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Coronavirus. Le nuove raccomandazioni su accesso vascolare, somministrazione  terapie e nutrizione parenterale


Da Siaarti, Gavecelt e Ivas le indicazioni per gestire in sicurezza il paziente in terapia intensiva: “La scelta di un adeguato accesso venoso e del suo posizionamento è fondamentale per prevenire complicanze importanti come l’interruzione della terapia e il depauperamento del patrimonio venoso per evitare l’interferenza con i dispositivi per la somministrazione di ossigeno e ridurre il rischio di sviluppare ulteriori infezioni”

22 APR - Non solo mascherine, dispositivi di protezione individuale e respiratori, l’emergenza coronavirus sta mettendo a dura prova gli operatori sanitari anche per trovare le migliori soluzioni per la più efficace somministrazione di terapie e per la nutrizione ai pazienti Covid ricoverati nei reparti di terapia intensiva e sub intensiva.
 
È quanto emerge dai documenti appena emanati dalla Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva (Siaarti) su “Approccio vascolare al Paziente COVID-19 positivo”, dal GAVeCeLT Gruppo Aperto di Studio su “Gli Accessi Venosi Centrali a Lungo Termine”, e dal documento della Società Italiana Accessi Vascolari (Ibas) “L’Accesso Vascolare nel paziente COVID-19” che fanno luce sulla necessità di riesaminare i criteri di scelta dei dispositivi di accesso venoso attualmente presenti nei nostri ospedali.

“Il paziente Covid è un paziente complesso, di difficile gestione – dichiara Alfonso Papa di Siaarti – e, fino a questo momento, completamente sconosciuto. Gli operatori, gli intensivisti e tutti quelli che lavorano nelle terapie intensive stanno affrontando problematiche mai emerse fino a questo momento a cui è giusto dare una risposta a tutela del paziente e dell’operatore sanitario stesso”.

“L’emergenza sanitaria che stiamo affrontando in questi mesi – aggiunge Luca Brazzi di Siaarti – ha comportato una serie di drammatiche modifiche nella routine della nostra pratica clinica, imponendo la revisione di protocolli e procedure. Le nostre raccomandazioni evidenziano quanto sia fondamentale un approccio proattivo anche in ambito di accessi vascolari per evitare complicanze importanti come l’interruzione della terapia o il deterioramento dei vasi sanguigni, per ridurre il più possibile la possibilità di interferire con i dispositivi per la somministrazione del supporto ventilatorio (maschera, casco, intubazione, etc.) e ridurre il rischio di sviluppare ulteriori infezioni”.
 
Somministrazione terapie e nutrizione del paziente Covid. Quali sono i principali problemi? L’assistenza ad un paziente Covid-19, ricordano in una nota la società scientifiche “prevede necessariamente il ricorso ad un accesso vascolare, un piccolo catetere fisso per l’infusione di farmaci o per la nutrizione, sostanze che sono spesso molto concentrate e date in maniera continuativa. Molto frequentemente il paziente Covid si trova in condizioni fisiche che impediscono il reperimento di un adeguato accesso venoso: provenendo da giorni di sintomi (quali febbre e diarrea) ed inadeguata nutrizione, il paziente è sempre disidratato e quando già ricoverato in terapia intensiva, è soggetto a intubazione e ripetute movimentazioni per raggiungere la posizione prona e migliorare la ventilazione, oppure è in condizioni di allettamento prolungato (spesso su barelle in Pronto Soccorso)”.
 
“L’emergenza Covid-19 mette a dura prova gli operatori sanitari – spiega Baudolino Mussa, Presidente Ivas – la scelta del dispositivo di accesso vascolare più duraturo e più scevro di complicanze procedurali, in questi pazienti, è la chiave per ottenere la massima qualità di trattamento con il minimo rischio per gli operatori. Il PICC (catetere venoso centrale ad inserimento periferico) e le nuove tecnologie di impianto (ecografi di ultima generazione e visualizzazione del decorso del catetere all’interno del paziente senza utilizzo di RX) rispondono a questa esigenza. Bisogna inoltre porre l’accento su due criticità che stanno fortemente emergendo in questi giorni: la prima è che sempre più spesso abbiamo negli stessi ospedali pazienti infetti e pazienti invece fragili che necessitano di assistenza (post trapianto, oncologici, ematologici), pertanto è fondamentale prevedere percorsi differenziati che tutelino entrambi; la seconda è l’assoluta non conoscenza degli esiti a lungo termine dell’infezione virale, per esempio sulla funzionalità respiratoria o cardiaca, e quindi sulla possibilità di avere un incremento nel futuro di pazienti cronici che richiedano quindi, già oggi, una tutela del patrimonio venoso periferico per non trovarci domani con l’impossibilità di infondere i farmaci necessari”.
 
