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AHA/3 Dapagliflozin: un anti-diabete ‘olistico’ che protegge dallo scompenso cardiaco e dal declino della funzionalità renale

di Maria Rita Montebelli

Dapagliflozin, un farmaco anti-diabete di ultima generazione (SGLT2 inibitore) è sicuro per il cuore, riduce del 27% i ricoveri per scompenso cardiaco e la progressione dell’insufficienza renale. Lo dimostrano i risultati del mega-trial DECLARE-TIMI 58, presentati a Chicago al congresso dell’American Heart Association e pubblicati in contemporanea sul New England Journal of Medicine. Un farmaco dunque che non si limita ad abbassare la glicemia, ma intercetta e riduce le complicanze del diabete, anche in prevenzione primaria.

12 NOV - Il DECLARE-TIMI 58 (Dapagliflozin Effect on Cardiovascular Events) è uno studio che ha vagliato gli endpoint cardiovascolari e renali di dapagliflozin, un inibitore selettivo del cotrasportatore sodio-potassio (SGLT2), farmaco utilizzato nel trattamento del diabete di tipo 2.

Lo studio, coordinato dal celeberrimo gruppo di studio TIMI (Thrombolysis in Myocardial Infarction) della Divisione di medicina Cardiovascolare del Brigham and Women’s Hospital di Boston, ha assegnato in maniera randomizzata due gruppi di pazienti con diabete di tipo 2, affetti o a rischio di patologia aterosclerotica cardiovascolare, alla somministrazione di dapagliflozin o di placebo.
Il principale obiettivo di sicurezza era un composito di eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE), cioè di mortalità cardiovascolare, infarto o ictus ischemico. I principali obiettivi di efficacia erano ancora una volta i MACE e un composito di mortalità cardiovascolare e di ricoveri per scompenso cardiaco.

Gli endpoint secondari di efficacia erano un composito renale (riduzione ≥ 40% del filtrato glomerulare stimato a < 60 ml/min per 1,73 m2 di area di superficie corporea, insufficienza renale terminale di nuova comparsa o mortalità per cause renali o cardiovascolari) e la mortalità per cause cardiovascolari.

Questo mega-trial ha arruolato 17.160 pazienti (155 in Italia), dei quali 10.186 senza patologia aterosclerotica nota, che sono stati seguiti per una mediana di 4,2 anni. Dapagliflozin è risultato non inferiore al placebo per l’endpoint primario di safety. Per quanto riguarda l’endpoint primario di efficacia, dapagliflozin non ha prodotto un tasso inferiore di MACE (8,8% nel gruppo di trattamento contro 9,4% del gruppo placebo, pari ad una riduzione del 7% nel gruppo dapagliflozin) ma ha determinato un tasso inferiore di mortalità cardiovascolare o di ricoveri per scompenso cardiaco (4,9% contro 5,8%, pari ad una riduzione del 17%). In particolare, i ricoveri per scompenso cardiaco sono risultati ridotti del 27%, mentre non è emersa una differenza statisticamente significativa di mortalità cardiovascolare tra i due gruppi. 
 
Dapagliflozin riduce in maniera significativa ricoveri per scompenso cardiaco
La riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco è stata osservata in un’ampia gamma di pazienti, a prescindere dalla storia di patologia cardiovascolare aterosclerotica e di scompenso cardiaco. In particolare, la riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco nel gruppo trattato con dapagliflozin è risultata netta anche tra i soggetti che non avevano una precedente storia di scompenso cardiaco, per cui – sottolineano gli autori – l’effetto di prevenzione sullo scompenso cardiaco di nuova comparsa dimostrato da questo farmaco è notevole e il farmaco funziona sia in prevenzione primaria che secondaria sullo scompenso cardiaco.
 
Protezione importante anche a livello renale
Anche gli eventi renali sono risultati ridotti nel gruppo trattato con dapagliflozin; in particolare l’endpoint composito renale (riduzione del 40% dell’eGFR, insufficienza renale terminale, o mortalità cardiovascolare) è risultato ridotto del 24% rispetto al placebo. La mortalità per tutte le cause è risultata del 6,2% nel gruppo dapagliflozin contro il 6,6% del gruppo di controllo (non statisticamente significativo). Considerando solo l’endpoint renale ‘puro’, questo è risultato ridotto del 47%. Anche questo effetto protettivo sulla funzionalità renale è stato osservato tanto nei pazienti con patologia renale già nota che in quelli senza patologia cardiovascolare aterosclerotica, scompenso cardiaco o malattia renale cronica al momento dell’arruolamento.
 
