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Sla, una proteina ne predice l’aggravarsi. Lo dimostra uno studio el Centro Clinico NeMO–Città della Salute di Torino


Lo studio mostra che ad elevati livelli di proteina C-reattiva corrispondono una più rapida progressione della malattia e una minore sopravvivenza dei pazienti. “La proteina potrà diventare strumento per predire precocemente la prognosi della malattia”, spiegano i ricercatori. Attivato uno studio in Usa per verificare l’efficacia di un nuovo farmaco su pazienti selezionati in base a questo parametro.

03 APR - Una ricerca del Centro Clinico NeMO, in collaborazione con il Centro Regionale Esperto per la Sclerosi Laterale Amiotrofica (Cresla) dell'ospedale Molinette della Città della Salute di Torino, dimostra che la misurazione nel sangue nelle fasi iniziali della malattia della proteina C-reattiva, una molecola nota da tempo e facilmente dosabile, può essere utilizzata per predire l’aggressività di una delle patologie neuromuscolari più gravi e note, la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA), da cui sono affette oggi in Italia oltre 6000 persone. Ad alti valori di questa proteina, infatti, sono associati una più rapida progressione della malattia ed una ridotta sopravvivenza.

“La proteina C-reattiva – spiega inoltre la Città della Salute in una nota - potrà anche diventare in futuro strumento per selezionare pazienti potenzialmente rispondenti a specifiche molecole mirate alla modulazione della cosiddetta neuroinfiammazione, cioè la componente infiammatoria che si scatena nel sistema nervoso quando è colpito da malattie neurodegenerative come la Sla”.

Già oggi è in corso negli Stati Uniti uno studio su pazienti con alti livelli di questa proteina per verificare l’efficacia di uno specifico farmaco modulatore dell’attività dei macrofagi, cellule chiave nei processi neuroinfiammatori, i cui risultati saranno disponibili nei prossimi mesi.

Lo studio del Centro Clinico NeMO, guidato da Christian Lunetta, è stato sviluppato in collaborazione con il Cresla dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino e sarà pubblicato oggi sulla rivista scientifica JAMA Neurology.

Lo studio
La proteina c-reattiva è una proteina prodotta dal fegato e dalle cellule adipose, cioè del grasso corporeo. Nella fase più acuta di alcune patologie, nei processi infiammatori e dopo gli interventi chirurgici questa proteina è prodotta in misura superiore al normale, raggiungendo così una maggiore concentrazione nel sangue. In generale l’aumento di questa sostanza nel sangue è associato a situazioni in cui l’organismo è sottoposto a forti stress.

I ricercatori dei due Centri hanno individuato la relazione tra alte concentrazioni di proteina C-reattiva, il conseguente forte processo infiammatorio in corso nell’organismo e l’aggressività della SLA nei diversi pazienti analizzando i dati raccolti nella sperimentazione di un nuovo farmaco, NP001, che ha tra le sue caratteristiche anche una funzione di modulatore dell’attività di cellule implicate nei processi infiammatori. I ricercatori hanno osservato che questo farmaco era efficace solo su una parte dei pazienti coinvolti nello studio ed hanno pertanto ricercato che cosa li caratterizzasse. Il risultato di questa indagine è stato che tutti i pazienti che rispondevano alla terapia presentavano un alto livello di proteina C-reattiva nel sangue.

A supporto di questa ipotesi i ricercatori hanno, inoltre, analizzato i dati della storia clinica di tre gruppi differenti di pazienti in fase iniziale e privi di evidenze di processi infiammatori in altri distretti, provenienti da Lombardia e Piemonte, ed hanno osservato che ad alti livelli di proteina C-reattiva corrisponde un quadro clinico del paziente più grave secondo la ALS Functional Rating Scale Revised (ALSFRS-R), la scala di misurazione usata a livello internazionale che permette di esplorare i principali ambiti funzionali (funzione bulbare, destrezza motoria, forza globale, respirazione), descrivendone il grado di compromissione e fornendo un quadro delle capacità residue e del grado di autonomia del paziente. Inoltre, è stato rilevato che la sopravvivenza alla malattia in questi pazienti era più breve. Lo studio in corso negli Stati Uniti per verificare l’efficacia di un modulatore dell’attività infiammatoria nei pazienti con alti livelli di proteina C-reattiva impiega proprio il farmaco NP001.

“Capire il ruolo dell’infiammazione nella progressione della malattia – afferma Christian Lunetta, neurologo del Centro Clinico NeMO e primo autore dello studio - sarà fondamentale per i ricercatori che stanno lavorando a possibili terapie per il trattamento della SLA, perché proprio la modulazione dei processi neuroinfiammatori della SLA potrà divenire una strategia terapeutica interessante da sviluppare in questa terribile malattia. E’ importante, però, ricordare che si tratta ancora di una ricerca e non di una terapia disponibile nell’attività clinica quotidiana, passo per il quale potrebbero essere necessari alcuni anni”.

“La ricerca sulla SLA in questi anni – spiega Adriano Chiò, responsabile del Centro Regionale Esperto per la SLA dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torin  - si sta orientando all’individuazione di meccanismi regolatori del processo degenerativo della malattia. La neuroinfiammazione sta emergendo come uno dei meccanismi di maggiore interesse, perché suscettibile in futuro di interventi terapeutici mirati, adattati alle caratteristiche del singolo paziente. La nostra ricerca va appunto in questa direzione.”  

Alberto Fontana, presidente del Centro Clinico NeMO, sottolinea: “Il Centro Clinico NeMO è oggi noto soprattutto come centro che eccelle per la presa in carico dei pazienti ed una ricerca della SDA dell’Università Bocconi ha recentemente mostrato che quanto sia efficace il suo approccio omniservice, in cui il paziente è messo al centro e gli specialisti necessari ruotano intorno a lui. Ma il nostro obiettivo per i prossimi anni sarà sviluppare la ricerca per dare una risposta terapeutica alle malattie neuromuscolari, a oggi purtroppo ancora incurabili. Per questo motivo questo risultato ci riempie di orgoglio e a Milano e a Roma stiamo aprendo nuovi spazi dove sviluppare e sperimentare le terapie più avanzate”.

03 aprile 2017
© Riproduzione riservata

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