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Fibrillazione atriale. L’aritmia è fattore di rischio per il declino cognitivo


I risultati di due studi randomizzati lo dimostrano: la fibrillazione atriale aumenta il rischio di demenza del 21%. La spiegazione è da ricercare in eventi non osservabili clinicamente, ma che col tempo danno luogo al deficit cognitivo. A spiegarcelo Irene Marzona del Mario Negri.

07 MAR - Da qualche anno sempre più studi collegano alcune forme di demenza alle patologie legate all’ipertensione e al cuore. Ultimo tra questi una ricerca internazionale che vede la collaborazione dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri e la McMaster University di Hamilton, che ha dimostrato come la fibrillazione atriale, una tra le più comuni aritmie cardiache, sia un forte predittore di declino cognitivo e funzionale in una popolazione ad alto rischio cardiovascolare. I risultati di questo lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Canadian Medical Association Journal (CMAJ). Ce ne parla Irene Marzona, ricercatrice del laboratorio di Ricerca in Medicina Generale (Dipartimento Cardiovascolare)  del Mario Negri che ha partecipato allo studio.

“Si sa bene che la fibrillazione atriale è un fattore di rischio per l’ictus, ma il nostro obiettivo era quello di verificare se esistesse o meno una correlazione tra questa aritmia cardiaca e il declino cognitivo e funzionale”, ha spiegato a Quotidiano Sanità la ricercatrice, che ha lavorato per un periodo proprio in Canada, nel gruppo di ricerca di Salim Yusuf, uno dei docenti co-autori dello studio. “Per farlo avevamo a disposizione i dati prospettici di due grossi studi clinici randomizzati, i trial ONTARGET e TRANSCEND. La popolazione considerata in queste sperimentazioni era già altamente selezionata: tutti i 31.546 pazienti inclusi nei trial, provenienti 733 centri sparsi in 40 Paesi, erano infatti ad alto rischio cardiovascolare”.
 
Il livello di funzionalità cognitiva è stato determinato con l’uso del test Mini Mental State Examination (MMSE) in tre momenti distinti: all’inizio dello studio, a due anni di follow up e 6 mesi dalla conclusione del trial. Il MMSE è un test che misura diverse funzioni cognitive tra le quali attenzione e calcolo, ripetizione, lettura, comprensione  e attraverso l’uso di questo test al paziente viene assegnato un punteggio in base alle sue capacità. E’ stato già dimostrato che una diminuzione di 3 o più punti totali in questo test è indice di un importante declino cognitivo. I ricercatori inoltre avevano a disposizione le informazioni riportate dai medici sperimentatori sul livello funzionale di coloro che per esempio lungo termine avessero avuto necessità dell’aiuto di qualcuno per eseguire le semplici attività giornaliere, o che addirittura avessero avuto bisogno di essere ricoverati in strutture specializzate.
È così che i ricercatori hanno dimostrato come solo per un quarto dei pazienti senza fibrillazione atriale si manifestavano congiuntamente diminuzione di più di 3 punti nel test MMSE, comparsa di demenza, necessità di ricovero in una struttura di lungo degenza e perdita di indipendenza nell’eseguire le attività quotidiane – ovvero in 7.269 persone su 27.864 (26%). Per contro ciò accadeva in 1.050 pazienti su 3.068 (34%) pazienti con fibrillazione atriale, ovvero addirittura in un terzo dei partecipanti con questa aritmia.
 
I ricercatori hanno così dimostratocome la fibrillazione atriale aumentasse il rischio di demenza del 21%, indipendentemente dalla presenza di una patologia ischemica cerebrovascolare, precedente al trial oppure osservata nel follow-up. “Abbiamo registrato una significativa associazione tra l’insorgenza di fibrillazione atriale e il declino funzionale: in particolare la comparsa di questa aritmia aumentava del 35% il rischio che i pazienti dovessero avvalersi di un aiuto in casa e del 53% che venissero ricoverati in una struttura di lungo degenza”, ha spiegato la ricercatrice. “Tutto questo indipendentemente dall’insorgenza di veri e propri episodi di ictus”.
Secondo i ricercatori che hanno condotto lo studio, questo declino cognitivo e funzionale potrebbe essere il risultato di patologie cerebrovascolari subcliniche. “In altri studi – ci ha detto Marzona – è emerso che la fibrillazione atriale è causa di eventi che portano a conseguenze cliniche importanti come quelle dovute all’ictus ischemico di origine tromboembolica. Quello che noi supponiamo è che esistano anche degli eventi ischemici subclinici che col tempo danno luogo al deficit osservato nei pazienti di questi trial”.
 
Chiaramente, precisa la ricercatrice,i risultati sarebbero ancora più consistenti se accanto al test MMSE si fossero potuti osservare anche i dati provenienti da tecniche di neuroimaging. “In questo modo avremmo potuto osservare se esistono anche eventuali lacune a livello cerebrale, associate al rischio aumentato”, ha commentato la ricercatrice. “Ma il risultato è comunque qualcosa di mai osservato prima”.
Inoltre, Marzona non esclude la possibilità che su questi argomenti possano comunque in futuro essere condotti ulteriori studi, tanto che se le si chiede se ha intenzione di collaborare ancora con il team di Yusuf risponde. “Sarebbe interessantissimo continuare le ricerche proprio partendo da questo studio, e magari implementando il neuroimaging. Non abbiamo ancora pensato al futuro, ma quel che è sicuro è che il nostro lavoro apre degli scenari che vanno sicuramente investigati”.
 
Laura Berardi

07 marzo 2012
© Riproduzione riservata

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