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Polmonite. Vaccino pronto anche per gli ultracinquantenni


Nel 2009 la polmonite è stata la sesta causa di ospedalizzazione in Italia e nel 2008 ha causato il decesso di 6.905 ultra65enni. Età avanzata, comorbilità, terapie immunosopressive, anche alcol e fumo, sono fattori di rischio. Ora per il vaccino 13valente c'è l'estensione agli over 50.

09 NOV - La polmonite è una malattia anche molto grave, con conoscenze però ancora legate alla concezione popolare e sottovalutazione dei fattori di rischio e delle possibilità di prevenzione con la vaccinazione. Nel 2009 la polmonite è stata la sesta causa di ospedalizzazione in Italia e nel 2008 ha causato il decesso di 6.905 ultra65enni, l’incidenza annuale è di circa 1,7 casi ogni 1000 abitanti: il maggiore responsabile in assoluto è lo Streptococcus pneumoniae o Pneumococco (ci sono forme batteriche e virali), in ogni fascia d’età, tra non ospedalizzati od ospedalizzati o in terapia intensiva.
 
Contro questo patogeno l’indicazione del vaccino coniugato 13valente già in uso da dieci anni per i primi anni di vita è stata ora estesa anche al di sopra dei 50 anni di età.“L’infezione ha un picco nel bambino piccolo e nell’anziano dopo i 65, ma l’incidenza sale progressivamente dai 50 anni” spiega Francesco Blasi, professore di Medicina respiratoria dell’Università degli studi di Milano, alla presentazione di un’indagine Censis sulla percezione della patologia nell’adulto. “Lo pneumococco può causare forme anche gravi e con mortalità elevata per la facilità di diffondersi nel sangue e infettare altri organi oltre ai polmoni, è particolarmente efficiente nel superare le difese: ecco perché è rischioso oltre che nel bambino piccolo in cui sono immature, nell’anziano nel quale diminuiscono anche per la presenza aggravante di comorbilità (soprattutto cardiovascolari, respiratorie, insufficienza renale, diabete), di terapie immunosoprressive (come il cortisone), di fattori quali fumo e alcol”. Dopo i 65 anni lo pneumococco è responsabile fino al 60% di tutte le polmoniti; il batterio causa anche altre forme quali, soprattutto nei bambini, otiti, faringiti e meningiti.
 
Dall’indagine della Fondazione Censis, con il contributo Pfizer, condotta su un campione di 1.200 italiani tra 50 e 80 anni, emergono consapevolezze sulla polmonite (il 96% sa cosa sia), sulla sua gravità e sul rischio legato nell’accezione popolare al freddo e all’influenza, mentre appaiono sottovalutati i fattori età avanzata (citato in sesta posizione dal 60%) e presenza di patologie croniche (42,7%), seguiti da altri quali contatto con persona infetta o fumo e alcol. “L’85% degli intervistati non si sente “anziano”, persino il 67% degli over 70, per la maggioranza si diventa tali quando pesano problemi di salute: si sottovaluta quindi l’indebolimento delle difese immunitarie con l’età” analizza Ketty Vaccaro, responsabile settore Welfare del Censis. “C’è una percezione soggettiva della suscettibilità al rischio, oltre a scarse conoscenze sul vaccino; il 70% non si dichiara potenzialmente interessato perché non si riconosce a rischio; ma si vorrebbe essere più informati sul vaccino, soprattutto dal medico di famiglia che per il 75,5% resta determinante per orientare la scelta (solo il 12% non si fida delle vaccinazioni in genere, ed è più interessato all’anti-pneumococcica chi già si vaccina abitualmente per l’influenza).
 
La nuova immunizzazione anti-pneumococcica 13valente, contro i sierotipi che più frequentemente causano la polmonite, evoluzione dell’eptavalente, è utilizzata da una decina d’anni per proteggere i bambini piccoli (ne sono state somministrate nel mondo quasi 400 milioni di dosi dal 200), dimostrando efficacia e sicurezza. “L’ampliamento a 13 sierotipi e il fatto di essere un vaccino coniugato lo rende più efficace sia nei bambini che negli adulti e negli anziani, ecco perché la recente estensione oltre i 50 anni. Il fatto di essere coniugato” spiega Paolo Bonanni, ordinario di Igiene, Dipartimento Sanità pubblica, Università degli studi di Firenze “fa sì che si incrementi la risposta immunitara e che questa sia più duratura, istituendo una memoria immunologica; la maggiore stimolazione è utile in particolare nei bambini e negli anziani nei quali le difese sono rispettivamente meno sviluppate e indebolite. Nell’adulto, inoltre, è sufficiente una sola dose, senza ripetere annualmente la vaccinazione, mentre nel bambino ne occorrono tre (a tre-5-12 mesi)”. Il vaccino è stato studiato nell’adulto in più di 6.000 soggetti, persone sane di oltre 65 anni, o con patologie croniche o fattori di rischio quali fumo e abuso di alcol di età superiore ai 50 anni, in Usa ed Europa. le indicazioni sono simili a quelle del vaccino antinfluenzale, che però è consigliato dai 65 anni, ma anche prima se ci sono comorbidilità importanti.
 
“Un’importante differenza da sottolineare con l’antinfluenzale” precisa Michele Conversano, gruppo di lavoro sui vaccini della Società italiana di Igiene (Siti)  “è che le patologie da pneumococco non seguono la stagionalità come l’influenza, la vaccinazione può essere fatta tutto l’anno; la si è “associata” all’antinfluenzale solo perché si è pensato di aumentare così la compliance . Benché questa patologia non sia meno importante dell’influenza, e l’anti-pneumococcica sia raccomandata dal Ministero da un decennio per le stesse fasce di rischio (nel calendario proposto dalla Siti è raccomandata nell’adulto dai 65 anni), le coperture raramente superano il 5-10% della popolazione anziana, e non solo in Italia, contro il 75% e oltre dell’anti-flu. Bisogna “destagionalizzare” questa vaccinazione e favorirne la diffusione nell’anziano, attraverso una collaborazione tra medici di medicina generale e Sanità pubblica (le Asl hanno già il vaccino, usato per i bambini), con il contributo anche dei media, creando una cultura dell’immunizazione nell’adulto”. In quest’ottica può essere più efficace anche l’offerta attiva per gli anziani non vaccinati, da parte dei centri vaccinali che ora la praticano per i bambini.
Elettra Vecchia
 

09 novembre 2011
© Riproduzione riservata

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