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Ictus da fibrillazione atriale: l’84% dei pazienti non fa profilassi

di Maria Rita Montebelli

L’allarme arriva da uno studio americano pubblicato su JAMA che ha evidenziato come un'altissima percentuale dei pazienti con ictus tromboembolico in corso di fibrillazione atriale non stava facendo profilassi antitrombotica o assumeva un anticoagulante non in range terapeutico al momento dell’ictus. E questo nonostante le linee guida siano molto chiare riguardo l’importante abbattimento del rischio di ictus comportato da questi farmaci

15 MAR - Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E mai proverbio è stato tanto più vero per quanto riguarda l’impressionante iato tra le linee guida e la loro implementazione nella pratica clinica quotidiana.
Oltre l’80% dei pazienti con ictus e storia di fibrillazione atriale si troverebbero nella condizione di non aver ricevuto un trattamento anticoagulante a dosaggio adeguato o addirittura nessun trattamento prima dell’evento, nonostante tutte le linee guida raccomandino la profilassi anticoagulante dell’ictus tromboembolico nei soggetti affetti da questa aritmia.
 
A dare la poco edificante notizia sono i ricercatori del Duke Clinical Research Institute, autori di uno studio pubblicato su JAMA. Lo stesso gruppo afferma anche che nei pazienti in terapia anticoagulante gli esiti di un ictus sono risultati comunque meno gravi e il rischio di mortalità ridotto.
 
“La fibrillazione atriale – ricorda Ying Xian, professore associato di neurologia alla Duke e autore dello studio – è una condizione molto comune e chi ne soffre presenta un rischio molto aumentato di rimanere vittima di un ictus. Le linee guida raccomandano di trattare questi pazienti con anticoagulanti (come il warfarin o i nuovi anticoagulanti) a dosaggio terapeutico, eppure queste indicazioni sono spesso disattese”.
 
Lo studio appena pubblicato su JAMA ha interessato oltre 94 mila pazienti con fibrillazione atriale, ricoverati per ictus (ottobre 2012-marzo 2015) presso 1622 ospedali aderenti al registro dell’American Heart Association “Get with the Guidelines-Stroke”. L’analisi di questa enorme mole di dati è stata sponsorizzata dall’Istituto di ricerca ‘Patient-Centered Outcomes’ per informare medici, pazienti e popolazione generale su cosa si intenda per terapia ottimale dell’ictus.
 
Dallo studio emerge che solo il 16% dei pazienti con fibrillazione atriale era stato messo in trattamento anticoagulante, prima dell’ictus e che dunque ben l’84% di questi pazienti non era trattato secondo le indicazioni delle linee guida. Uno su 3 non assumeva alcun tipo di trattamento anti-trombotico; il 40% era in trattamento con antiaggreganti piastrinici (aspirina a basse dosi o clopidogrel); il 13,5% era in terapia con warfarin, ma non in range terapeutico al momento dell’ictus.
 
“E’ chiaro che alcuni di questi pazienti potevano avere una controindicazione al trattamento anticoagulante (come un elevato rischio di sanguinamento) – ammette Xian -  ma per almeno i 2/3 di loro non abbiamo rintracciato alcuna ragione per non fare questa terapia”.
 
La terapia anticoagulante riduce moltissimo il rischio di ictus tromboembolico, ma senza azzerarlo del tutto. Gli autori dello studio fanno tuttavia notare che nei soggetti in profilassi anticoagulante, l’ictus tende ad essere comunque meno grave, a dare cioè un minor grado di disabilità e una mortalità inferiore.
 
“Tutti questi risultati – conclude Xian – mettono in luce i costi umani della fibrillazione atriale e l’importanza della profilassi anti-trombotica. Una maggior aderenza alle linee guida sulla fibrillazione atriale potrebbe ridurre in maniera sostanziale sia il numero che la gravità degli ictus. Ogni anno negli USA si potrebbero risparmiare dai 58.000 agli 88.000 ictus, se le linee guida venissero applicate in maniera appropriata”.
 
Maria Rita Montebelli

15 marzo 2017
© Riproduzione riservata

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