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Cancro. Studio italiano smentisce teoria che dà la colpa alla sfortuna

di Maria Rita Montebelli

Sono tutti di nazionalità italiana i ricercatori che, con uno studio pubblicato su Nature Genetics, ribaltano la teoria del cancro frutto della ‘sfortuna’, proposta nel 2017 dal gruppo di Vogelstein della Johns Hopkins. A provocare il tumore sono i danni indotti al DNA a partire, secondo questa nuova ricerca, da un ancora misterioso segnale proveniente dall’ambiente in cui viviamo. Geni di fusione e traslocazioni, alla base di tanti tipi di tumore, deriverebbero dunque da una complessa sequenza di danni e riparazioni ‘sbagliate’ della doppia elica del DNA, innescate da un fattore esterno. Contro la teoria del caso, riprende dunque quota la prevenzione

21 MAG - Il tumore è una malattia del DNA. Anzi del DNA rotto, denaturato, rimaneggiato. Come sia possibile che la preziosa doppia elica, che reca scritto il codice della vita, possa ad un certo punto trasformarsi in un manuale di istruzioni di morte, non è ancora stato chiarito purtroppo. Di certo ogni giorno il nostro organismo distrugge decine e decine di cellule con un DNA programmato per ‘fare’ tumore; e quando i complessi meccanismi deputati a questo monitoraggio, all’eliminazione di queste cellule anomale o alla riparazione della doppia elica vengono meno e non hanno più la capacità di arginare questi fenomeni, il cancro, inevitabilmente trova la strada spianata. Ma come si arriva a questo?
 
Nel 2017 suscitò un gran polverone mediatico uno studio pubblicato su Science dal gruppo di Bert Vogelstein (Johns Hopkins Medical School) secondo il quale una percentuale importante delle mutazioni del DNA alla base dello sviluppo di un tumore (addirittura due su tre), sarebbe dovuta al caso, o meglio al cosiddetto fattore ‘S’, come ‘sfortuna’, incarnata dalle mutazioni da fattori ‘replicativi’. Nulla a che vedere cioè con l’ambiente e con l’ereditarietà, da sempre ritenuti i protagonisti della genesi del tumore, ma solo al Caso.
 
Nature Genetics di questa settimana pubblica invece uno studio, tutto a firma di ricercatori italiani dello IEO (Istituto Europeo di Oncologia, Milano) e di varie università italiane (Milano, Napoli, Pavia), realizzato anche grazie ai finanziamenti del Consiglio europeo per la ricerca (Erc), che rappresenta per certi versi la risposta italiana a questa teoria ‘del caso’, relativa alla genesi dei tumori.
 
A provocare i tumori sono non tanto delle mutazioni puntiformi, quanto piuttosto le traslocazioni cromosomiche o la formazione di geni ‘di fusione’ a partire dalle rotture della doppia elica del DNA.
 
Agenti esterni genotossici, ma anche processi intrinseci alla vita della cellula (replicazione del DNA, trascrizione, stress ossidativo) contribuiscono a danneggiare il DNA, determinando in più punti rotture della doppia elica, che possono mettere in pericolo la vita stessa della cellula e l’integrità del genoma. Se non si riesce a riparare queste rotture, le cellule normali mettono in atto una serie di meccanismi che conducono la cellula stessa all’apoptosi (al ‘suicidio’ della cellula). Ma a volte, è una riparazione ‘sbagliata’ delle rotture della doppia elica del DNA, a portare alla formazione di mutazioni e aberrazioni cromosomiche che aumentano il rischio di trasformazione tumorale.
 
Lo studio condotto dai ricercatori italiani dimostra che le rotture della doppia elica del DNA non sono distribuite ‘a caso’ a livello del genoma,ma tendono a localizzarsi sempre nelle stesse posizioni, in particolare a livello dei promotori, dei siti di splicing a livello dell’introne 5’ e degli enhancer (o intensificatori) attivi. Ciò suggerisce secondo gli autori dello studio che l’accumulo delle rotture della doppia elica del DNA rappresenti una proprietà intrinseca delle regioni del genoma coinvolte in particolare nei processi di trascrizione.
 
Non è tuttavia la trascrizione di per sé ad esercitare un ruolo causale sul fenomeno della rottura della doppia elica, quanto piuttosto il rilascio delle RNA polimerasi (Pol II) in pausa; i livelli di Pol II in pausa, in prossimità dei siti danneggiati, correlano a loro volta  fortemente con le topoisomerasi (soprattutto con TOP2B) e questo suggerisce che le topoisomerasi contribuiscano a loro volta alla formazione di rotture della doppia elica endogene. Il rilascio di Pol II in pausa in prossimità di loci specifici del DNA favorisce dunque la rottura della doppia elica che, a sua volta, può portare a traslocazioni cromosomiche.
 
Ma anche tutte queste complesse sequenze di interazioni, che esitano in geni di fusione o in traslocazioni cromosomiche, non avvengono per caso. Esiste una regia centrale, un segnale che proviene dall’ambiente in cui viviamo. Un segnale che non ha ancora un nome e un cognome (i ricercatori italiani stanno lavorando alacremente per individuarlo) che interagendo con il DNA porterebbe a quelle alterazioni alla base del tumore. E questa constatazione consente dunque di ribaltare la poco credibile teoria della ‘sfortuna’ alla base del tumore, per ripristinare quella dell’interazione DNA-ambiente. E dà dunque nuovo slancio e credibilità a tutti gli sforzi della prevenzione.
 
"Studiando le cellule normali e tumorali della mammella - spiega Gaetano Ivan Dellino, ricercatore dello Ieo e dell'Università di Milano - abbiamo scoperto che né il danno al Dna, né le traslocazioni avvengono casualmente: possiamo infatti prevedere quali geni si romperanno con una precisione superiore all'85 per cento. Tuttavia solo una piccola parte di essi darà poi origine a traslocazioni. La questione centrale, che cambia la prospettiva della casualità del cancro, è che l'attività di quei geni è controllata da segnali specifici che provengono dall'ambiente nel quale si trovano le nostre cellule, e che a sua volta è influenzato dall'ambiente in cui viviamo e dai nostri comportamenti".
 
"Non esiste alcuna base scientifica – afferma il professor Piergiuseppe Pelicci, direttore della ricerca allo Ieo e professore di Patologia generale all'Università di Milano - che ci autorizzi a sperare nella fortuna per evitare di ammalarci di tumore. Anzi, ora abbiamo un motivo in più per non allentare la presa sulla prevenzione: nei nostri stili di vita, nel tipo di mondo che pretendiamo, nei programmi di salute che vogliamo dal nostro servizio sanitario, anche nel tipo di ricerca scientifica che vogliamo promuovere. Per ora non abbiamo capito esattamente quale sia il segnale che induce la formazione delle traslocazioni, ma abbiamo capito che proviene dall'ambiente.”
 
Maria Rita Montebelli

21 maggio 2019
© Riproduzione riservata

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