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Le famiglie italiane e l’ansia da Coronavirus

di Ettore Jorio

Tutte le famiglie italiane - caratterizzate da quel buono e sano egoismo che le mamme e i papà testimoniano in favore dei loro figli in occasione dei più generali pericoli intesi ad assicurare agli stessi la migliore tutela - vivono uno stato di ansia non indifferente. Specie quelle meridionali che hanno tanti giovani e non giovani che, costretti a cercare fortuna ovvero diverse occasioni di studio e/o lavoro nel nord del Paese, non sanno che pesci prendere nella divisione forzata dai propri cari

04 MAR - Il coronavirus, già impegnativo per suo conto, ha generato una assurda competizione tra i media, sempre di più a caccia di share e degli scoop che l'assicurano. Non solo. Hanno lottato per assicurarsi le presenze scientifiche più significative e, tra queste, anche le più telegeniche, tanto da fare superare a taluni, nel breve periodo, il Pippo Baudo dei tempi migliori quanto a presenze in video.
 
Una gara improvvida
Di conseguenza, l'informazione ha determinato - con i suoi «non è altro che una normale influenza» alternati a «è un virus sconosciuto ed è quindi impegnativo così come lo fu la spagnola o peggio» - l'insorgenza di una sorta di improprio agonismo tra scienziati. Un compito, quello esercitato da questi ultimi, che trova la sua corretta esistenza, la sua ragione di essere nella competizione da esercitarsi nei loro laboratori, senza la quale la ricerca non avrebbe prodotto nei secoli ciò che deve alla collettività, e non già da esternarsi nei talk show più in voga.

Un andirivieni non propriamente apprezzabile
E ancora. La politica - intendendo per essa il Governo, quelli delle Regioni e le componenti esercenti anche i rispettivi ruoli di minoranza - ce l'ha messa anche di suo nello scombussolare, specie nella prima fase, l'idea popolare. Per il vero lo sta facendo ancora, condizionata com'è dai dati che trasformano giornalmente in preoccupazioni collettive le aspettative del giorno prima. Ciò nonostante un discreto impegno dell'Esecutivo nell'adottare provvedimenti, a ricaduta economica, indispensabile per non «spegnere» del tutto il Paese.

L'amore che genera pericoli
Quindi, tra regole igieniche, alternate con i divieti dei saluti affettivi soliti nel nostro Paese, aggiunti alla impossibilità di perfezionare assembramento di ogni tipo la preoccupazione aumenta. Tutte le famiglie italiane - caratterizzate da quel buono e sano egoismo che le mamme e i papà testimoniano in favore dei loro figli in occasione dei più generali pericoli intesi ad assicurare agli stessi la migliore tutela - vivono uno stato di ansia non indifferente.
 
Specie quelle meridionali che hanno tanti giovani e non giovani che, costretti a cercare fortuna ovvero diverse occasioni di studio e/o lavoro nel nord del Paese, non sanno che pesci prendere nella divisione forzata dai propri cari. Un divieto per molti insopportabile a tal punto che alcuni di essi hanno avuto nell'immediato l'ardire di consentire - per eccesso di affetto e preoccupazione - ai loro figli di rompere il fronte, anche delle zone rosse. Da qui, una delle cause dell'insorgenza del dilagare dei tamponi positivi nelle regioni del sud.

L'informazione complice del caos
Ritornando ai criteri che hanno distinto sino a ieri (ci si augura che sia così!) l'informazione in perenne gara per la conquista dell'ultimo ascoltatore, si sono prodotti danni inenarrabili in termini di corretta notizia e, dunque, di determinazione di una generale depressione dell'utenza più pessimista. Un risultato che genera e continuerà a generare non pochi problemi alla comune convivenza, preoccupata peraltro dalla tendenza alle crescita di infetti, di morti, di bisognosi di ricovero in rianimazione e terapia intensiva. Una tipologia di utenza che inciamperà nella progressiva diminuzione dell'offerta dei posti letto, già limitata nel Paese nell'ordine delle cinquemila disponibilità, della quale in gran parte già impegnata.
Un timore, quest'ultimo, che nel sud ha motivo di trasformarsi in terrore, attesa la minore presenza di posti letto idonei ad assolvere ad una siffatta specifica esigenza.

