Dimmi che emoji alleghi ai tuoi messaggi sul cellulare e ti dirò chi sei. Arriva la “cyber-psicologia”
di Maria Rita Montebelli
Un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane pubblica su Trends in cognitive sciences una sorta di call to action per gli psicologi di tutto il mondo. È arrivato il momento di attingere a piene mani ai database dei social network e della messaggistica online, infiocchettata di emoticon ed emoji. Miniere di informazioni gratuite e alla portata di tutti. E la psicologia del terzo millennio diventa inevitabilmente ‘cyber’
17 GEN - Trovare nuove chiavi interpretative del comportamento umano, leggendolo attraverso i comportamenti
online, così pervasivi nella nostra società digitale. Questa la proposta di un gruppo di psicologhe di università inglesi e australiane (
Linda K. Kaye,
Helen J. Wall e
Stephanie A. Malone) autrici di un lavoro pubblicato su
Trends in cognitive sciences (Cell press).
La comunicazione, attività vitale per tutti, si avvale di comportamenti verbali e non verbali, questi ultimi spesso più importanti e portatori di significato della comunicazione verbale.
Traslando questi concetti alla comunicazione scritta, che ha avuto un boom nella forma prima degli SMS (
Short Message Service) poi sulle varie piattaforme dei social network, è evidente che i semplici messaggi di testo non avrebbero potuto sopravvivere a lungo in modalità
basic.
E se siti quali
Instagram hanno da subito fatto delle immagini il loro cavallo di battaglia e il principale mezzo di comunicazione, per tutti gli altri social network, e a maggior ragione per i messaggi di testo via SMS o whatsapp, si è assistito nel tempo all’inarrestabile boom delle emoji.
Certo, le faccine sorridenti e i disegnini naive, non sono così efficaci da vicariare l’interazione del faccia a faccia di un incontro reale o anche virtuale, come quello di una videochiamata. Ma di fatto, che le emoji sono entrate di prepotenza nella quotidianietà della messaggistica e non accennano a tramontare. Anzi, il loro repertorio si arricchisce e si amplia periodicamente.
Gli antenati delle emoji sono le
emoticon, nate negli anni ’80 come ‘faccine’ disegnate con i segni di interpunzione (come lo
smile :) o la faccina arrabbiata :( ). Solo negli anni ’90 un’azienda giapponese inventa le emoji, i pittogrammi colorati destinati ai telefoni cellulari. E oggi, a distanza di una ventina d’anni, si calcola che ad usarle sia oltre il 90% della popolazione.
Una fonte di informazione preziosa dunque e sebbene le ricerche sull’uso di emoticon/emoji sia ancora agli albori, gli esperti ritengono che siano strumenti preziosi per sondare la personalità dei loro utilizzatori. Una data base sterminato insomma alla portata di tutti, vista l’accessibilità di molte piattaforme
online, e la possibilità di esplorare il comportamento umano attraverso la lente della contemporaneità.
“Lavori pionieristici sull’analisi cognitiva delle
emoticon - scrivono le tre psicologhe - rivelano che possono servire come utili forme di comportamento non verbale, oltre a rivelare nuovi aspetti dei meccanismi cognitivi e neurali coinvolti nella comunicazione digitale.” Alcuni studi ad esempio sono andati alla ricerca dei neurocorrelati delle frasi infiocchettate di
emoticon per capire quali regioni cerebrali siano coinvolte in questa forma di comunicazione a metà tra il verbale e il non verbale. Pare che ad attivarsi siano sia il giro frontale inferiore destro, che il sinistro (quest’ultimo coinvolto soprattutto in compiti verbali).
Dal punto di vista dei rapporti interpersonali, le emoji sono eccellenti strumenti di disambiguazione, in grado ad esempio di chiarire il tono di un determinato messaggio. E per questo sono considerate un po’ alla stregua della comunicazione non verbale veicolata dai gesti o dalle espressioni del viso durante un discorso. Le emoji insomma danno quella pennellata di emozioni che si viene spesso a perdere in assenza di un’interazione faccia a faccia e forniscono agli utilizzatori una ‘tavolozza’ alla quale attingere per chiarire l’aspetto emotivo di un concetto.
“I dati digitali – scrivono le autrici – forniscono un modo nuovo ed eccitante per riesaminare molti concetti psicologici relativi a percezione e comunicazione, comprese le espressioni emotive, la mimica emotiva, la valutazione emotiva, la pragmatica e la scoperta delle intenzioni. Facendo un’analisi comparata dei comportamenti faccia a faccia con quelli
online sarà possibile stabilire se i comportamenti attuali, come l’utilizzo delle emoji, possano essere considerati vere forme di emozione a livello neurologico e interpersonale”.
In conclusione, le interazioni virtuali sono sempre più comuni nella vita quotidiana e rappresentano una miniera di informazioni pronta per essere utilizzata da addetti ai lavori e non solo.
E l’invito ai ricercatori di tutto il mondo è dunque quello di studiare i comportamenti
online della gente per cercare di svelare nuovi meccanismi in grado di migliorare la nostra comprensione del comportamento umano.
Maria Rita Montebelli
17 gennaio 2017
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