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Vademecum per l’attività fisica con patologie croniche e disabilitanti

di Maurizio Massucci (Simfer)

L’attività fisica non è rischiosa ed ha poche controindicazioni, che possono facilmente essere identificate nel corso della visita medica e eventualmente approfondite con opportuni accertamenti. Può inoltre fare risparmiare, la ricerca ha infatti dimostrato che per persone con alcune patologie croniche svolgere un’attività fisica costante in programmi strutturati e controllati riduce la necessità di ricorso a terapie e determina un risparmio di risorse per il Ssn.

14 FEB - Che l’attività fisica in generale sia benefica per la salute e che si debba praticarla costantemente ad ogni età della vita è un dato ben conosciuto. Il fatto che l’esercizio fisico strutturato sia efficace per molte patologie croniche come ad esempio il diabete, lo scompenso cardiaco, alcune malattie neoplastiche, il mal di schiena e l’artrosi è dimostrato dalla recente letteratura scientifica. E’ risaputo inoltre che l’esercizio fisico migliora il tono dell’umore e l’autostima e la socializzazione delle persone.
 
Ma quale esercizio e per quali persone? Tutti possono fare tutto? Le persone anziane e con disabilità possono fare attività fisica? Ci sono dei rischi? E chi può indirizzare correttamente queste persone all’attività fisica?

A queste domande ha cercato di dare risposta la Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa nel rapporto su “Attività fisica e salute”, prodotto nel quadro della collaborazione con Happy Ageing, l’Alleanza italiana per l’invecchiamento attivo costituita nel 2014 insieme a vari partners, come la Società Italiana di Igiene, la Società Italiana di Geriatria e Gerontologia, i sindacati FNP CISL, SPI CGIL e UIL Pensionati, la Federazione Anziani e Pensionati ACLI e Federsanità ANCI ed altri soggetti.

Il documento è stato presentato nell’ottobre 2016 durante il 44° Congresso Nazionale SIMFER di Bari, in una sessione condotta da Maurizio Massucci e Donatella Bonaiuti (Consiglieri Nazionali SIMFER), Michele Conversano e Marco Magheri (rispettivamente Presidente e Direttore di Happy Ageing) e Filippo Anelli (Segretario FIMMG regione Puglia). Dunque un testo basato su dati scientifici, scritto con taglio divulgativo per essere fruibile ai cittadini che vogliono essere correttamente informati ed orientarsi nel mondo dell’attività fisica. Commentando il fatto che il Comitato Regionale Europeo dell’OMS nel 2011 ha stabilito che, in risposta al rapido invecchiamento demografico in atto in Europa, per raggiungere gli obiettivi della “Salute 2020” sono necessarie politiche efficaci per l’invecchiamento sano ed attivo, il documento precisa che non tutte le forme di attività fisica producono gli stessi benefici e sono indicate per tutte le persone.
 
Per questo è innanzitutto necessario fare chiarezza sui termini:
“Attività fisica”: qualunque movimento attivo corporeo prodotto dai muscoli; questa definizione comprende lo sport e altre attività come giocare, camminare, dedicarsi ai lavori domestici o al giardinaggio.
 
“Esercizio” (o “ginnastica” e, in senso esteso, “allenamento”): indica una serie di movimenti ripetitivi, codificati e organizzati volti al miglioramento o al mantenimento di uno o più componenti della forma fisica.
 
“Esercizio terapeutico” consiste in attività motorie strutturate volte a recuperare la funzione persa o ridotta in seguito ad un evento patologico o traumatico nel quadro della così detta rieducazione funzionale, e rientra nell’ambito delle attività sanitarie di riabilitazione. Lo scopo è restituire il paziente al proprio contesto di vita nelle migliori condizioni di autonomia possibili.

L'attività fisica quindi non è da confondersi con la riabilitazione e non va considerata una pratica specificamente “sanitaria”; rientra tuttavia a pieno titolo nell’ambito delle attività che hanno impatto sulla salute, e come tale è da incentivare nell’ambito della prevenzione e della promozione di adeguati stili di vita. Va detto però che non tutte le attività fisiche sono appropriate in rapporto alle condizioni della persona cui si propongono. Il documento propone una classificazione delle “attività fisiche” in:

1) “Attività fisica per la salute": si tratta di una serie di attività di vario tipo, di diversa intensità ma di norma a basso-medio impegno energetico, valide per la grande maggioranza delle persone, senza distinzione di età e di condizione fisica. Fanno parte di questa categoria, ad esempio, le cosiddette "ginnastiche dolci" che hanno come obiettivo la riattivazione o mantenimento dell’efficienza psicofisica e dell’autonomia nelle azioni quotidiane, oltre ad avere spesso effetto sulle relazioni e attività sociali. Altro esempio sono i cosiddetti “gruppi di cammino”: percorsi pedonali svolti in compagnia (con ritmo da leggero ad intenso), di norma seguiti da accompagnatori esperti.

