incontro milanese sono state richiamate le numerose recenti campagne basate sul “marketing del senza”, che molte Azienda hanno sposato. “La promessa ‘senza olio di palma’ – ha spiegato Claudio Bosio, Preside della Facoltà di Psicologia e Professore di Psicologia del marketing e dei consumi presso l’Università Cattolica di Milano –, sembra limitarsi ad una dichiarazione di fatto, ma sul piano pragmatico, tipico della comunicazione sociale, l’enfasi sul ‘non contiene’ evoca e rafforza l’idea che l’ingrediente sia cattivo”.
Ha proposto la sua lettura del fenomeno Giovanni Fattore, Direttore del Dipartimento di Analisi delle Politiche e Management Pubblico e Ricercatore Cergas Bocconi: “Trovo possibili due spiegazioni non alternative. La prima è che i temi della salute alimentare e della sostenibilità ambientale siano diventati un’arma impropria per lotte commerciali tra prodotti, aziende e persino paesi. La seconda spiegazione riguarda la diffidenza per un prodotto tipico dell’Africa prima e dell’Asia dopo. La sensazione che su questo olio sia presente una forma sottile di razzismo: perché coltivato in paesi a basso o medio reddito e perché è sempre stato un prodotto d’importazione di successo in quanto estremamente efficiente da un punto di vista dell’impiego di risorse naturali e umane”.

28 ottobre 2016
© Riproduzione riservata

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