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Opportunità, problemi e sfide per i biosimilari: riflessioni sul briefing paper dell’Istituto Bruno Leoni

di Grazia Labate

Il report pubblicato nei giorni scorsi da QS offre lo spunto a diverse riflessioni, sia nel merito della questione biosimilari e più in generale sulla tenuta del nostro sistema sanitario. A partire dalla domanda, più che lecita, se si possa parlare ancora di un sistema realmente universalistico

17 SET - d="cke_pastebin"> In un articolo del New England Journal of Medicine, Lyman ed altri hanno rivisto le opportunità, i problemi e le sfide poste dall'avvento dei farmaci biosimilari, concentrandosi sui biosimilari soprattutto, nel trattamento del cancro.
 
Sebbene questi farmaci possano aiutare a raggiungere gli obiettivi di assistenza sanitaria di alta qualità con il contenimento dei costi, ci sono sfide che si devono affrontare per la loro adozione e l'uso nella pratica clinica.
 
Sappiamo che i biosimilari sono agenti biologici che sono molto simili, ma non identici agli agenti biologici di riferimento approvati.
L'approvazione regolamentare di questi agenti richiede l'assenza di differenze significative in efficacia, sicurezza e purezza rispetto agli agenti di riferimento, originator.
 
Il prezzo dei biosimilari può essere inferiore rispetto agli agenti di riferimento,originator, poiché il loro sviluppo non è associato ad alcuni dei costi sostenuti dalle società farmaceutiche nello sviluppo di agenti di riferimento.
 
Facciamo un esempio: in ambito oncologico finora sono stati approvati tre biosimilari: il fattore di crescita mieloide filgrastim-sndz (Zarxio) come biosimilare a filgrastim (Neupogen), bevacizumab-awwb come biosimilare a bevacizumab (Avastin) e trastuzumab-dkst come biosimilare a trastuzumab (Herceptin). 
 
Una volta diventato disponibile filgrastim-sndz, ha guadagnato il 24% del mercato entro 4 mesi ad un prezzo inferiore del 15% rispetto a quello di filgrastim. 
 
Nel complesso, i prodotti biologici oncologici che si prevede perdano la protezione dei brevetti entro il 2020 rappresentano oltre $ 20 miliardi di spesa annuale in tutto il mondo; i risparmi sui costi potrebbero essere notevoli se i biosimilari assumessero una quota di mercato sostanziale. 
 
Una recente analisi della RAND Corporation, stima che la disponibilità di biosimilari potrebbe ridurre la spesa diretta di $ 54 miliardi tra il 2017 e il 2026. 
 
Tuttavia, le sfide rimangono aperte riguardo all'accettazione dei biosimilari da parte di medici e pazienti.
Il loro effetto complessivo sui costi sanitari sarà fortemente influenzato dal fornitore, dal pagatore e dalla comprensione da parte del paziente della loro sicurezza ed efficacia. Vediamo le diverse fasi.
 
Processo di approvazione: in contrasto con il processo normativo per gli agenti biologici, con approvazione che dipende in larga misura dalla dimostrazione di sicurezza ed efficacia negli studi clinici, la revisione normativa dei biosimilari si concentra sulla caratterizzazione molecolare e sugli studi preclinici e sugli studi farmacocinetici e farmacodinamici per stabilire la biosimilarità, con studi per valutare l'immunogenicità e altre potenziali tossicità; gli studi clinici vengono eseguiti se permane incertezza riguardo alla sicurezza e all'efficacia del biosimilare.
 
Spesso il 50% o più dei dati nelle domande di approvazione degli agenti biosimilari riguardano i processi di produzione. 
Inoltre, il processo di approvazione regolamentare per i biosimilari non richiede l'esecuzione di studi clinici su tutte le indicazioni approvate del farmaco di riferimento; con l'approvazione, un farmaco biosimilare può avere un'etichettatura identica a quella del prodotto di riferimento su più indicazioni.
 
Pertanto, la valutazione del clinico e la fiducia nei biosimilari dipenderanno inizialmente meno da studi clinici di grandi dimensioni.
 
In assenza di dati provenienti da ampi programmi di sperimentazione clinica, vi è anche incertezza su come i biosimilari possano essere integrati in linee guida di pratica clinica basate sull'evidenza.
 
Intercambiabilità e sostituzione: l'avvento dei biosimilari arriva anche con nuovi concetti di utilizzo ed etichettatura, compresa la sostituzione e l'intercambiabilità. Un biosimilare "intercambiabile" è quello che si prevede produca gli stessi risultati clinici e non ci siano maggiori problemi di sicurezza come il farmaco di riferimento al momento della sostituzione in qualsiasi momento del trattamento.
 
