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Fecondazione in vitro. Ecco come migliorare le probabilità di successo


Un ambiente protetto e dalle caratteristiche stabili, proprio come l’utero materno: per far sì che aumentino le possibilità di rimanere incinte con la Fivet bisogna tentare di controllare più possibile le condizioni ambientali del laboratorio. Ma così facendo si aumentano di un quarto le gravidanze.

03 MAR - Uno dei problemi principali della fecondazione in vitro è il fatto che molto spesso le donne sono costrette a ripetere i cicli ormonali o il vero e proprio procedimento di inseminazione perché non hanno avuto successo col primo trattamento. Per ridurre questo problema, pesante sia dal punto di vista fisico che da quello emotivo, arriva oggi dall’Università di Newcastle un nuovo trattamento, che secondo i ricercatori può migliorare le possibilità di rimanere incinte di più di un quarto. Il nuovo metodo, in cui tutti i passaggi della fecondazione in vitro (Fivet) vengono effettuati in una serie di incubatrici collegate, è stato pubblicato su PLoS One.
 
L’idea è quella di effettuare tutte le operazioni in un ambiente protetto e controllato, comprese quelle di controllo degli embrioni. Di solito infatti, per verificare lo stato di sviluppo delle cellule, le colture cellulari vengono prelevate dal luogo in cui crescono per essere portate al microscopio: durante questa operazione vengono però a contatto con condizioni ambientali diverse, come ad esempio una differente qualità dell’aria, oppure possono andare incontro a sbalzi di temperatura. “Quando la fecondazione avviene naturalmente, all’interno del corpo delle donne, cellule uovo e embrioni vedono intorno a loro sempre le stesse condizioni”, ha spiegato Mary Herbert, ricercatrice che ha condotto lo studio. “Per questo abbiamo pensato che la cosa migliore fosse ricreare lo stesso anche nel processo di fecondazione in vitro”.
Dopo aver pensato il sistema di incubatrici collegate che permette di mantenere gli eventuali embrioni in ambiente protetto, il ricercatori lo hanno testato per un periodo di tre anni. Nell’ultimo anno di ricerca gli scienziati hanno osservato una percentuale di embrioni che riescono ad attecchire nell’utero pari addirittura al 45%, quando attualmente i dati ci parlano di probabilità di successo che si aggirano intorno al 32-35%. In altre parole la tecnica migliora le possibilità di rimanere incinta almeno del 27%, rispetto a quelle precedenti.
 
Ma questa non è l’unica buona notizia che arriva dal mondo della Fivet. I ricercatori dell’University College di Dublino hanno infatti scoperto un nuovo modo di valutare prima del trasferimento di un embrione nell’utero, la possibilità che questo vi attecchisca: basta analizzare le informazioni metaboliche contenute nel fluido delle ovaie che circonda uova e ovociti immaturi.
Nello studio pubblicato su Fertility and Sterility, i ricercatori irlandesi hanno infatti spiegato come il liquido follicolare prelevato dalle donne rimaste incinte per fecondazione in vitro fosse diverso da quello delle pazienti che non c’erano riuscite, già prima che avvenisse l’inseminazione in vitro vera e propria. I ricercatori hanno osservato questa differenza metabolica su 60 pazienti della Merrion Fertility Clinic della capitale irlandese.
 
Entrambi questi studi dimostrano come nell’ambito della Fivet ci sia ancora molto da perfezionare,ma anche che la scienza sta forse andando nella giusta direzione.
Ulteriori sforzi nelle due direzioni indicate dalle ricerche potrebbero presto risolvere due delle questioni più grandi che affliggono la tecnica da quando è stata inventata, decenni fa: la bassa percentuale di riuscita per le cosiddette low responders, ovvero le donne che non reagiscono bene ai trattamenti ormonali e per le quali è difficile rimanere incinte anche con la fecondazione in vitro; l’alto numero di gravidanze multiple, più pericolose sia per le madri che per i feti, che derivano dall’impianto contemporaneo di più embrioni, spesso effettuato dai medici per aumentare le chances di successo.
Due problemi che potrebbero sembrare opposti, ma che invece derivano da un problema comune: la riproduzione umana non è un processo infallibile né efficiente, sia che avvenga in maniera naturale, sia che si ricerchi con metodi di procreazione medicalmente assistita.
 
Laura Berardi

03 marzo 2012
© Riproduzione riservata

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