2) “Attività Fisica Adattata” (AFA): è un’attività fisica specifica per gruppi omogenei ed adattata alla persona. E’ rivolta a chi ha una forma cronica e lieve-moderata di disabilità in condizioni di relativa stabilità, cioè in una fase che non necessita di interventi specifici di riabilitazione (spesso al termine di questa) e per cui è raccomandata un’attività di mantenimento. Parliamo ad esempio di persone che soffrono di dolori cronici agli arti inferiori o del comune “mal di schiena”. In questi casi limitarsi a ripetere "cicli" periodici di riabilitazione durante l'anno può essere inappropriato. Il beneficio fisico ottenuto con il "ciclo" riabilitativo infatti può anche non derivare dagli effetti terapeutici dell'esercizio riabilitativo in sè stesso ma semplicemente dalla ripresa strutturata di un'attività motoria; in questo caso l’effetto è spesso solo transitorio e cessa poco dopo il termine del periodo di trattamento.

3) “Attività Fisica Adattata speciale”: si tratta di forme di attività fisica adattate a gruppi di persone che hanno disabilità di grado moderato-severo ad andamento cronico ma sempre relativamente stabilizzato (ad esempio malattia di Parkinson, esiti di ictus cerebrale, Sclerosi Multipla, ecc.) in assenza quindi di indicazione alla riabilitazione specifica o più spesso al termine di questa.

Si tratta quindi di sfatare lo stereotipo, purtroppo ancora frequente, per il quale l’attività fisica possa nuocere alla persona con disabilità. E’ vero tutto il contrario: l’adozione di uno stile di vita sedentario contribuisce quasi sempre ad aggravare gli effetti negativi di una patologia disabilitante.

Ma come può orientarsi una persona che voglia mantenersi o diventare attivo, anche nelle età avanzate, ed intenda iniziare un programma di attività fisica? A quale tipo di attività orientarsi ed a chi rivolgersi? La risposta è di rivolgersi al proprio Medico di Medicina Generale o, nel caso di persone con patologie disabilitanti, al medico Fisiatra. Questi, dopo una valutazione clinica, indicherà un programma ritagliato per quella persona che sarà diverso a seconda dell'età, della presenza o meno di malattie più o meno invalidanti e/o livelli differenti di disabilità, tenendo conto della situazione socio-ambientale della persona.

L’attività fisica non è rischiosa ed ha poche controindicazioni, che possono facilmente essere identificate nel corso della visita medica, e eventualmente approfondite con opportuni accertamenti. Le esperienze in corso già da diversi anni in molte parti d’Italia hanno confermato che i programmi AFA si possono adattare ad una grande varietà di situazioni in modo sicuro, e la loro validità è ribadita da tempo anche in documenti normativi nazionali, quali il Piano di indirizzo per la Riabilitazione del 2011.

L’attività fisica può fare risparmiare. La ricerca ha dimostrato che per persone con alcune patologie croniche (malattie respiratorie, ad esempio) svolgere un’attività fisica costante in programmi strutturati e controllati nel tempo permette l’ottenimento ed il mantenimento di buoni risultati in termini di performance fisica e cardiorespiratoria e di qualità della vita, riducendo al contempo la necessità di ricorso a terapie e, più in generale, potendo determinare un significativo risparmio di risorse per il Sistema Sanitario. Al contrario un basso livello di attività fisica sembra uno dei fattori che, in condizioni di disabilità cronica, si associa ad un più elevato consumo di risorse sanitarie.

Il documento si conclude con l’impegno congiunto di SIMFER ed Happy Ageing a promuovere l'attività fisica regolare per le persone con disabilità, fornire un supporto informativo e di orientamento agli utenti, soprattutto anziani con problematiche disabilitanti, promuovere un uso consapevole ed appropriato delle terapie farmacologiche e degli interventi riabilitativi e stimolare le istituzioni sanitarie a farsi garanti dell'appropriatezza dei percorsi di attività fisica.
 
Maurizio Massucci
Consigliere di Presidenza
Società Italiana di Medicina Fisica e Riabilitativa 


14 febbraio 2017
© Riproduzione riservata

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