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Il caffè allunga la vita, a prescindere dalle quantità consumate e dai polimorfismi della caffeina

di Maria Rita Montebelli

JAMA Internal Medicine pubblica questa settimana uno studio che dimostra come il caffè, anche se consumato in grandi quantità (8 tazze al giorno) e da soggetti con diversa capacità di metabolizzare la caffeina, riduca il rischio di mortalità, fino al 14-16%, rispetto ai non consumatori. Istantaneo, macinato o decaffeinato, il caffè in tutte le sue forme è un elisir di lunga vita.

03 LUG - Che un consumo moderato di caffè sia inversamente correlato alla mortalità, da quella cardiovascolare a quella per tumori, è cosa nota e scientificamente provata da tempo. Ma cosa succede nei soggetti portatori di quei polimorfismi che influenzano il metabolismo della caffeina, soprattutto in caso di elevato consumo, cioè oltre le 5 tazze di caffè al giorno? Può in questi casi configurarsi un aumento di mortalità? E’ la domanda alla base di un grande studio prospettico, lo UK Biobank, che ha coinvolto 9,2 milioni di persone seguite per una decina d’anni (dal 2006 al 2016).
 
La ricerca è andata ad analizzare l’effetto potenziale di un’alterazione nel metabolismo della caffeina, definita da un punteggio genico di polimorfismi precedentemente individuati (in AHR, CYP1A2m CYP2A6 e POR) che influenzano il metabolismo della caffeina, su un totale di circa mezzo milione di partecipanti allo studio UK Biobank, per i quali si disponeva di dati completi circa il consumo di caffè e l’abitudine tabagica.
 
L’età media dei partecipanti era di 57 anni, il 54% era di sesso femminile; il 78% di loro consumava caffè. Nell’arco dei 10 anni di follow-up si sono verificati 14.225 decessi e il consumo di caffè è risultato inversamente correlato alla mortalità per tutte le cause.
 
In particolare, rispetto ai non bevitori di caffè, che consuma da 6 a 7 tazze di caffè al giorno ha un rischio di mortalità ridotto del 16% e anche nei grandi consumatori (oltre 8 tazze di caffè al giorno), la mortalità, rispetto ai non consumatori appare ridotta del 14%. Non sono emerse differenze rispetto alla tipologia di caffè consumato (istantaneo, macinato, decaffeinato), né relative al tipo di polimorfismo genetico del metabolismo della caffeina.
 
I risultati dunque, anche per i grandi bevitori di caffè, e per quelli con polimorfismi genetici particolari influenzanti il metabolismo della caffeina sono del tutto tranquillizzanti e anzi, ancora un volta, a favore del consumo di caffè, in tutte le sue forme. Questi risultati – sostengono gi autori – rappresentano un motivo in più insomma – per inserire il consumo di caffè all’interno di una dieta sana.
 
Maria Rita Montebelli

03 luglio 2018
© Riproduzione riservata

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