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Leucemia linfatica cronica. Per riconoscere le forme aggressive basta un gene


Si chiama SF3B1 ed è associato ad una forma di cancro più aggressiva: il gene interferisce con il processo che porta alla corretta sintesi proteica facendo sviluppare la leucemia in maniera più violenta. Riconoscerlo nei pazienti potrebbe essere utile nella scelta della terapia.

15 DIC - Uno dei principali problemi che i medici incontrano quando si trovano davanti un paziente affetto da leucemia linfatica cronica (LLC), la più comune forma di leucemia, è capire quando questa sia di forma aggressiva, e quindi vada trattata tempestivamente, e quando invece abbia un decorso più lento e possa essere curata quando si presenteranno i sintomi. Un nuovo studio, condotto dal Dana-Farber Cancer Institute di Boston e dal Broad Institute di Cambridge, svela oggi i segreti genetici di questa e probabilmente di molte altre malattie. La ricerca, ad oggi la più completa sulle alterazioni del Dna collegate alla LLC, è stata pubblicata sul New England Journal of Medecine.
 

La leucemia linfatica cronica, la più comune forma di leucemia, ha spesso un decorso diverso da paziente a paziente. A volte attacca in maniera violenta, peggiorando rapidamente e inesorabilmente, spesso portando alla morte. Altre volte si presenta nella sua forma “indolente”, quasi non presentando sintomi per anni o addirittura decenni, e in questo caso i medici decidono spesso di rimandare le pesanti terapie fino a quando la patologia non metta a rischio la vita del paziente. Ma come si fa a capire in anticipo quali forme saranno particolarmente aggressive? Secondo questo studio ce lo può dire la genetica.
I ricercatori hanno infatti usato le più recenti tecniche di sequenziamento del Dna per identificare quali fossero le mutazioni che si presentavano più frequentemente nei pazienti affetti da LLC. Il campione considerato è stato di 91 pazienti, dei quali in tre casi è stato sequenziato l’intero genoma, mentre negli 88 rimanenti è stato considerato solo il cosiddetto esoma, ovvero solo l’insieme di geni che codificano per proteine.
 
In questo modo gli scienziati sono riusciti a identificare 9 geni comuni nei malati. Di questi addirittura 5 presentavano varianti che non erano mai state associate alla leucemia linfatica cronica. Tra questi, i ricercatori si sono interessati in particolare ad una unità ereditaria fondamentale: il gene SF3B1 (il cui nome completo è Splicing Factor 3b, subunit 1) che interferisce con il meccanismo di splicing, ovvero con il procedimento che permette di “modificare” l’Rna tagliandolo in punti specifici, per arrivare alla sintesi di una data proteina.
Una volta sequenziato il genoma o parte di esso, i ricercatori hanno dovuto confrontare i dati, alla ricerca di un set di marker che potesse predire il decorso della leucemia, come ad esempio un preciso tipo di danno in alcune cellule tumorali associato a una LLC più aggressiva. Sono così stati identificati i 9 geni interessanti, nonché cinque vie metaboliche che regolavano la riparazione del Dna danneggiato, il ciclo cellulare, il recettore Notch (che determina il differenziamento delle cellule), l’infiammazione e il processo di splicing, appunto.
 
Delle mutazioni genetiche quattro erano già state associate alla leucemia o al cancro in generale. Tra le rimanenti, come già detto, il gene che ha più interessato gli scienziati è stato SF3B1, il secondo più espresso, trovato in forma anormale in 14 sui 91 pazienti. La proteina ad esso associata fa parte di quelle che regolano lo splicing, ovvero quelle da cui dipende la “ricetta” per ottenere il messaggio dell’Rna e sintetizzare correttamente le proteine. “Non immaginavamo che il meccanismo dello splicing potesse essere coinvolto nella biologia della leucemia linfatica cronica – hanno spiegato i ricercatori nello studio – nessuno aveva scoperto prima di oggi un collegamento tra questo particolare cancro e il meccanismo”.
Secondo gli scienziati lo studio dimostra che la mutazione rappresenta un segnale d’allarme, indicando una forma aggressiva di LLC. I pazienti che la presentavano, infatti, avevano maggiori probabilità di avere bisogno di terapie prima degli altri. “La mutazione potrebbe funzionare anche da marker”, ha precisato Catherine J. Wu, ricercatrice del Dana-Farber Cancer Institute. “Poiché i pazienti che la presentano mostrano di avere le forme di leucemia più spesso rapide e fatali, riconoscerne subito la presenza potrebbe aiutare i medici a scegliere trattamenti alternativi alla chemioterapia, che spesso non è efficace in questi casi. Ad esempio, si potrebbe pensare che per queste persone la terapia migliore possa essere ricorrere subito al trapianto di cellule staminali, che è stato dimostrato placare la furia della malattia”.
 
Secondo i ricercatori, lo studio dimostra anche l’utilità dell’analisi del genoma su larga scala, non solo per la leucemia linfatica cronica, ma per tutte le forme di tumore. Le numerose varianti genetiche riscontrate su LLC chiariscono la biologia del cancro e potrebbero dunque aprire la strada per lo sviluppo di terapie mirate.
 
Laura Berardi

15 dicembre 2011
© Riproduzione riservata

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