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Pregi e difetti del CAR-T “fai da te”

di Fabrizio Gianfrate

Tra brevetti di cui è facilmente ipotizzabile una messe di controversie per la gioia di studi legali multimilionari, il CAR-T necessità di dotazioni tecnologiche e logistiche specifiche e bisogno di prodotti e componenti di primissima qualità, mi pare di dire, col massimo rispetto, che con i 5 milioni messi a disposizione dal Decreto Fiscale si faccia proprio pochino

26 MAR - Il mio primo ampli hi-fi me lo sono auto costruito a metà anni ’70, perché le lire di papà, maestro elementare, erano quelle che erano, il prezzo del Marantz o del Technics parecchio elevato e i 50 Hz di “The Dark Side” con il mangiacassette non si sentivano bene. Anche gli euro del SSN sono quelli che sono, il prezzo dei CAR-T delle Industrie è elevato e i pazienti senza non si curano bene, e allora il CAR-T lo si “auto costruisce”.
 
Così ha previsto il Governo col Decreto Fiscale di dicembre e l’avvio in questi giorni del Gruppo di Progetto con alcuni IRCCS selezionati.
 
Degli aspetti di prezzo e rimborso dei CAR-T (due finora quelli approvati da EMA, Kymriah-Novartis e Yescarta-Gilead, ad oggi rimborsati in alcuni Paesi EU, compreso UK, non da noi, altri in finale di sviluppo) avevo qui già trattato, sottolineandone, oltre ovviamente alla eccezionale innovatività, l’aspetto “one-shot, long term” ovvero una sola somministrazione per efficacia permanente, per cui avevo teorizzato accordi di rimborso particolari, “rateizzati” in più anni, legati alla constatazione del mantenimento dell’efficacia (outcome based), magari con l’intervento di soggetti finanziari (banche) che si accollino il debito cartolarizzandolo, o addirittura pagando le Industria con BTP pluriennali.
 
Del CAR-T “fai da te”, invece, mi parlò la prima volta qualche anno fa in uno dei primi advisory board internazionali in merito, eravamo a Londra e il prodotto era ancora in fase II, un noto ematologo tedesco che in un coffee break, senza farsi sentire dal personale dell’Industria che organizzava l’incontro, mi disse sornione nel suo inglese gutturale che nel suo ospedale lui già stava lavorando a farselo in casa (oggi c’è un accordo con i “sick funds”). In un altro board, un paio di anni fa, fu invece un noto ematologo italiano a parlarmi della volontà di attivarsi in una produzione “casalinga”, facendone una comparazione metodologica con l’utilizzo delle cellule staminali. Non mi hanno sorpreso quindi gli sviluppi futuri, anche governativi, venuti in merito.
 
Il CAR-T “home made” apre alla discussione su diversi aspetti.
Il primo è su quali indicazioni fare lo sviluppo, se le stesse di quelle industriali o altre, “off label” incluse possibili diverse popolazioni di pazienti (es.: pediatriche) nelle stesse patologie.
 
Il secondo, conseguente al primo, è su come il ‘fai da te’ si concili con le coperture brevettuali industriali in essere, sia di prodotto che di processo.
Il terzo è come garantire nel singolo ospedale che si fa “produttore”, non solo la quantità richiesta ma soprattutto la qualità necessaria, aspetto essenziale e particolarmente delicato data la caratteristica della preparazione della terapia, tant’è che è stato uno dei colli di bottiglia dei regolatori per le Industrie che infatti vi hanno investito nei loro impianti dedicati decine di milioni per ottemperare agli standard rigorosissimi richiesti.
 
Insomma, il CAR-T, richiede altissime tecnologie e standard qualitativi elevatissimi che mi fanno riflettere quando approcciate con un “fai da te” in un contesto come quello del nostro SSN, dove a fianco di eccellenze assolute (es.: i suddetti IRCCS selezionati) spesso convivono tuttavia realtà da terzo mondo.
 
E poi vale la pena ricordare la necessità di utilizzo, per il processo di modifica cellulare-linfocitaria, di prodotti componenti di primissima scelta, probabilmente coperti da brevetto da parte delle Industria che il CAR-T l’hanno inventato e sviluppato.
 
Insomma, tra brevetti di cui è facilmente ipotizzabile una messe di controversie per la gioia di studi legali multimilionari, necessità di dotazioni tecnologiche e logistiche specifiche e bisogno di prodotti e componenti di primissima qualità, mi pare di dire, col massimo rispetto, che con i 5 milioni messi a disposizione dal Decreto Fiscale si faccia proprio pochino.
 
Il mio ampli auto costruito si sentiva abbastanza bene, peccato che dopo un po’ che andava, spesso proprio sugli orologi dell’inizio di “Time” si bruciasse quello o quell’altro transistor. Non essendo del resto quelli che avevo potuto usare come quelli selezionati dei Technics, Marantz, Yamaha o NAD e poi non lo stesso schema elettronico e, non ultimo, non la stessa mano esperta a costruirli.
 
Prof. Fabrizio Gianfrate
Economia Sanitaria

26 marzo 2019
© Riproduzione riservata

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