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Industria farmaceutica al primo posto in Italia per export. Scaccabarozzi (Farmindustria): “Vogliamo crescere ancora”. Spandonaro (Ceis): “Prezzi e spesa bassi. Boom generici e biosimilari. Poco spazio per innovazione”


Quasi 200 aziende, 66.000 addetti (90% laureati o diplomati), 6.400 ricercatori, 2,8 miliardi di investimenti (1,5 in R&S e 1,3 in produzione). E poi 32 miliardi di euro di produzione nel 2018, quasi l’80% destinato all’export. I numeri del comparto illustrati oggi a Rieti, durante un focus sul farmaceutico laziale, dal presidente della Farmindustria Scaccabarozzi. Intervenuto anche l'economista di Tor Vergata che ha stigmatizzato come la sanità sia ancora oggi vista solo come una spesa e non come motore di traino per la nostra economia e per lo sviluppo del Paese.

05 APR - Al primo posto in Italia per export farmaceutico nel 2018 con oltre 9,1 miliardi di euro. È il primato dell’industria farmaceutica presente nel Lazio. Esportazioni che a Rieti rappresentano quasi il 70% di tutto il settore manifatturiero.  E addirittura il 90% considerando i soli comparti hi tech. Nel Lazio sono presenti oltre 60 aziende farmaceutiche con 16 mila dipendenti (e altri 6 mila sono nell’indotto). Cifra che pone la Regione nella top ten di quelle Ue per numero di addetti nelle imprese del farmaco. E il Lazio è al secondo posto in Italia come quota di ricercatori (1.125) e investimenti in R&S (300 milioni di euro).
 
I dati sono stati presentati oggi nel corso del roadshow di Farmindustria Innovazione e Produzione di Valore. L’industria del farmaco: un patrimonio che l’Italia non può perdere. L’incontro si è svolto presso lo stabilimento di Takeda a Cittaducale/Rieti. Un percorso partito sei anni fa dalla Toscana, che ha toccato anche Emilia Romagna, Lombardia, Lazio, Puglia, Abruzzo, Marche, Campania, Sicilia.
 
“Salute, occupazione, innovazione, ricerca, giovani, donne, welfare, produzione, export: sono i punti di forza delle imprese del farmaco - afferma Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria -. Aziende che hanno dimostrato in questi anni di far leva sui territori per contribuire alla loro crescita economica e sociale. E che hanno garantito opportunità di lavoro a risorse umane altamente qualificate, in gran parte laureate o diplomate, con una quota crescente di assunzioni giovanili. Senza dimenticare la spinta in più, soprattutto nella R&S, che viene dal fattore 'd', come donne”.
 
L’industria del farmaco in Italia rappresenta quindi un asset strategico per il Paese che oggi, dopo una lunga rincorsa, ha superato la Germania e occupa il primo posto in ambito Ue per produzione. Un successo dovuto integralmente all’incremento dell’export, +117% tra il 2008 e il 2018, che ha trainato proprio l’aumento di produzione (+22%) negli ultimi dieci anni.
 
“Risultati che sono la base di nuove sfide - aggiunge Scaccabarozzi - perché vogliamo crescere ancora. I presupposti ci sono tutti. E le aziende sono pronte a continuare a investire. Ora è più che mai necessaria una governance che, partendo dal paziente, abbia come scopo principale l’accesso alle cure e la valorizzazione del ruolo industriale e di ricerca. Solo così è possibile attrarre sempre più investimenti, far crescere l’occupazione e moltiplicare le proficue sinergie con l’indotto e le Università”.
 
Un quadro della situazione del settore è stato offerto anche da Federico Spandonaro del Crea Sanità - Università degli Studi di Roma Tor Vergata: "La spesa farmaceutica in Italia è inferiore del 27% rispetto alla media delle 'Big' UE. I prezzi sono più bassi del 15-20% rispetto alla media europea. I farmaci a brevetto scaduto rappresentano il 90% delle confezioni presenti in farmacia e siamo il primo Paese per vendita di biosimilari".
 
Tutti dati che si inquadrano più in generale in un approccio verso la sanità che continua a vedere il comparto sempre solo come una spesa e poco o nulla come un'opportunità di sviluppo. Un approccio che sembra non tener conto, ha sottolineato ancora Spandonaro, che la "filera della salute è la terza impresa del Paese, garantisce il 10% dell'occupazione totale e dà corso al 10,7% del nostro Pil".
 
Ma nonostante questi dati nella sanità non si investe e il sottofinaziamento è ormai cronico. Tutti fattori che spingono Spandonaro a sottolineare come "in carenza di crescita non c'è spazio per l'innovazione. Con il rischio che l'unversalismo diventi di 'facciata'. La politica del 'silos' non è più sostenibile. C'è bisogno di una governance che coniughi politiche di finanza pubblica e politiche industriali". (vedi slide).
 
L’industria farmaceutica in Italia. Quasi 200 aziende, 66.000 addetti (90% laureati o diplomati), 6.400 ricercatori, 2,8 miliardi di investimenti (1,5 in R&S e 1,3 in produzione). E poi 32 miliardi di euro di produzione nel 2018, quasi l’80% destinato all’export. Successi ottenuti grazie anche a risorse umane altamente qualificate e produttive. E sempre più giovani.
Basti pensare che gli under 35, tra il 2014 e il 2017:
- sono aumentati dell’11%;
- sono l’81% dei nuovi assunti;
- hanno, per circa l’80%, contratti a tempo indeterminato.
 
E la percentuale di impiego femminile supera abbondantemente il 40% e nella R&S il 50%.
 
Imprese che a livello globale hanno una pipeline di ricerca di 15.000 farmaci, oltre 7.000 in fase clinica, di cui il 40% frutto della Ricerca biotech per importanti aree, come l’oncologia, la neurologia, le patologie infettive, le malattie metaboliche, le patologie muscolo-scheletriche. Farmaci che a partire dagli anni ’50 a oggi in Italia hanno contribuito all’aumento dell’aspettativa di vita. E che, nel futuro, potranno dare un ulteriore contributo per la salute dei pazienti e la sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale.

L’industria farmaceutica è poi tra i settori più green dell’industria: in 10 anni le imprese del farmaco hanno ridotto i consumi energetici (-69%) e le emissioni di gas climalteranti (-66%). E quasi la metà degli investimenti ambientali è in tecnologie «pulite», che azzerano o riducono alla fonte l’inquinamento del processo produttivo.

05 aprile 2019
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