La Calabria, l'incapacità assoluta
Il massimo in Calabria, con un commissario ad acta che, forse, suppone di essere deputato a tutelare la salute dei finlandesi, piuttosto che dei mandati calabresi.
Ha avuto, infatti, l'ardire di adottare l'appena 26 febbraio scorso (in piena bufera da coronavisus) il DCA n. 57 (per i non avvezzi all'acronimo, il decreto del commissario ad acta, gen. Cotticelli) con il quale ha approvato il Programma Operativo 2019-2021 della sanità calabrese. Il suo contenuto ha dell'inimmaginabile e dell'incredibile, tanto da suscitare, in alcuni punti, incredulità in relazione alle opzioni in esso scandite, ma soprattutto in quelle non prese neppure in considerazione.
 
Il decreto ha rappresentato un atto di irresponsabilità assoluta, che fa ricorso - in un particolarissimo momento nel quale il Paese è in preda al panico per l'epidemia da coronavirus - alla solita lettera ripetitiva, tipica del peggiore taglia&incolla, e opera scelte che tali non sono sul piano delle misure utili per rianimare il Ssr. Un sistema, quello sanitario calabrese, già messo a dura prova da un commissariamento ad acta ultradecennale ed inefficace nonché da una politica che ha trattato la Calabria come vuoto a perdere, destinandole un D.L. (n. 35/2019) che l'ha affondata sul piano dei servizi alla salute che vi residuavano solo per lo stacanovismo degli operatori sanitari.

Il coronavirus dove lo metto?
Di conseguenza, si constata una regione messa in uno stato di gravissimo affanno nel fronteggiare l'avanzata del Covid-19 con una disponibilità risicata di posti letto di rianimazione, indispensabili per fronteggiare il ricovero dei più gravi, che verosimilmente si registreranno di qui a non molto. Il tutto grazie anche ad una rete delle cautele e delle salvaguardie segnatamente smagliata, che ha fatto passare di tutto da ovunque, perché priva di quella accorta sorveglianza che necessitava e che, grazie alla straordinaria "capacità" e impegno della governance commissariale, intendendo per tale quella complessiva, è stata pressoché assente.
 
Un problema, quello del contenimento dell'epidemia e del modo di fronteggiarla, che registra un livello di assistenza ospedaliera estremamente insoddisfacente quanto alla ricezione utilmente prevista. Stimati come insufficienti i 5.000 posti letto di rianimazione e terapia intensiva disponibili nel Paese. Assolutamente pochi (poco più di 100) quelli funzionanti in Calabria, tenuto conto della verosimile avanzata del virus che dalle nostre parti sta cominciando a preoccupare la popolazione, dopo la scoperta di un contagio nell'alto Tirreno cosentino, di provenienza dell'area bergamasca, e di un altro a Reggio Calabria. Una situazione che sta angosciando le famiglie, lasciate da sole a preoccuparsi del fenomeno. Un tale stato di cose, piuttosto che registrare un accorto intervento del commissariamento ad acta finalizzato a tranquillizzare la popolazione attraverso una massiccia informazione in tal senso, non ha invece impedito al medesimo di farne una delle sue.
 
Ebbene, a fronte di tutto questo, il Nostro ha redatto il solito strumento «programmatorio» - quello marginalmente individuato nel comma 88 dell'art. 2 della legge finanziaria per il 2010 cui ha dato vis regolativa il D.L. 98/2011 - che si è limitato a dividere e tagliare acriticamente posti letto. Lo ha fatto senza che vi sia a monte alcuna corretta rilevazione del fabbisogno epidemiologico consolidatosi in Calabria e mai soddisfatto, figuriamoci quello sopravvenuto.
 
Dunque, nel fare ciò non ha tenuto affatto conto di ciò che occorre ai calabresi (e non solo!). Non solo. In un momento particolare come questo - nonostante il terrore che genera il virus (che con le diverse sigle attribuitegli - coronavirus, Covid-19, SARS-COV2-2019/2020 - e messe in circolazione mette in allarme tutti, persino i più cauti) - non tiene conto di un’epidemia che sta mettendo a rischio la sostenibilità del sistema nazionale. Un rischio, da moltiplicarsi all'ennesima potenza in Calabria, figuriamoci quello calabrese che è privo della efficienza altrove riscontrabile e di un decisore (il commissario ad acta) che non ha predisposto alcunché in proposito nella sua programmazione 2019-2021. Basta immaginare che nelle 244 pagine, che compongono l'allegato all'anzidetto DCA 57/2019, incrementate delle quattro pagine del quale lo stesso si compone, la parola coronavirus e le sue denominazione "alternative" non trovano alcuna ospitalità. Robe da matti!
 
Ettore Jorio
Università della Calabria

 


04 marzo 2020
© Riproduzione riservata

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