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Vivere in città? Fa bene alle relazioni sociali e anche alla salute

di Matthew Ponsford

I residenti di un centro cittadino –  anche se stipati in case anguste o in grandi caseggiati - sono più attivi e socialmente impegnati di coloro che vivono nelle periferie, secondo quanto hanno riportato i ricercatori di Oxford e di Hong Kong in una relazione che mira a sfidare le credenze popolari sulla vita cittadina. Inoltre le persone che vivono in zone urbane hanno livelli più bassi di obesità e praticano più attività fisica di coloro che risiedono in case isolate e periferiche

10 OTT - (Reuters Health) - I centri urbani affollati offrono una vita migliore rispetto alla periferia delle città, quando si tratta di benessere sociale, almeno nel Regno Unito dove i ricercatori dell’Università di Oxford, insieme a quelli di Hong Kong, hanno condotto uno studio pubblicato su The Lancet Planetary Health. La ricerca, i cui risultati contraddicono le più antiche credenze popolari in merito, avrebbe dimostrato che la vita attiva dei centri cittadini, rendono le persone più sane e sostanzialmente più felici.

Promuovere i vantaggi della vita in città
I residenti di un centro cittadino –  anche se stipati in case anguste o in grandi caseggiati - sono più attivi e socialmente impegnati di coloro che vivono nelle periferie, secondo quanto hanno riportato i ricercatori di Oxford e di Hong Kong in una relazione che mira a sfidare le credenze popolari sulla vita cittadina. Gli autori hanno detto che i loro risultati dovrebbero incoraggiare i politici a promuovere i lati positivi della vita nelle grandi città.
 
"Se possiamo convincere i responsabili politici che questa è un'opportunità per la salute pubblica, possiamo costruire comunità ben progettate e, a lungo termine, con grandi vantaggi per la salute - spiegano gli autori - Possiamo pianificare quartieri multifunzionali e attraenti che promuovano l'attività fisica e l’interazione sociale e che favoriscono la protezione dai fattori negativi come l'inquinamento e la scarsa sicurezza".

Più attivi nei centri urbani
Il nuovo studio ha mostrato che in 22 città britanniche, le persone che vivevano in zone residenziali avevano livelli più bassi di obesità e praticavano più attività fisica di coloro che risiedono in case isolate e periferiche. "Poiché le città diventano sempre più compatte, diventano più percorribili a piedi: nelle aree residenziali più dense di popolazione, vi sono destinazioni più facili da raggiungere e più attraenti, cioè meno dipendenti dall’uso dell’auto, così si usano di più i trasporti pubblici", spiegano gli autori.

Chinmoy Sarkar, professore ordinario dell'UHK e coautore dello studio, è convinto che sia necessaria una pianificazione urbana improntata a raggiungere precisi obiettivi, piuttosto che affidarsi a miti urbani su ciò che fa funzionare le città. In pratica, lo studio ha mostrato che le aree della periferia suburbana con circa 18 case per ettaro - come i quartieri mal progettati vicino alle autostrade, dove l’auto è l'unica opzione per spostarsi - avevano i più alti tassi di obesità e i tassi più bassi di attività fisica. Le aree suburbane con poche case - spesso comunità privilegiate con grandi giardini e spazi aperti - erano più sane di queste, ma erano comunque rimaste in coda alla graduatoria, rispetto alle aree dei centri urbani affollati.
 
Potersi muovere a piedi è ciò che fa la differenza più grande, ha detto Sarkar, ovvero l'interazione sociale e l'attività fisica prosperano meglio nelle comunità ‘compatte’. Va tenuto conto del fatto che questo studio ha confrontato più di 400.000 persone residenti in città - tra cui Londra, Glasgow e Cardiff - e ha trovato il miglior benessere in aree con più di 32 case per ettaro, la densità media per gli edifici di recente costruzione in Gran Bretagna. Questa valore soglia del numero di edifici, corrispondente a meno di un quarto della densità delle case georgiane con terrazze caratteristiche dei quartieri più ambiti di Islington e Notting Hill a Londra.

Fonte: The Lancet Planetary Health

Matthew Ponsford

(Versione italiana Quotidiano Sanità/ Popular Science)

10 ottobre 2017
© Riproduzione riservata

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