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Prevenzione cardiovascolare secondaria. Con una gestione efficace dell’ipercolesterolemia, risparmiate vite e costi sanitari


La riduzione dei livelli di colesterolo rappresenta una strategia terapeutica vincente per arginare il rischio di uno o più eventi cardiovascolari con ricadute positive sul sistema. Grazie a nuovi farmaci innovativi è possibile abbassare il rischio ma il loro impego è inferiore all’epidemiologia attesa. Questi i temi al centro della seconda edizione Meridiano Cardio promosso da The European House-Ambrosetti e presentata oggi al Senato

24 OTT - Una stima di circa 21 miliardi di euro/anno tra costi sanitari diretti ed indiretti e una voce ospedalizzazione che pesa per l’84% sui costi diretti sanitari per un valore di 16 miliardi di euro. Tanto pesano sul sistema sanitario le malattie cardiovascolari che nel nostro Paese rappresentano la prima causa di morte. Uno scenario complesso aggravato anche dalla presenza di una popolazione di cittadini esposta a un rischio particolarmente elevato di eventi cardiovascolari acuti: pazienti che sono già stati colpiti da una patologia cardiovascolare, quali infarto, ictus, malattie ostruttiva periferiche, per le quali è fondamentale un intervento di prevenzione secondaria fondato essenzialmente sul controllo dei fattori di rischio.
 
Tra questi il colesterolo LDL (C-LDL) riconosciuto universalmente quale fattore causale dell’aterosclerosi e del rischio di insorgenza di eventi cardiovascolari gravi. Grazie ai nuovi farmaci innovativi è possibile abbassare il livello di colesterolo, ma a bloccarne l’accesso c’è un iter burocratico legato ai piani di rimborsabilità, ed anche una presa in carico del paziente in prevenzione secondaria ancora in fase di evoluzione. Senza considerare che l’aderenza alla terapia ipolipemizzante rimane ancora troppo bassa.
 
A puntare i riflettori sull’importanza della prevenzione cardiovascolare secondaria in termini di vite salvate e risparmi per il Ssn è la seconda edizione di Meridiano Cardio “Nuove prospettive nella prevenzione secondaria cardiovascolare: focus sull’ipercolesterolemia” promosso da The European House-Ambrosetti con il contributo incondizionato di Amgen e presentata oggi al Senato.
 
“Le malattie cardiovascolari rappresentano la prima causa di morte nel nostro Paese, essendo responsabili del 35% delle morti totali. Malattie ischemiche del cuore, cerebrovascolari, ipertensive, altre malattie cardiovascolari occupano le prime 5 posizioni – ha affermato Francesco Saverio Mennini, Professore di Economia Sanitaria, Direttore Eehta, Università degli Studi, Roma Tor Vergata – non deve dunque sorprendere che i costi sanitari, diretti e indiretti, associati a tali patologie, valgano circa 21 miliardi di euro/anno. In particolare, i costi sanitari diretti, riconducibili per l’84% alle ospedalizzazioni, ammontano a 16 miliardi”.
 
Riduzione del C-LDL. Cifre considerevoli che potrebbero, appunto, essere ridotte anche attraverso una evoluzione della presa in carico dei pazienti dopo un primo evento cardiovascolare, grazie a interventi di prevenzione secondaria. Per quanto riguarda per esempio il colesterolo, gli studi dimostrano come una riduzione del C-LDL di 39 mg/dL (1 mmol/L) si traduca in un calo del rischio relativo di eventi cardiovascolari del 10% al primo anno, del 16% al secondo anno e del 20% dopo tre anni di trattamento.
 
Ma a tutt’oggi siamo ancora lontani dai “livelli di sicurezza”: i dati relativi all’aderenza alla terapia ipolipemizzante indicano infatti dei valori estremamente bassi, che raggiungono il 45,9% nei pazienti a rischio molto alto e solo il 30,2% nei pazienti a rischio cardiovascolare medio.
“Si stima che in prevenzione secondaria poco meno del 50% dei pazienti raggiungono il target dei livelli di colesterolo C-LDL – ha spiegato Marcello Arca, Direttore Uos Centro Arteriosclerosi, Centro di riferimento regionale per le malattie rare del metabolismo lipidico, Policlinico Umberto I e Segretario Nazionale Sisa – e possiamo affermare che una terapia inadeguata si riflette negativamente sul controllo dell’ipercolesterolemia con un rischio aumentato di eventi cardiovascolari successivi”.
 
