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Quando i medici piangono

di Maria Rita Montebelli

Non ti illudere di poter trascorrere una vita da medico, senza doverne rispondere sul piano emotivo, ammoniscono gli esperti. E sono in molti a pensare che un pianto terapeutico e liberatorio sul posto di lavoro, non solo non danneggi l’immagine professionale del medico, ma lo faccia percepire dai pazienti come più umano ed empatico. Ma con dei limiti. Si può anche piangere ma in maniera ‘consapevole’. E spetta sempre al medico ad aiutare il paziente. Non viceversa.

27 FEB - I medici sono spesso accusati di scarsa empatia col paziente, quando non di freddezza al limite del cinismo nei rapporti col paziente. Ma ci sono anche i medici che piangono ‘sul lavoro’, davanti al paziente o al riparo da sguardi indiscreti, nel loro studio. Per tanti motivi diversi. Il senso di impotenza e desolazione di fronte alla morte di una persona da loro assistita, l’identificazione con la situazione di un paziente,  lo stress che diventa burnout travolgente.
 
Ad affrontare l’argomento è un saggio pubblicato su British Medical Journal, tutto costruito intorno alla domanda: ‘è appropriato che un medico pianga sul lavoro?’. Per molti, la risposta più ovvia e immediata è ‘no’ perché il pianto di un medico potrebbe risultare poco professionale, un segno di debolezza o incompetenza, e comunque un’inappropriata perdita del controllo. Ma sono sempre più numerose le evidenze che reprimere emozioni e sentimenti non fa bene. Neppure ai medici.
 
I più ‘benevoli’ e comprensivi nei confronti di un collega che versa qualche lacrima al lavoro sono gli psichiatri. A qualcuno di loro è capitato di piangere per il suicidio di un paziente da loro assistito. “Si tratta di un evento inatteso e tragico – commenta Anabel Price del dipartimento di psichiatria dell’Università di Cambridge – ed è assolutamente umano rimanerne sconvolti.  A volte è decisamente difficile trattenere le lacrime di fronte ad una brutta notizia”. Ad aver paura di scoppiare a piangere di fronte ad un paziente sono soprattutto i giovani, gli studenti di medicina. La Price cerca di fugare questa paura confessando loro tutte le volte che anche a lei è capitato di piangere ‘sul lavoro’, spiegando loro come ha gestito la questione sul momento e in seguito. Ma soprattutto rassicurandoli sul fatto che può capitare di piangere e di restare comunque un buon medico.
 
Joyful Doctor (www.joyfuldoctor.com) è un’organizzazione specializzata nel supportare i medici in difficoltà. La sua fondatrice, la psichiatra Caroline Walker ritiene che ‘ci sia qualcosa di significativo ed appropriato nel versare lacrime con i pazienti quando sta succedendo loro qualcosa di veramente terribile e che il fatto che un medico mostri la sua vulnerabilità può diventare uno strumento terapeutico estremamente potente che fa sentire al paziente di essere veramente compreso e preso in carico. E il medico che piange davanti al suo paziente, in un’occasione particolare,  risulta più vero e onesto”.
Ma i motivi per i quali un medico scoppia a piangere sul lavoro possono andare oltre quelli della frustrazione e del dispiacere di veder morire un paziente. In molti casi è un campanello d’allarme di burnout. “Molti medici che lavorano al di sopra dei propri limiti, a volte non si accorgono di avere un problema di salute. Se si piange troppo di frequente – ammonisce la  Walker - significa che è arrivato il momento di cercare aiuto. Vanno bene i gruppi Balint o l’analisi in gruppo. Ma i dottori più felici che io abbia mai visto – confessa la Walker – sono quelli che s’incontrano regolarmente con i loro pari per parlare e condividere”.
 
 “I medici che piangono sul posto di lavoro possono sentirsi confusi e colpevoli per averlo fatto – commenta la psicoterapeuta Chantal Meystre – Ritengo che ai medici vada offerta una supervisione psicologica per imparare ad esprimere le loro emozioni e a comprendere che potranno stare meglio dopo e che se piangono non è la fine del mondo. Non ti illudere che puoi superare una vita da medico, senza doverne rispondere sul piano emotivo – prosegue l’esperta – perché quando succede, ti può prendere di sorpresa. Una paziente può assomigliare alla tua fidanzata, un bambino può fare il compleanno lo stesso giorno del tuo, e se questo piccolo paziente muore, nella tua testa diventa tuo figlio. Ai medici spesso capita di dimenticare che sono esseri umani.”.
 
“Se reprimi le tue emozioni – afferma Hannah Barham-Brown, una giovane medico ‘fan’ del pianto terapeutico – il tuo problema può durare molto più a lungo. Dobbiamo piantarla di vederci come superumani perché è un concetto che ci danneggia”.
 
Neppure i chirurghi sono immuni al problema. E ben lo sa il Royal College of Surgeons inglese che, nel giugno 2018, ha tenuto un workshop su ‘chirurgia ed emozioni’, parte di un progetto continuativo, mirato ad esplorare il lato emozionale della chirurgia. “Un chirurgo ben addestrato, con intelligenza emotiva – afferma  l’ortopedico Scarlett McNally – si impegna per uno standard di buona e sicura assistenza per i pazienti e fa un miglior lavoro di squadra. Questo lo rende un chirurgo e un membro dello staff migliore”.
 
Ma questo non significa che i medici debbano inondare con le loro lacrime le corsie. “I medici – afferma Ane Haaland che insegna intelligenza emotiva all’Università di Oslo – dovrebbero sentirsi liberi di piangere al lavoro, ma dovrebbero essere anche in grado di controllare le loro emozioni. E’ quello che io definisco  ‘piangere con consapevolezza’. La focalizzazione deve essere sempre sull’aiutare il paziente, non sul fare in modo che sia il paziente ad aiutarti. La differenza è enorme e i medici dovrebbero comprenderla”. Con un esercizio di 5-10 minuti al giorno, la Haaland insegna ai medici a riconoscere le loro emozioni, a mettere dei sani paletti e a vedere la vulnerabilità come una risorsa, piuttosto che come un segno di debolezza. “Il vantaggio principale di essere consapevoli delle proprie emozioni è che le si può riconoscere quando si è a rischio burnout e si possono dunque prendere provvedimenti per prevenirlo”.
 
Maria Rita Montebelli

27 febbraio 2019
© Riproduzione riservata

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