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Coronavirus. Serve un piano per la gestione del personale 

di Roberto Polillo

Ecco, in dieci punti, le cose che il Ministero e le regioni dovrebbero garantire per contrastare più efficacemente l’epidemia e impedire che il personale sanitario venga lasciato solo o poco protetto in questa vera e propria guerra

15 MAR - Il ministero della Salute non ha purtroppo ancora elaborato un piano organico sulla gestione delle risorse umane necessarie alla gestione dei pazienti affetti da COVID.
L’attenzione finora è stata rivolta prevalentemente al potenziamento delle strutture e alla ricerca affannosa dei presidi medicali indispensabili: dalle mascherine ai guanti per arrivare ai respiratori.
 
Le diverse stime sull’andamento dell’epidemia sono tutte concordi sulla necessità di ampliare il numero di posti in rianimazione.
Lo studio di Remuzzi COVID-19 and Italy: what next?” pubblicato su The Lancet ha calcolato che all’attuale tasso di incremento del numero di contagiati i posti aggiuntivi di terapia intensiva necessari a metà aprile per assistere il 10% dei ricoverati toccheranno la cifra di 4000; il che significa un incremento del 40% dei posti attualmente disponibili pari a circa 5200.
 
L’epidemiologo Paolo D’Ancona dell’ISS commentando tali dati ha detto al Corriere della Sera che “Attualmente non ci sono elementi per fare previsioni certe attraverso modelli predittivi attendibili”. Una posizione, a mio giudizio consolatoria e dettata comprensibilmente dalla necessità di non alimentare paure e preoccupazioni ma che non può diventare la linea su cui impostare le strategie di risposta all’infezione.
 
Anche perché quasi tutti i modelli previsionali finora elaborati dai più complessi, basati su indagini di tipo multivariato (Parisi, De Nicolaio), ai più semplici, ottenuti applicando la logica altrettanto “spietata dell’interesse composto” (Polillo), delineano scenari sostanzialmente sovrapponibili.
 
La mancanza di un piano organico sulla gestione delle risorse umane da parte del ministero, su cui ho già richiamato l’attenzione ma su cui voglio ritornare, è evidente per diversi aspetti.
 
Il più eclatante riguarda il numero insufficiente di anestesisti da reperire per prestare assistenza nei reparti di terapia intensiva in via di allestimento.
Ricordo infatti che le pratiche di rianimazione avanzata sono una competenza esclusiva degli anestesisti rianimatori sia per le capacità tecniche richieste e sia per le norme di legge attualmente vigenti. E dunque, una volta allestiti i nuovi reparti ci si potrebbe trovare nella drammatica condizione di non avere il personale in grado di gestirlo.
 
A questa carenza si potrebbe in parte ovviare con l’assunzione degli specializzandi ma qualora tale misura non fosse sufficiente si dovrebbe potere impiegare altro personale dell’area critica appositamente addestrato. E dunque sarebbe necessario identificare da subito i contingenti necessari procedendo alle opportune modifiche delle norme attualmente vigenti e alla loro immediata formazione di tali contingenti.
 
Gli altri aspetti di carenza riguardano le tutele da riservare ai medici e al personale d’assistenza impegnati in questa drammatica situazione.
 
In dieci punti le cose che il Ministero e le regioni dovrebbero garantire per contrastare più efficacemente l’epidemia e impedire che il personale sanitario venga lasciato solo o poco protetto in questa vera e propria guerra:
1) Concentrazione dei malati COVID 19 in specifici Hub adeguatamente attrezzati e definiti in ogni città capoluogo di provincia.
2) Potenziamento degli ospedali esistenti e riapertura di quelli trasformati in strutture ambulatoriali (emblematico nel caso di Roma l’istituto Eastman o il Nuovo Regina Margherita entrambi largamente sottoutilizzati).
3) Gestione centralizzata a livello regionale di tutto il personale impegnato nell’assistenza di pazienti COVID 19, sottraendolo alle competenze delle singole ASL o AO.
4) Implementazione di tutte le procedure di telemedicina per consulti a distanza e consulenze anche per pazienti trattati a domicilio.
5) Reintegrazioni degli organici con procedure snelle, semplificando le procedure previste dal DPCM 8 marzo, attraverso l’utilizzo delle graduatorie esistenti o tramite selezione diretta di specialisti e specializzandi.
6) Reclutamento di medici “riservisti”, adeguatamente preparati all’assistenza NIV, da impiegare immediatamente in caso di necessità (pensionati o volontari).
7) Isolamento di tutto il personale di assistenza COVID per impedire sia il contagio dei familiari e sia di contrarre l’infezione in ambiente familiare realizzabile solo con soggiorno di necessità in alberghi o caserme a loro riservate.
8) Tutela legale totale contro possibili azioni di rivalsa per il personale impegnato in prima fila.
9) Adeguato riconoscimento economico attraverso una specifica indennità di rischio.
10) Riconoscimento legale delle infezioni contratte in servizio.
 
Roberto Polillo

15 marzo 2020
© Riproduzione riservata

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