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Fibrillazione atriale. Antagonisti vitamina K non sempre efficaci nel tempo

di Will Boggs

Uno studio danese ha valutato, nella terapia della fibrillazione atriale, la capacità degli antagonisti della vitamina k di mantenere il range terapeutico. In molti pazienti questo range scende dopo 12 mesi.

05 OTT - (Reuters Health) – Molti pazienti con fibrillazione atriale che assumono un antagonista della vitamina K non riescono a mantenere un elevato tempo in range terapeutico (TTR – time in therapeutic range) a un anno dall’inizio del trattamento. A evidenziarlo è lo studio di un team di ricercatori guidato da Anders Nissen Bonde, del Copenhagen University Hospital. I risultati dello studio sono stati pubblicati dal Journal of the American College of Cardiology.
 
Lo studio. 
I ricercatori hanno esaminato registri nazionali danesi sui pazienti con fibrillazione atriale trattati con antagonisti della vitamina K tra il 1997 e il 2011. Il team, in particolare, ha incluso i pazienti che avevano cominciato la terapia da sei mesi.
 
I risultati
. Durante il periodo di trattamento iniziale, il TTR medio è stato dell’82,7%, nei 1.691 pazienti con un TTR del 70% o superiore, e del 49,2%, nei 3.081 pazienti con un TTR inferiore al 70%. Tra i pazienti ancora in terapia a 12 mesi, solo 513, il 55,7%, che avevano un TTR iniziale del 70% o superiore aveva mantenuto questo valore.
 
Rispetto al precedente TTR superiore o uguale al 70%, comunque, un TTR precedente inferiore al 70% non è stato associato a un rischio significativamente maggiore di ictus/tromboembolia o emorragie importanti. Tuttavia, quando i ricercatori hanno stimato il TTR durante il follow-up, hanno visto che valori inferiori al 70% erano associati a un rischio significativamente aumentato di ictus/tromboembolia e di emorragie importanti. Dopo un anno di follow-up, infatti, 50 pazienti (il 3% del campione) con TTR elevato iniziale erano deceduti, rispetto a 144, il 4,7%, dei pazienti con basso TTR iniziale.

I commenti. 
“I nostri risultati potrebbero avere un’influenza diretta sulla cura del paziente: mantenere un buon controllo anticoagulante deve essere una priorità, anche per i pazienti precedentemente stabilizzati”, dice  Anders Nissen Bonde, autore principale dello studio.
 
Secondo David Shipon, del Jefferson Health di Philadelphia, “lo studio mette in discussione le attuali linee guida sull’uso dei fluidificanti del sangue nella prevenzione dell’ictus nei pazienti con fibrillazione atriale”. Dai risultati della ricerca danese, infatti, emerge che “tutti i pazienti con fibrillazione atriale dovrebbero essere considerati per entrare in terapia con i più recenti anticoagulanti”.

Fonte: Reuters Health News

Will Boggs

(Versione italiana Quotidiano Sanità/Popular Science)

05 ottobre 2018
© Riproduzione riservata

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