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Alzheimer. Grazie ai biomarker sarà possibile diagnosticarlo con 10 anni di anticipo


Si chiamano peptidi beta-amiloidi (Aβ42) e i loro livelli troppo bassi nel fluido cerebrospinale indicano, nel 90% dei casi di pazienti affetti da demenza incipiente, che questi svilupperanno il morbo di Alzheimer entro 10 anni. La scoperta arriva dalla Svezia.

04 GEN - Il livelli di peptidi beta-amiloidi (Aβ42) nel fluido cerebrospinale potrebbero dirci con cinque o anche dieci anni di anticipo se una persona svilupperà la malattia di Alzheimer. Questa la promettente scoperta della Lund e della Skane University svedesi, pubblicata sul numero di gennaio della rivista Archives of General Psychiatry. Il particolare marker sarebbe infatti molto precoce rispetto agli altri, tanto da poter spingere a iniziare subito una terapia mirata.

Nella ricerca è stato seguito per una media di 9,2 anni un campione di 137 pazienti affetti da deterioramento cognitivo lieve (o mild cognitive impairment – MCI), una condizione che ancora non interferisce con le attività normali ma che indica una demenza incipiente.
All’inizio dello studio per ognuno di loro è stato registrato il livello di Aβ42 e altri biomarker. Durante il lungo follow-up, il 53,7% dei pazienti (72 persone) ha sviluppato la malattia di Alzheimer mentre il 15,7% (21 individui) ha maturato altre forme di demenza. I ricercatori hanno notato che nei pazienti che avrebbero sviluppato la patologia neurodegenerativa i livelli dei peptidi beta-amiloidi erano più bassi che negli altri, a prescindere dal tempo che ci avrebbero messo a maturare la malattia. Invece, i livelli dei marker T-tau e P-tau nel fluido cerebrospinale dei futuri pazienti di Alzheimer erano più alti degli altri: in maniera lieve per chi avrebbe sviluppato la malattia in un tempo compreso tra i cinque e i dieci anni, mentre in un modo più significativo nei pazienti in cui l’insorgenza sarebbe avvenuta in anticipo (prima di cinque anni dall’inizio dello studio). “Abbiamo osservato che circa il 90% dei pazienti con demenza incipiente che presentavano questi valori alterati hanno sviluppato il morbo entro il periodo di follow-up”, ha dichiarato Peder Buchhave, ricercatore che ha condotto lo studio.

Secondo i ricercatori conoscere quali sono i livelli di questi marker in anticipo potrebbe aiutare a capire quale sia la corretta terapia da seguire per i pazienti: l’immunoterapia, ad esempio, è uno di quei trattamenti che ha le maggiori possibilità di successo se viene intrapresa in fasi preliminari della malattia. “I marker – ha concluso Buchhave – potrebbero indicare lo sviluppo della demenza con un anticipo di circa dieci anni. Speriamo che una tale nozione possa aiutarci a ritardare la maturazione stessa della malattia, o magari addirittura a fermarla, perché ci permetterebbe di intervenire prima che la degenerazione neuronale sia troppo estesa”.

Laura Berardi
 

04 gennaio 2012
© Riproduzione riservata

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