Dapagliflozin promosso in sicurezza
Infine, i casi di chetoacidosi diabetica sono risultati più frequenti nel gruppo dapagliflozin che nel gruppo di controllo (rispettivamente 0,3% contro 0,1%), come anche il tasso di infezioni genitali che hanno portato alla sospensione del trattamento o che sono ricadute nel novero degli eventi indesiderati gravi (rispettivamente 0,9% contro 0,1%). Non è stato invece riscontrato alcun segnale di rischio rispetto ad un aumento di ictus, amputazioni o fratture. Il tasso di cancro della vescica è risultato inferiore nel gruppo dapagliflozin che in quello di controllo.
 
I take home message dello studio DECLARE-TIMI 58 nelle opinioni degli esperti
In conclusione,  nei pazienti con diabete di tipo 2, affetti o a rischio di patologia cardiovascolare aterosclerotica, il trattamento con dapagliflozin ha avuto un effetto neutro sui tassi di MACE maggiori. Lo studio ha tuttavia dimostrato che, nei pazienti con e senza patologie cardiovascolari note, l’inibizione di SGLT2 può prevenire i ricoveri per scompenso e probabilmente aiuta a ridurre la progressione dell’insufficienza renale. E’ attualmente in corso un programma di studi (DapaCare) che valuterà gli effetti di protezione di dapagliflozin contro lo scompenso cardiaco e contro il declino della funzionalità renale in popolazioni di pazienti sia con diabete che normoglicemiche.
 
“Il DECLARE – commenta il professor Stefano Del Prato, Direttore dell’ Unità Operativa di Malattie del Metabolismo e Diabetologia dell’Azienda Ospedaliera Universitaria di Pisa - è stato effettuato su una popolazione con diabete di recente comparsa e a basso rischio cardiovascolare; lo studio dimostra che dapagliflozin conferisce una buona protezione a livello renale ed è dunque prevedibile che, se utilizzato in fase precoce, oltre a migliorare il compenso glicemico, sarà in grado di proteggere il paziente con diabete dalle complicanze nefropatiche, che tra l’altro, rappresentano di per sé un fattore di rischio cardiovascolare. Se poi il paziente ha uno scompenso cardiaco, lo proteggo anche da un episodio acuto. Dapaglifozin si sta dimostrando un farmaco con effetti ‘olistici’ nel trattamento del diabete. Sapevamo che oltre a ridurre la glicemia, ha anche un effetto sulla riduzione della pressione e del peso. Il DECLARE ha dimostrato che possiede anche effetti extra-glicemici e extra-metabolici, a livello renale, cardiaco e sulla circolazione”.
 
Altri studi su endpoint cardiovascolari condotti in passato con altri SGTL2 inibitori avevano dimostrato una riduzione di eventi cardiovascolari e renali soprattutto in  prevenzione secondaria (cioè in pazienti con patologia cardiovascolare aterosclerotica nota). Nel DECLARE-TIMI 58, che è il più grande trial mai effettuato con un SGLT2 inibitore, effettuato su un’ampia gamma di pazienti (molto simile a quelli che si incontrano nella pratica clinica quotidiana), dapagliflozin ha ridotto le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco, sia nei soggetti con malattia aterosclerotica o scompenso noti, che in quelli senza patologie cardiovascolari note al momento dell’arruolamento, dimostrando così di funzionare sia in prevenzione primaria che secondaria.  
 
“Lo scompenso cardiaco - ricorda il professor Andrea Giaccari, Professore Associato di Endocrinologia e dirigente responsabile Centro per le malattie endocrine e metaboliche della Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – è molto frequente nei soggetti con diabete (è una delle prime cause di ricovero in Italia e genera costi importanti) ma non è stato in genere considerato un endpoint primario in questi trial di safety cardiovascolare. IL DECLARE ha per la prima volta utilizzato un SGLT2 inibitore in prevenzione primaria, valutandone gli effetti su questo endpoint. Dapagliflozin ha dimostrato di agire anche in prevenzione primaria, riducendo gli eventi. Questo dato andrebbe considerato nella prossima revisione delle linee guida sul trattamento del diabete. Questi dati inoltre, uniti al buon profilo di sicurezza, raccomandano ulteriormente l’utilizzo in fase precoce di dapagliflozin e ci impongono di riflettere su nuovi modelli di gestione e presa in carico di questi pazienti””.
 
