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L’esercizio fisico modifica la composizione del microbiota e protegge dalle malattie infiammatorie intestinali

di Maria Rita Montebelli

Due sofisticati studi condotti presso l’Università dell’Illinois, dimostrano che è possibile modificare la composizione del microbiota intestinale attraverso un allenamento costante. Le modifiche riguardano sia la composizione dei batteri, che il loro profilo metabolico, facendo prevalere ceppi produttori di acidi grassi a catena corta, con un effetto anti-infiammatorio e protettivo per la salute delle cellule intestinali. Le ricadute benefiche dell’esercizio si osservano prevalentemente nei soggetti magri.

05 DIC - E’ la conferma definitiva di quanto si sospettava da tempo e a fornirla sono due studi, uno su modello animale, l’altro condotto sull’uomo.
L’esercizio fisico, pietra angolare di qualunque progetto di prevenzione e di terapia delle malattie croniche, è in grado di modificare la composizione del microbiota intestinale, al netto di influenze dietetiche o legate alla somministrazione di antibiotici.
 
Lo studio sui ratti ‘allenati’
Tra i vari benefici dell’esercizio fisico, c’è quello di ridurre il rischio di malattie infiammatorie, attraverso la modulazione di una serie di cellule e tessuti, compresi quelli del tratto gastro-intestinale. Studi recenti indicano che l’esercizio fisico è in grado anche di alterare la composizione del microbiota intestinale, ma non era noto se queste alterazioni avessero un impatto sulla salute dell’ospite.
 
Per far luce su questo aspetto, un gruppo di ricercatori della University of Illinois di Urbana-Champaign (Usa), in collaborazione con studiosi della Mayo Clinic di Rochester (Minnesota, Usa) ha trapiantato il microbiota di due gruppi di ratti (uno sedentario, l’altro sottoposto ad ‘allenamento’ su una ruota girevole) in un ceppo di ratti germ-free per valutarne la risposta alla colonizzazione. A distanza di 5 settimane dal trapianto di microbiota, i ricercatori sono andati ad analizzare i tessuti degli animali.
 
In un secondo esperimento, altri ratti germ-free, dopo essere stati colonizzati separatamente con il microbiota dei ratti sedentari o di ratti allenati per quattro settimane, sono stati sottoposti all’induzione di una colite chimica mediante somministrazione di destrano-sodio solfato; anche in questo caso si è proceduto in seguito all’esame dei tessuti degli animali trapiantati.
 
Il fatto di ricevere un trapianto di microbiota da un ‘donatore’ sedentario o da uno allenato, ha prodotto nei ratti germ-free una serie di differenze in termini di composizione del microbiota (i trapiantati da donatori allenati presentavano un maggior numero di batteri in grado di produrre butirrato, un acido grasso a catena corta con effetto protettivo sulle cellule intestinali, ad azione anti-infiammatoria), del profilo metabolico, dell’infiammazione del colon e della massa corporea, a distanza di 5 settimane dal trapianto.
 
Il microbiota proveniente dagli animali allenati ha prodotto dunque negli animali trapiantati, un effetto parzialmente protettivo contro la colite chimica. Alla luce di questo riscontro, gli autori concludono che le modificazioni indotte dall’esercizio sul microbiota intestinale possono mediare delle interazioni ospite-microbi con ricadute potenzialmente benefiche sull’ospite.
 
“Gli animali trapiantati con il microbiota proveniente dai topi allenati – commentano gli autori dello studio – hanno presentato una risposta attenuata alla colite chimica; abbiamo evidenziato una riduzione dell’infiammazione e un aumento di molecole rigenerative che accelerano la guarigione”.
 
Lo studio sull’uomo
Il secondo studio sull’argomento, pubblicato su Medicine & Science in Sports & Exercise sempre da ricercatori della University of Illinois di Urbana-Champaign (Usa), ma condotto questa volta sull’uomo, ha dimostrato che l’allenamento induce delle alterazioni sia sulla composizione, che sulla funzione del microbiota umano. Queste alterazioni risultano dipendenti dalla presenza o meno di obesità, ma sono indipendenti dalla dieta.
 
I ricercatori americani hanno sottoposto a sei settimane di allenamento (3 giorni a settimana di allenamento di resistenza) 18 soggetti magri e 14 soggetti obesi, tutti in precedenza con abitudini sedentarie. Nel corso delle settimane, l’allenamento veniva portato da 30 a 60 minuti al giorno e da un’intensità moderata ad una strenua (cioè fino al 75% della riserva di frequenza cardiaca, HRR).
 
Successivamente, i partecipanti allo studio tornavano ad una vita sedentaria per un periodo di washout di sei settimane. A tutti venivano prelevati campioni di feci prima e al termine del periodi delle sei settimane di allenamento e dopo il washout di sei settimane.
 
L’analisi del microbiota ha rivelato che l’esercizio induce alterazioni nella composizione del microbiota, che variano però in base alla presenza o meno di obesità. In particolare, l’esercizio fisico aumenta le concentrazioni fecali di acidi grassi a catena corta (SCFA), in particolare di butirrato, nei soggetti magri, ma non in quelli obesi. Parallelamente sono state riscontrate alterazioni nell’attività metabolica del microbiota che riflettono alterazioni nei geni e nelle specie batteriche in grado di produrre acidi grassi a catena corta. Infine, le alterazioni indotte dall’esercizio svaniscono praticamente del tutto, una volta tornati ad una vita sedentaria.
 
“Il significato di questi risultati è che ci sono chiare differenze di risposta del microbiota all’esercizio, a seconda che si sia magri o obesi. In futuro condurremo ricerche ad hoc per cercare di comprendere cosa determina questa diversa risposta”.
 
“Questi sono comunque  i primi studi ad aver dimostrato che l’esercizio fisico è in grado di influenzare la composizione del microbiota – afferma Jeffrey Woods, professore di cinesiologia  e salute comunitaria presso la University of Illinois - indipendentemente dalla dieta o da altri fattori”.
 
Maria Rita Montebelli

05 dicembre 2017
© Riproduzione riservata

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