Nessun biosimilare è stato approvato come intercambiabile finora negli Stati Uniti. 
Tale designazione potrebbe influenzare la sostituzione, che è regolata a livello statale; le leggi specifiche dello Stato potrebbero consentire ai farmacisti di sostituire un biosimilare intercambiabile per un prodotto di riferimento senza consultare i prescrittori, come spesso accade con i farmaci generici. 
 
Come osservato dagli autori dello studio sul Nejm, "Poiché gli stati individuali lavorano per regolamentare l'uso dei biosimilari, oncologi e pazienti devono essere consapevoli delle normative, delle autorità e delle responsabilità che possono influenzare le loro scelte terapeutiche".
 
Affidamento alle segnalazioni postmarketing:  "piccole modifiche nella produzione, nella lavorazione e nell'imballaggio possono comportare differenze da lotto a lotto sia nei biosimilari che nei prodotti originator, che potrebbero potenzialmente portare a un piccolo ma reale rischio di differenze in immunogenicità e profili degli eventi avversi che appaiono nel tempo ".
 
In assenza di dati provenienti da studi clinici, sia la FDA che i clinici dovranno fare affidamento sulla sorveglianza postmarketing per confermare la sicurezza, nonché l'efficacia, dei biosimilari. Tuttavia, molti clinici ritengono che il processo di reporting postmarketing sia macchinoso e non si riesce a partecipare all'attuale sistema di reporting a causa di limiti di tempo e risorse.
"In assenza di soluzioni regolatorie efficaci, i potenziali risparmi derivanti dall'uso di biosimilari potrebbero essere effimeri.
 
Nel concludere il loro articolo sul Nejm, gli autori, affermano che il potenziale per i biosimilari di mitigare i crescenti costi di assistenza sanitaria migliorando l'accesso a terapie altamente efficaci, offre una vera opportunità per ridurre le disparità nell'accesso alle cure e limitare l'onere finanziario di nuovi trattamenti per il cancro e altre malattie gravi.
 
“È essenziale però che le organizzazioni professionali forniscano programmi educativi sui biosimilari per informare la comunità medica delle opportunità e delle sfide che questi nuovi agenti forniscono ai nostri pazienti ora e negli anni a venire ".
 
Da noi l’AIFA ha ritenuto di aggiornare la propria posizione in merito all’utilizzo dei biosimilari, nel marzo del 2018, sia perché erano scaduti numerosi brevetti relativi a farmaci biologici, sia perché numerosa giurisprudenza aveva sentenziato in favore del rispetto dell’autonomia e libertà prescrittiva del medico.
 
L’AIFA dunque per quanto riguarda i biosimilari conferma che la scelta di trattamento rimanga una decisione clinica affidata al medico prescrittore, ma a quest’ultimo sia anche affidato il compito di “contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario”. 
 
Di qui, considerato che “il rapporto rischio-beneficio dei biosimilari è il medesimo di quello degli originatori di riferimento” - l’AIFA “considera i biosimilari come prodotti intercambiabili con i corrispondenti originatori di riferimento”. I farmaci sono fra loro intercambiabili quando si prevede abbiano lo stesso effetto clinico e possano pertanto essere sostituiti fra loro nella pratica clinica, su iniziativa o con l’accordo del medico prescrittore. 
 
Pur escludendo la sostituibilità automatica - prevista invece per i farmaci generici - e richiedendo che sia il medico a stabilire caso per caso se e quando farlo - la decisione dell’AIFA stabilisce per la prima volta l’intercambiabilità dei farmaci biosimilari con i corrispettivi originator, sia per i pazienti già in cura che per quelli mai trattati.
 
L’estensione dell’intercambiabilità ai pazienti già in cura, di conseguenza, va interpretata nel quadro del principio della libertà prescrittiva e della responsabilità del medico curante.
 
Il rischio, tuttavia, è che accada ciò che è accaduto per i farmaci equivalenti, tramite il decreto Balduzzi, che ha introdotto l’obbligo e non più solo la facoltà, per medici e farmacisti di indicare il generico, laddove presente, invece del prodotto branded. 
 
Dunque c’è un filo conduttore che attraversa le politiche sanitarie in tutto il mondo al momento attuale: come contemperare la libertà e la responsabilità dei medici,volta a garantire caso per caso il diritto alla salute delle persone, con il contenimento della spesa sanitaria ed in modo particolare di quella farmaceutica che man mano che la scienza e la tecnologia avanzano diviene sempre più costosa?
 
In un sistema sanitario che vuole garantire  universalmente il diritto alla salute, il rischio è che si generi l’illusione di accesso alle cure per tutti, nascondendo invece  una realtà ben più complessa e critica di disuguaglianza di fronte alla malattia. 
 
