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Il sistema peer review è da abolire?

di Maria Rita Montebelli

Un provocatorio articolo di commento sul sistema della peer review offre una serie di spunti di riflessione sulle falle di questo sistema di selezione degli articoli da pubblicare, che dovrebbe garantire qualità e imparzialità. Non è facile trovare delle alternative, anche perché sarebbero probabilmente in molti ad opporsi al cambio dello status quo, ma forse è arrivato il momento di cominciare a riflettere sulla ‘fallibilità’ di questo metodo

14 SET - E’ uno dei mantra della ricerca scientifica, o meglio delle pubblicazioni scientifiche, accettato da tutti come se fosse sempre esistito fin dalla notte dei tempi. Si tratta del cosiddetto peer review (il riesame, la valutazione dei pari) che consiste nella procedura di selezione degli articoli scientifici da pubblicare, basata sulla valutazione di un gruppo di specialisti, anonimi e non retribuiti, nominati dalle riviste scientifiche. I reviewer, come noto, possono richiedere correzioni, emendamenti, approfondimenti o addirittura scartare il lavoro se ritenuto non qualitativamente valido e scientificamente inappuntabile.
 
Lo scopo è ovviamente quello di tutelare la qualità e l’integrità della produzione scientifica (oltre che il buon nome della rivista), di evitare frodi o casi di plagio.
 
Ma anche così, non è possibile eliminare il convitato di pietra del bias soggettivo del valutatore che, per motivi personali, può influire positivamente o negativamente sul nulla osta alla pubblicazione. Altro bias denunciato da voci autorevoli è quello legato al fatto che le grandi riviste scientifiche internazionali pubblicano più volentieri studi di grandi rilievo mediatico, rispetto ad altri.
 
A riassumere tutti i punti ‘contro’ il sistema peer review ci ha pensato Mieke Bal, fondatrice della ASCA (Amsterdam School of Cultural Analysis) che su un commento pubblicato da Media Theory, ne mette in fila ben dieci. Ovviamente, lei è apertamente schierata per l’abolizione di questo sistema.
 
1. Molto spesso le critiche che vengono mosse ai lavori da revisionare sono superficiali e routinarie. Colpa del fatto che i reviewer non solo non vengono remunerati per il loro sforzo, ma non ne ricevono neppure alcun credito. Risultato, il sistema di revisione ruba tempo prezioso ai ricercatori seri e ne seleziona di meno attivi e brillanti che si prestano a fare queste revisioni.
 
2. Il formalismo e la durata della revisione inficiano qualità del prodotto finale e del soggetto trattato che può diventare nel frattempo ‘datato’.
 
3. Questo sistema è fondamentalmente conservativo e questo può ostacolare la pubblicazione di idee innovative, che vadano contro l’establishment scientifico. Viceversa, citare una serie di articoli ‘storici’ in un dato campo, legittima la solidità scientifica della tesi. Meglio essere ‘adulatori’ insomma che ‘innovatori’.
 
4. Il sistema di peer review paradossalmente spesso ottiene il contrario di quello per cui è stato pensato. Secondo la Bal è più facile che un revisore accetti di rivedere un articolo scritto da un gruppo ‘amico’ (per accettarlo) o viceversa da un gruppo ‘nemico’ (per rigettarlo). Il bias di selzione è naturalmente esteso anche scelta dei revisori da parte del board della rivista.
 
5. Il sistema della peer review rinforza le gerarchie del mondo accademico in generale e questo può scoraggiare i giovani  che si sentono giudicati da un Grande Fratello che non conoscono e che trincerandosi dietro l’anonimato può diventare anche cattivo. Altro che ‘democrazia’ dell’organizzazione accademica!
 
6. Questo sistema toglie anche potere alla direzione dei giornali scientifici che non sono più liberi di scegliere cosa pubblicare e questo può far perdere loro di coerenza e di sostanza.
 
7. La revisione contribuisce a rendere ancora più lento il già lento sistema di pubblicazione e questo penalizza soprattutto gli argomenti ‘caldi’ in un dato momento. I ricercatori sanno di questo rischio e finiscono dunque per l’applicarsi su terreni meno ‘alla moda’ e più conservativi, per evitare che un argomento troppo di ‘tendenza’ sia già superato al momento della pubblicazione.
 
8. L’effetto ‘ritardo’ (nella pubblicazione) rischia di essere particolarmente ansiogeno per chi, come un dottorando di ricerca, deve cercare di portare a casa quante più pubblicazioni possibili prima della dissertazione della tesi. Questo è contro-produttivo per la progettazione di ricerche di ampio respiro.
 
9. Questo sistema genera delle ‘perversioni’ cercando di mantenere a tutti i costi lo status quo e scatenando una guerra tra gruppi di ricerca di opposte fazioni; faida della quale faranno le spese soprattutto i giovani. C’è chi lo vorrebbe far passare per un sano dibattitto, per dialettica scientifica funzionale alla crescita intellettuale. Ma l’autrice ricorda che i professori non sono scelti per la loro santità. Mentre al contrario, il sistema accademico stesso rinfocola sentimenti di invidia. Più che di ‘sana competizione’ spesso si tratta di parzialità sottaciute. A rimetterci è come sempre lo studente. Ma anche l’accademia non ne guadagna.
 
10. Il sistema è ancorato ad una mentalità autoritaria e questo comporta un importante problema sociale perché promuove una tendenza all’insicurezza sociale, che si trincera dietro l’autorità: solo se gli altri approvano, un lavoro merita approvazione. E questo non stimola certo i ricercatori, anche eccellenti, a coltivare la loro personale opinione.
 
Maria Rita Montebelli

14 settembre 2018
© Riproduzione riservata

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