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Scompenso cardiaco: in Italia interessate 1,2 milioni di persone. Necessario ridisegnare l’assistenza sul territorio

di Maria Rita Montebelli

La popolazione degli scompensati è in crescita esponenziale, per l’invecchiamento della popolazione e il crollo della mortalità per cardiopatia ischemica. Un paziente con scompenso costa in media 11.800 euro l’anno, dovuti all’85% ai ripetuti ricoveri ospedalieri. Necessario dunque ribaltare l’assistenza a domicilio e sul territorio, avvalendosi anche dei modernissimi sensori anti-scompenso e degli strumenti della telemedicina. Se ne è parlato a Roma in un convegno al Senato.

02 DIC - E’attualmente la prima causa di ricovero in Italia, subito dopo il parto, ma l’assistenza dei soggetti con scompenso in futuro dovrà essere pensata e progettata sempre più al di fuori dell’ospedale. Per la qualità di vita e la sopravvivenza stessa del paziente, ma anche per contenere i costi, che rischiano di diventare insostenibili. Se ne è parlato in un convegno organizzato di recente a Roma, dall'ex senatore Stefano De Lillo, oggi nel Cda di Agenas, presso la Sala Zuccari del Senato.
 
Lo scompenso è una patologia che impedisce al cuore di pompare correttamente il sangue e che determina nel tempo il coinvolgimento di una serie di organi, tanto che c’è chi ha proposto una stadiazione, simile a quella del tumore, sulla base degli organi interessati. E’ una patologia seria anche dal punto di vista prognostico, visto che la metà dei pazienti muore a 5 anni dalla diagnosi.
 
Secondo gli ultimi dati dello studio Arno si stima che in Italia la popolazione interessata da questa condizione è di 1,2 milioni di persone (l’1-2% della popolazione); i ricoveri per scompenso si aggirano sui 180 mila per anno e hanno una durata media di 9 giorni. Una persona con scompenso costa allo Stato circa 11.800 euro l’anno (per un totale di 2,1 miliardi di euro) e l’85% di questa cifra è rappresentato dalle spese di ricovero. Negli ultimi infine 5 anni si è registrato un incremento del 40% dei ricoveri. Un dato atteso in parte, in quanto legato all’aumento dell’aspettativa di vita, al crollo della mortalità per cardiopatia ischemica e dunque all’aumento della popolazione anziana con un cuore lesionato e scompensato.
 
La terapia dello scompenso è farmacologica (beta bloccanti, ACE-inibitori, sartani, sacubitril/valsartan) ma anche  basata su device. Appartiene a questa categoria la terapia di resincronizzazione cardiaca (CTR-D), che risulta benefica nel 60-70% dei pazienti, soprattutto se gestita da un team multi-competenze, formato da scompensologo, elettrofisiologo, cardiologo del territorio. Ci sono poi i dispositivi di assistenza meccanica ventricolare sinistra (LVAD), che migliorano la sopravvivenza, anche in attesa di un trapianto cardiaco; di recente questo tipo di device è stato dotato di una pompa centrifuga di piccole dimensioni che ha molto ridotto il rischio di eventi trombo-embolici cerebrali. In Italia se ne giovano circa 120 pazienti l’anno, pari a circa 2 persone per milione di abitanti, ben lontano dalla media di 4 persone/milione di abitante in Francia e addirittura alle 8 persone/milione di abitante in Germania. Anche il Mitra-clip, un device, simile ad una spilla da balia, che serve a riparare in maniera mini-invasiva una valvola mitralica insufficiente, riduce del 47% i ricoveri per scompenso cardiaco a 2 anni e del 38% la mortalità.
 
Ma i device utilizzati per lo scompenso non sono soltanto ‘terapeutici’.
Molto promettente appare l’uso di speciali sensori miniaturizzati che, impiantati in arteria polmonare, consentono di cogliere i primi segni d’allarme, che precedono anche di giorni, un episodio di edema polmonare. Il sensore allerta da remoto il medico che può dunque intervenire sulla terapia farmacologica del paziente, evitando la riacutizzazione dello scompenso e dunque l’ennesimo ricovero. E’ questa una soluzione diagnostica che si sposa molto bene con l’assistenza in telemedicina di questi pazienti e che, oltre ad evitare gli episodi di riacutizzazione dello scompenso, ha anche un importante vantaggio economico; il paziente assistito a casa costa pochissimo; i ricoveri fanno invece lievitare enormemente la spesa.
 
“In futuro dunque – afferma De Lillo - l’assistenza di questa condizione dovrà necessariamente essere sempre più ribaltata sul territorio, con un lavoro coordinato tra diverse figure specialistiche e medico di medicina generale, e possibilmente con l’ausilio di strumenti di telemedicina, come quelli che si stanno cominciando a rendere disponibili. Bisogna fare assolutamente in modo che questo paziente non faccia avanti e indietro dall’ospedale, sia per la sua qualità di vita che per costi; e questo si potrà ottenere attraverso una vigilanza, effettuata dal medico di famiglia e dal cardiologo del territorio, avvalendosi di strumenti di telemedicina”.  
 
All’incontro hanno preso parte Francesco Fedele dell’Università La Sapienza di Roma, Gianfranco Gensini, dell’Università di Firenze, Walter Marrocco della Fimmg, Carlo Nozzoli del Careggi di Firenze, Leonardo Calò del Policlinico Casilino di Roma, Fabrizio Oliva del Niguarda di Milano, Antonio Magi, presidente Ordine dei Medici di Roma, Porzia De Nuzzo, presidente dell’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci (Aisc).
 
Maria Rita Montebelli

02 dicembre 2018
© Riproduzione riservata

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