Com’è ovvio, i biosimilari costituiscono, per il SSN, una opportunità. Il loro utilizzo, infatti, consente di garantire l’accesso ai farmaci biologici per tutti i pazienti che ne necessitano e nel contempo un risparmio di spesa a carico del sistema. La garanzia di universalità del diritto alla salute, nella sua concreta applicazione, deve necessariamente tenere in considerazione il costo che la collettività, sostiene, ma al tempo stesso la sicurezza sanitaria e la salute delle persone, diritti costituzionalmente protetti.
 
La mia opinione è che sull’universalismo abbiamo già fallito da tempo.
Perché, come scrive anche l’Istituto Bruno Leoni, come può dirsi infatti realmente universalistico un sistema in cui la spesa farmaceutica deve essere “commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la quantità ed il livello delle prestazioni sanitarie”, e in cui al medico prescrittore è affidato il compito non solo di curare i pazienti, ma “di contribuire a un utilizzo appropriato delle risorse ai fini della sostenibilità del sistema sanitario”?
 
La verità è che essendo note le sempre più incombenti necessità di contenimento della spesa pubblica, le valutazioni di ordine tecnico/scientifico, che dovrebbero orientare l’azione del legislatore, dell’AIFA e delle regioni, rischiano di non essere tenute pienamente in conto facendo prevalere le ragioni dell’economia su quelle cliniche, intaccando così l’autonomia e la libertà dei medici, e dei professionisti sanitari, con effetti discutibili sia dal punto di vista degli obiettivi di contenimento della spesa sia dal punto di vista della tutela della salute collettiva.
 
Non è peregrino chiedersi se le recenti politiche farmaceutiche,  non solo nazionali e regionali, con cui comprensibilmente si è cercato di limitare i costi della sanità pubblica a far data dalla grande crisi del 2008, non rischino di compromettere l’adeguata attuazione del principio universalistico del diritto alle cure, anche se in tempi di vacche magre l’equilibrio tra diversi interessi non è di facile realizzazione.
 
In questo senso, la normativa introdotta dalla L. 232/2016 per regolamentare le procedure di acquisto da parte delle regioni costituisce un primo punto di equilibrio, fissando alcuni punti fermi: il divieto di sostituibilità automatica tra farmaci biosimilari e originator, il riconoscimento della libertà prescrittiva dei medici, e la tutela della continuità terapeutica.
 
Il position paper dell’AIFA di marzo ribadisce che il punto dell’equilibrio dei valori e dei diritti in gioco è la responsabilità e la libertà del medico. 
In linea generale, pertanto, l’utilizzo di farmaci biosimilari o originator dovrebbe corrispondere alle diverse e specifiche casistiche, valutate secondo criteri medico-scientifici dai medici curanti, in autonomia,  potendo godere di responsabilità e di libertà prescrittiva. Il confronto diretto e costante con il paziente, che a sua volta non solo “consente di definire la terapia più appropriata al caso concreto”, ma allo stesso tempo accresce la responsabilità dei medici che se si orientano  alla diffusione dei biosimilari, contribuisce anche per questa via alla sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale. 
 
Un diverso indirizzo, rivolto a selezionare cure e terapie sulla base di mere ragioni economiche comprometterebbe non solo il diritto alla salute previsto dalla nostra Costituzione, ma non risolverebbe la questione del costo della sanità pubblica alla luce della società del terzo millennio, che in vecchia sempre di più e non sempre in buona salute.
 
Se, al contrario, vogliamo correttamente affrontare il problema fin dalla radice,  e cioè quale e quanto universalismo vero ci possiamo permettere con i nostri fondamentali dell’economia a tutti noti, si dovrebbe dire in modo trasparente che il sistema sanitario nazionale, per com’è costruito, carica su di sé una serie di costi che non solo esistono, ma che risultano, allo stato attuale, crescere per effetto dell’invecchiamento e per la costosità delle patologie croniche degenerative di cui siamo affetti, ma anche per l’iniquità fiscale del  sistema e l’alta evasione che proprio sulla salute mettono in evidenza che ad uguali diritti non corrispondono uguali doveri. 
 
Allora ben vengano i biosimilari ma la discussione vera che vorrei affrontare è come si concilia il nostro SSN nella prossima legge di stabilità e per il prossimo triennio con la riduzione delle tasse (flat tax) ai due diversi scaglioni di lavoro autonomo, nel contempo al reddito di inclusione rivisto e corretto di 780 euro mensili più la pensione di cittadinanza, a quota 100 per il sistema pensionistico, e nel contempo con anche l’annuciata misura di  riduzione dei tickets e della spesa sanitaria privata out of pockets.
 
Se qualcuno ci riesce mantenendo l’universalismo non fittizio in sanità, giuro che ritorno a scuola ad imparare la decrescita felice.
 
Grazia Labate
Ricercatore in economia sanitaria già sottosegretaria alla Sanità


17 settembre 2018
© Riproduzione riservata

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