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Cancro. Riflettendo su Asco 2018

di Grazia Labate

Le ricerche presentate al summit americano spaziano attraverso centinaia di patologie oncologiche, indagano marcatori biomolecolari, schemi terapeutici, test diagnostici, tante tessere di un gigantesco puzzle che deve trovare i giusti incastri per mettere a segno risultati tangibili contro il mostro da debellare. Ed è cambiato tutto dai tempi in cui si ragionava secondo patologie d'organo

20 GIU - L'incontro annuale dell'American Society of Clinical Oncology riunisce professionisti di oncologia di tutto il mondo per discutere le modalità di trattamento all'avanguardia, le nuove terapie e le controversie in corso nel settore. Si è concluso il 4 giugno scorso e gli interrogativi ed i nodi irrisolti sono stati rinviati al prossimo anno, ci si rivede dal 31 maggio al 4 giugno 2019.

Le questioni insolute riguardano: l’aprirsi di un nuovo promettente scenario nella terapia del tumore al seno. In base ai risultati di uno studio USA di fase III presentati a Chicago, la chemioterapia adiuvante (post – intervento chirurgico) sarebbe evitabile nel 70% delle pazienti con il tipo più frequente di tumore mammario, ovvero quello con recettori ormonali positivi, Her2 negativo e linfonodi ascellari negativi. Si tratta del più ampio studio di medicina di precisione mai effettuato finora nel tumore al seno. Il lavoro ha arruolato 10.273 donne affette da carcinoma mammario allo stadio iniziale, ER–positivo, Her2 negativo e con linfonodi negativi.
 
Ancora, può un test genomico influire sulla scelta della strategia terapeutica più appropriata in un dato paziente? È possibile utilizzare il punteggio ottenuto per predire l’efficacia di una terapia combinata rispetto ad una terapia singola?
 
Le ricerche presentate spaziano attraverso centinaia di patologie oncologiche, indagano marcatori biomolecolari, schemi terapeutici, test diagnostici, tante tessere di un gigantesco puzzle che deve trovare i giusti incastri per mettere a segno risultati tangibili contro il mostro da debellare. E’ cambiato tutto dai tempi in cui si ragionava secondo patologie d'organo (il tumore del seno, quello dell'ovaio, del colon....) e secondo protocolli terapeutici che definivano le modalità di utilizzo di questo o di quel farmaco come emergevano dalle sperimentazioni e dal conforto della biostatistica.
 
Da almeno un ventennio non è più così: il cancro è una malattia genetica; anzi: non esiste il cancro, esistono centinaia di malattie che formano la galassia cancro ma sono tutte diverse e richiedono centinaia di indagini genetiche, cliniche, farmacologiche. Il meeting dell'Asco è la summa di questa realtà.
 
Bruce Johnson, il presidente dell'Asco, ha voluto che fosse il congresso della medicina di precisione: dalla genetica, dai profili dei diversi tumori da colpire con un numero sempre maggiore di proiettili biologici nella convinzione che ogni tumore, espresso da ogni persona, è una cosa a se e va curato specificamente. Questa è medicina personalizzata o consegnarsi alla genetica che tutto può e alla fine tutto risolve?
 
Ma poi lo stesso Johnson ha fatto outing del suo tumore alla prostata e il top della medicina scientifica ha preso atto che accanto alle mille presentazioni di genetica, di dati, di test, ci sono dimensioni, fatti che parlano delle storie di ognuno e chiedono la necessità di modulare sulla storia genetica e di vita di ognuno le risposte scientifiche. Perché la medicina personalizzata non è solo quella della genetica ma è quella che guarda ognuno di noi di fronte alla malattia: la popolazione dei pazienti standardizzati dai protocolli e dalle sperimentazioni diventa la diversità umana, con l'oncologia impegnata a cercare risposte diversificate.
 
