Cancro alla prostata. Tutta colpa del "cadmio"
Contenuto nelle vernici, nelle sigarette e in alcuni alimenti provoca il cancro, soprattutto quello alla prostata, ma nessuno aveva mai capito come. Oggi uno studio italo-americano pubblicato su PLoS One ce lo spiega e apre nuove prospettive terapeutiche.
04 APR - Il cancro alla prostata è sicuramente uno dei tumori più diffusi nella popolazione maschile. È di pochi giorni fa uno studio italiano sull’argomento, che potrà, secondo i ricercatori che l’hanno condotto, aiutare a sviluppare trattamenti per questo tipo di carcinoma, che è difficile da curare soprattutto perché colpisce soprattutto persone anziane. Il
lavoro, pubblicato su
PLoS One e condotto da un team della Joan C. Edwards School of Medicine in collaborazione con l’Università de L’Aquila e con l’Istituto Nazionale Tumori, riguarda gli effetti del cadmio sulla prostata.
Questo elemento tossico deriva da smaltimento inappropriato di batterie, vernici e altroe si trova spesso nei cantieri industriali: di solito viene usato nei processi di galvanizzazione dei metalli, ma se ne possono trovare alcune tracce anche nelle sigarette e in alcuni alimenti. La prostata, secondo gli scienziati, potrebbe essere proprio un bersaglio per la carcinogenesi indotta dall’esposizione a questo elemento, anche ancora non era chiaro in che modo questa avvenisse. “Nel nostro studio abbiamo investigato in vitro gli effetti del cadmio sia sulle cellule normali che in quelle tumorali prelevate da tessuti prostatici umani”, ha spiegato
Pier Paolo Claudio, docente di di Biochimica e Microbiologia del Joan C. Edwards School of Medicine che ha coordinato lo studio. “In questo modo abbiamo scoperto non soltanto alcuni dei meccanismi molecolari alla base della trasformazione neoplastica della prostata, ma anche alcuni dei meccanismi secondo i quali alcuni tumori della prostata possono diventare particolarmente aggressivi”.
Negli ultimi 15 anni il team di ricerca ha infatti cercato di scoprire quali sono gli elementi di incontro tra i fattori che contribuiscono alla progressione dei tumori e quelli che proteggono l’organismo dalle neoplasie: “Una volta che avremo capito questo meccanismo molecolare, potremo sviluppare nuove terapie”, ha aggiunto il ricercatore. Per questo gli scienziati hanno indagato il ruolo della molecola p53, anche conosciuta come proteina tumorale 53: l’idea, nello specifico, era quella di capire meglio la resistenza all’apoptosi che il cancro alla prostata sembra avere. “In particolare abbiamo focalizzato l’attenzione nella comprensione dei meccanismi molecolari che governano la trasformazione da tumori benigni a maligni. Per sviluppare farmaci biologici efficaci, infatti, bisogna avere una conoscenza minuziosa dei meccanismi di patogenesi del cancro. Questo studio dà proprio un contributo in questo senso: aumentare il corpo delle nozioni che abbiamo a disposizione, potrebbe portare a nuovi trattamenti per questo tumore così comune”.
Laura Berardi
04 aprile 2012
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