Certamente per i pazienti che hanno subìto un primo evento cardiovascolare sarebbe opportuno essere seguiti nell’immediato dopo la dimissione in modo tale da verificare il raggiungimento del target terapeutico e aggiustare se necessario le terapie. Le più recenti linee guida dell’European Society of Cardiology parlano di 70 mg/dL in pazienti a rischio cardiovascolare molto alto.
“Qui giocano un ruolo determinante le nuove classi di farmaci come gli inibitori di PCSK9. Si tratta di farmaci innovativi dal punto di vista della farmacologia cardiovascolare che hanno dimostrato di ridurre i livelli di colesterolo (anche oltre il 50%), a fronte di  un buon profilo di tollerabilità e sicurezza – ha sottolineato Pasquale Perrone Filardi, Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare, Università Federico II di Napoli – negli studi clinici, questi farmaci hanno dimostrato di ridurre il rischio di eventi cardiovascolari come l’ictus e l’infarto. In particolare è stato possibile dimostrare una riduzione del rischio superiore al 20%, oltre a una riduzione delle necessità di sottoporre i pazienti a interventi di rivascolarizzazione coronarica”.
 
L’impiego di questi nuovi farmaci nei pazienti in prevenzione secondaria, tuttavia, è inferiore all’epidemiologia attesa. “Nonostante gli inibitori di PCSK9 rappresentino un’opportunità terapeutica di riconosciuta importanza, il loro utilizzo è ancora limitato” ha confermato Federico Spandonaro, Professore Economia Sanitaria, Università Roma Tor Vergata e Presidente Crea Sanità. Solo il 13-14% dei pazienti eleggibili all’utilizzo di questi farmaci, è stato effettivamente sottoposto a questa terapia, ha aggiunto Spandonaro “e tutto ciò si traduce in un impatto economico negativo che, solo per gli eventi cardiovascolari evitati, può essere stimato in circa 20 milioni di euro a cinque anni”.
 
Tra le ragioni responsabili dell’utilizzo limitato degli inibitori di PCSK9,vanno considerati l’iter burocratico legato ai piani di rimborsabilità, così come una presa in carico del paziente in prevenzione secondaria ancora in fase di evoluzione. Non sembrano esistere invece ostacoli di natura economica.
 
“Attualmente la spesa per gli inibitori di PCSK9 è inferiore ai 7 milioni di euro (dati del 2017) a fronte di una spesa complessiva per le terapie ipolipemizzanti che supera il miliardo di euro – prosegue Spandonaro – inoltre il risparmio previsto nei prossimi anni per effetto della genericazione delle statine ad alta intensità viene stimato a regime in una cifra nell’ordine dei 3/400 milioni. Anche considerando che non tutti i risparmi ottenuti debbano rimanere per forza nel settore – ha concluso – è importante sottolineare che per garantire la presa in carico di tutti i pazienti eleggibili alla terapia con i nuovi farmaci non si spenderebbe più del 15-20% della cifra indicata”.
 
Le proposte per la presa in carico dei pazienti ipercolesterolemici in prevenzione secondaria non mancano.È auspicabile sviluppare un collegamento fra i centri prescrittori abilitati a valutare i criteri di rimborsabilità e a formulare i piani terapeutici nel singolo paziente, e i colleghi che operano sul territorio in modo da creare dei percorsi diagnostico-assistenziali” ha Perrone Filardi.
 
Quello di un accompagnamento più strutturato è un tema considerato fondamentale anche dai pazienti. “Servono dei percorsi reali, integrati fra i diversi servizi presenti sul territorio – ha detto Sabrina Nardi, Direttore Coordinamento nazionale delle Associazioni di Malati Cronici di Cittadinanzattiva – questo è un bisogno molto specifico nell’ambito cardiovascolare. È come se i pazienti si perdessero in una rete assistenziale dalle maglie troppo larghe. Da un nostro monitoraggio si rileva che il problema più grosso è sul territorio. Sono emersi problemi relativi a diversi ambiti: dalle attese per accedere ai controlli, alle visite e agli esami specifici, alle difficoltà per l’assistenza territoriale, per esempio sul versante riabilitativo e per l’accesso ai farmaci”.

“La scienza avanza – ha dichiarato André Dahinden, Presidente e Ad Amgen Italia – e gli ultimi studi scientifici hanno dimostrato che a livelli bassi di colesterolo corrispondono importanti benefici sul fronte della riduzione degli eventi cardiovascolari. Quindi, quella che fino a pochi anni fa era solo un’ipotesi ha ricevuto una conferma scientifica smentendo anche convincimenti non autorevoli. Per questo Amgen, leader globale nelle biotecnologie, ha voluto offire il suo contributo sul fronte della prevenzione cardiovascolare secondaria. Il nostro impegno è quindi, non solo quello di offrire un armamentario terapeutico in grado di dare risposte nella riduzione dei valori del colesterolo quando che i farmaci tradizionali falliscono, ma anche quello di alimentare il dibattito tra i principali attori del sistema salute per migliorare da un lato la presa in carico dei pazienti già colpiti da eventi cardiovascolari e dall’altro sviluppare linee guida adeguate”.

24 ottobre 2018
© Riproduzione riservata

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