“I risultati di DECLARE – prosegue il prof. Del Prato - sono clinicamente rilevanti per i 3 milioni di pazienti che in Italia sono affetti da diabete di tipo 2 e che hanno un rischio da 2 a 5 volte maggiore di scompenso cardiaco e malattia cardiovascolare rispetto ai soggetti non diabetici. Lo scompenso cardiaco è la prima causa di ospedalizzazione in Italia e dopo 5 anni dalla diagnosi solo la metà dei pazienti con scompenso cardiaco è ancora in vita. Per questo i risultati dello studio DECLARE, ottenuti in una popolazione molto vicina a quella che vediamo normalmente nei nostri ambulatori, rivestono un particolare interesse e sottolineano la necessità di andare oltre l’obiettivo del controllo glicemico per un approccio più integrato del diabete e delle sue complicanze cardiache e renali.
 
“Leggendo questo risultato, insieme a quelli scaturiti dai precedenti trial su endpoint cardiovascolari condotti con SGLT2 inibitori - afferma Stephen Wiviott, primo autore dello studio DECLARE -  è possibile concludere che: 1) gli inibitori di SGLT2 producono dei benefici moderati sui MACE aterosclerotici e limitatamente al contesto di prevenzione secondaria (cioè nei pazienti con malattia cardiovascolare aterosclerotica nota); 2) che gli SGLT2 inibitori hanno un importante effetto sulla riduzione del rischio di scompenso cardiaco e sugli endpoint renali, che non sembrano influenzati dal rischio aterosclerotico di base, né dalla presenza o meno di scompenso cardiaco o insufficienza renale basale; 3) il DECLARE-TIMI 58 ha dimostrato infine che dapagliflozin estende i benefici degli inibitori di SGLT2 ad una popolazione più ampia di pazienti sia in prevenzione primaria, che secondaria.”
 
“Nei pazienti simili a quelli arruolati nei trial sugli SGLT2 inibitori – commenta Javed Butler, direttore del dipartimento di medicina, Università del Mississippi, Usa -  questi farmaci andrebbero utilizzati per ridurre il rischio di scompenso cardiaco, indipendentemente dal loro effetto sui MACE. Alla luce dei risultati degli ultimi studi, quello che si chiede oggi ad una terapia anti-diabete è non solo di ridurre l’emoglobina glicata e i fattori di rischio cardiovascolari, ma anche di ridurre la mortalità cardiovascolare, il rischio di MACE, di scompenso cardiaco e di deterioramento della funzionalità renale.
 
Scompenso cardiaco e protezione renale: gli inibitori di SGLT2 inaugurano una nuova era di trattamento
 
Sono attualmente 415 milioni le persone con diabete nel mondo; la prevalenza di questa condizione sta aumentando e le proiezioni parlano di 640 milioni di diabetici entro il 2040. Questi soggetti sono ad aumentato rischio di patologia cardiovascolare aterosclerotica, di scompenso cardiaco e di patologie renali.
Il rischio di scompenso cardiaco, in particolare nei soggetti diabetici, risulta indipendente dalla presenza di patologie coronariche e al momento si dispone di evidenze limitate per indirizzare il trattamento dello scompenso nella popolazione diabetica. Vista la frequente coesistenza di diabete, patologia cardiovascolare aterosclerotica e scompenso cardiaco è molto importante determinare quali trattamenti siano efficaci ma allo stesso tempo sicuri in questa popolazione di pazienti.
 
Il beneficio osservato sullo scompenso cardiaco è coerente con le modalità di azione sul rene degli SGLT2 che inducono natriuresi, riducono la pressione arteriosa, migliorano il feedback tubulare glomerulare, la compliance vascolare e la funzionalità endoteliale.
 
Inattesa per certi versi è stata l’entità dell’effetto di protezione sulla funzionalità renale, un elemento di grande importanza nella popolazione diabetica (il diabete è attualmente la principale causa di insufficienza renale terminale che porta alla dialisi). Un dato importante del DECLARE è che la popolazione arruolata nello studio era prevalentemente sana (con un filtrato glomerulare medio di 85 ml/mi). Visto l’effetto protettivo riscontrato in questa popolazione ‘sana’, il farmaco si candida dunque ad un utilizzo in fase molto precoce, in prevenzione primaria, nel corso della malattia diabetica.
 
Dapagliflozin è un inibitore selettivo del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (SGLT2) che blocca il riassorbimento di glucosio e di sodio nel tubulo prossimale renale e promuovendo così la riduzione della glicemia attraverso la perdita di glucosio con le urine (glicosuria),la riduzione della pressione arteriosa e del peso corporeo.
 
Maria Rita Montebelli

12 novembre 2018
© Riproduzione riservata

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