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Inibitori di pompa protonica: l’uso prolungato potrebbe aumentare il rischio di ictus ischemico

di Maria Rita Montebelli

Un vasto studio osservazionale della Danish Heart Foudation  ne correla l’uso ad un aumento del 21% del rischio di ictus ischemico (ma per il pantoprazolo il rischio sarebbe di un incredibile + 94%). Gli esperti chiedono a questo punto una valutazione accurata della safety cardiovascolare dei PPI, attraverso strumenti di indagine adeguati, come gli studi randomizzati caso-controllo. Ma nel frattempo il consiglio è di assumerli solo per il tempo strettamente necessario.

16 NOV - Inibitori di pompa protonica (PPI) ancora nell’occhio del ciclone. Diventati ormai in tutte le classifiche del consumo dei veri e propri farmaci ‘d’abuso’, perchè consumati in maniera smodata e spesso fuori indicazione, potrebbero forse rappresentare anche un pericolo per la salute. Lo suggerisce uno studio presentato ieri a New Orleans al congresso dell’American Heart Association, che ne associa il consumo ad un aumentato rischio di ictus ischemico.
 
L’allarme arriva dalla Danimarca, dove Thomas Sehested, ricercatore presso la  Danish Heart Foundation in Copenhagen (Danimarca) e colleghi hanno analizzato i dati relativi a 244.679 pazienti danesi di età media 57 anni che erano stati sottoposti ad una gastroscopia. Nell’arco di 6 anni di follow up, 9.489 di questi pazienti hanno presentato un ictus ischemico, per la prima volta in vita loro.
 
I ricercatori danesi sono andati a vedere se e  quanti di loro fossero in trattamento con un inibitore di pompa protonica (PPI) ed eventualmente con quale tra i 4 più utilizzati: omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo e esomeprazolo.
 
La ricerca ha dimostrato che complessivamente, tra le persone in trattamento con un PPI il rischio di ictus ischemico risultava maggiorato del 21%, anche se, il trattamento con bassi dosaggi non sembra produrre un aumento significativo del rischio. Rischio che emerge invece forte e chiaro nei soggetti in trattamento con i dosaggi più elevati e differenziato a seconda della molecola: dal + 30% per il lansoprazolo, al + 94% per il pantoprazolo.
 
Nessun aumento di rischio è stato rilevato invece nei soggetti in trattamento con gli antagonisti dei recettori H2 (ranitidina, famotidina).
 
La spiegazione di questo apparente aumentato rischio di ictus ischemico nei soggetti in trattamento con PPI non è semplice ovviamente e va oltre gli scopi di questo, che è uno studio osservazionale e che ha ovviamente molte limitazioni.  I ricercatori danesi fanno notare ad esempio che rispetto ai non utilizzatori, i soggetti in trattamento con PPI erano più anziani e presentavano un maggior numero di comorbilità, quali la fibrillazione atriale (3,4% versus 3,8%). Resta tuttavia il fatto che di fronte ad un sospetto così pesante, a questo punto sarebbe opportuno validare la safety cardiovascolare dei PPI  attraverso studi randomizzati e controllati.
 
Ma nel frattempo il take home message degli autori è molto chiaro: bisogna essere più cauti nell’uso  dei PPI, soprattutto nell’utilizzo prolungato, ad alte dosi e in particolare negli anziani.  Fino a qualche tempo fa si riteneva che fossero assolutamente scevri da rischi , ma già da qualche tempo stanno emergendo delle preoccupazioni sulla loro safety cardiovascolare e quest’ultimo studio naturalmente non tranquillizza affatto al riguardo. 
 
“I medici che prescrivono i PPI – affermano gli autori dello studio – dovrebbero considerare con attenzione se è realmente necessario somministrarli e per quanto tempo. Sappiamo da studi precedenti che molti pazienti assumono i PPI per molto tempo, molto più a lungo di quanto indicato. E questo vale soprattutto per gli anziani”.
 
Un problema non da poco naturalmente quello dei PPI anche perché in Paesi come gli Stati Uniti questi farmaci sono ormai disponibili come OTC e in tutto il resto del mondo, Italia compresa, se ne fa un uso smodato.
 
Maria Rita Montebelli

16 novembre 2016
© Riproduzione riservata

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