Come ha sottolineato F. Capra, che è un fisico austriaco, teorico dei sistemi, e saggista di fama internazionale,di cui ho recentemente letto il suo saggio Il punto di svolta, F. Capra, Feltrinelli Editore Milano: “Si dovrebbe riconoscere che la questione fondamentale in medicina è perché si sviluppa la malattia piuttosto che come opera dopo essersi sviluppata; in altri termini, l’esame delle origini della malattia dovrebbe avere la precedenza sulla natura del processo morboso.“
 
Il paradigma biomedico non si fa carico della persona, ma agisce oltre di essa, sul substrato biologico, spesso ignorando le complesse interazioni tra esperienza e organismo. La relazione di aiuto, medico paziente, è quindi asimmetrica, portando al non ascolto della persona.

Al contrario, in un approccio clinico centrato sulla persona si dimostra che c’è una grande differenza, da un punto di vista clinico, tra un approccio diagnostico oggettivo, basato su i test, e un colloquio in cui si raccoglie l’esperienza diretta di malattia, comprendendo il contesto esistenziale della persona ed il particolare momento di vita in cui la malattia è comparsa raccogliendo informazioni essenziali sulle condizioni concrete in cui si è sviluppata. Tali informazioni, in vari modi, hanno grosse implicazioni per la diagnosi, la prognosi e il trattamento e modificano la traiettoria di un percorso di cura.
 
Soprattutto, indagare sulle ‘origini’ storiche delle malattie, fornisce elementi necessari per strutturare politiche di prevenzione realmente efficaci: la conoscenza bio-medica specialistica, da sola, offre un orizzonte di senso troppo limitato. Le informazioni biologiche acquistano ben tutt’altro spessore all’interno di una comprensione complessiva della vita vissuta dal paziente.
 
Nel corso del ‘900, i due approcci, biomedico/riduzionista (centrato sulla malattia) e umanistico/fenomenologico, si sono scontrati duramente: tuttavia, alla luce delle innumerevoli scoperte scientifiche degli ultimi decenni e degli enormi sviluppi e conquiste in ambito filosofico ed ermeneutico, si può giungere ad una conciliazione delle due prospettive, che consenta un dialogo proficuo nell’ambito della cura e dell’assistenza alle persone con i problemi sanitari e sociali più comuni.
 
Oggi il post razionalista si pone l’obiettivo di divulgare e sviluppare tale prospettiva integrata al fine di superare gli ‘errori del senso comune’, dare nuovi impulsi alla ricerca scientifica, mettere in dubbio in modo razionale antiche e inefficaci certezze.
 
Così non stupisce che le ricerche più applaudite all’ASCO siano state (parecchie) quelle che puntavano a capire come meglio modulare le terapie, come diminuire le dosi, eliminare i cicli di chemioterapia, sostituirla con farmaci meno tossici, di rendere migliori e più tollerabili le cure contro il cancro. "La medicina di precisione sta trasformando la cura del cancro in modi profondi ed è stata al centro dell'incontro di quest'anno", ha affermato il dott. Johnson. "Sono fermamente convinto che il numero di pazienti che beneficiano della medicina di precisione continuerà ad aumentare man mano che i trattamenti diventano più efficaci".
 
"L'Annual Meeting è unico nel suo genere", ha affermato David R. Spigel, presidente della commissione di educazione annuale della riunione ASCO. "C'è qualcosa per tutti coloro che si dedicano a migliorare la vita delle persone affette da cancro. Può essere un po' opprimente perché sempre di cancro si tratta ma il mio miglior consiglio è prendersi il tempo, scegliere ciò che più interessa e partecipare, imparare e riportare le proprie impressioni e condividerle con gli altri".
 
Insomma attese tante, riflessioni profonde, nodi irrisolti e dubbi che aprono piste a ricercare e a far meglio, ma una luce si è accesa il futuro è la medicina di precisione e la cura basata sulla persona, unica, con la sua storia, le sue malattie, i suoi dolori oltre che il suo patrimonio genetico specifico e familiare.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretaria alla Sanità

20 giugno 2018
© Riproduzione riservata

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