Un catetere venoso centrale ad inserimento periferico o PICC, spiegano le Società scientifiche “è un dispositivo inserito per via periferica (vene non visibili e palpabili del braccio) che viene utilizzato per la terapia farmacologica e per la nutrizione parenterale. I vantaggi sono molteplici: essendo inserito per via periferica e quindi lontano dai dispositivi respiratori, permette al paziente di mantenere liberi i vasi del collo e della regione sopra-sottoclaveare e all’operatore di avere maggiore confort durante le cure, consente una somministrazione della terapia efficace e senza interruzioni, limita il numero di manovre per il posizionamento del catetere, anche in considerazione dei numerosi dispositivi (es. tubo endotracheale, casco CPAP) necessari per la sopravvivenza del paziente in terapia intensiva. Un importante vantaggio nell’utilizzo del PICC consiste nel fatto che il suo posizionamento può essere eseguito rapidamente e direttamente al letto del paziente, attraverso metodiche accurate di tip navigation e tip locationrealizzate grazie all’elettrocardiografia intracavitaria (IC-ECG), a sistemi di navigazione e all’ecocardiografia trans-toracica (TTE). In questo modo si posiziona il catetere in modo rapido e sicuro, evitando il controllo radiologico e soprattutto limitando il rischio di diffusione dell’infezione.
 
“Dobbiamo tenere presente che in questo drammatico contesto – sottolinea Mauro Pittiruti, Coordinatore Nazionale del GAVeCeLT – la scelta di un catetere e la tecnica di impianto risultano strategiche per un migliore recupero della salute del paziente, ma anche come strumento che possa contribuire alla riduzione della diffusione di Sars-CoV-2. Nel caso di un paziente Covid19 è importante infatti ridurre contatti tra operatore e paziente e, nello specifico, i controlli radiologici poiché sia che si trasporti il paziente nel reparto di radiologia, sia che si porti l’attrezzatura radiologica al letto del paziente, il rischio di contaminazioni è molto elevato”.
“La scelta dei PICC – conclude quindi Alfonso Papa di Siaarti – va proprio in questa direzione oltre al fatto che permette una drastica diminuzione dei tempi di impianto nella gestione del paziente Covid e una riduzione del personale sanitario coinvolto, già quotidianamente molto esposto al rischio di infezioni”
 
 
Il PICC in sintesi
Nel paziente Covid-19 acuto grave ed in quei pazienti che necessitano livelli elevati di intensità di cura, specificano le società scientifiche, l’uso dei PICC power injectable in poliuretano – specialmente se bilume (calibro 5Fr) e trilume (5Fr opp. 6Fr) – può essere particolarmente indicato, sulla base delle seguenti considerazioni:
• l’inserimento di un PICC è completamente scevro di rischi di complicanze pleuropolmonari (pneumotorace, emotorace), che possono risultare letali nel paziente con polmonite COVID-19;
• la manovra di posizionamento di un PICC è più sicura per l’operatore rispetto alla manovra di posizionamento di un caterere centrale ad inserzione centrale, in cui ci si trova pericolosamente vicini al viso del paziente e alle sue secrezioni oro-nasali e tracheali;
• nei pazienti sottoposti a ventilazione non invasiva (con maschera o casco) il mantenere il collo libero costituisce senz’altro un vantaggio in termini di gestione della terapia respiratoria e dell’accesso venoso;
• nei pazienti COVID-19 sottoposti a pronazione, la gestione dei PICC è più comoda e sicura da gestire poiché non inondata dalle secrezioni oro-tracheali del paziente, durante tutto il periodo della pronazione, che può essere molto lungo (almeno 12-16 ore/giorno);
• nei pazienti tracheostomizzati, la gestione del PICC sarà più sicura rispetto alla manovra di posizionamento di un catetere centrale ad inserzione centrale sia per il paziente (minor rischio di contaminazione del sito di emergenza del catetere) che per l’operatore (minor rischio di esposizione alle secrezioni tracheali del paziente);
• diversi protocolli prevedono l’anticoagulazione ed in casi estremi la trombolisi nei pazienti COVID-19 per l’elevato rischio trombotico ed anche questo è un fattore che rende più desiderabile l’inserzione di un PICC; infatti, il posizionamento di PICC non ha controindicazioni anche nel paziente fortemente anti-coagulato;
• i pazienti COVID-19 più gravi hanno una degenza media di quasi 3 settimane ed anche per questo motivo il PICC offre dei vantaggi considerevoli, vista la più lunga aspettativa di durata di tali dispositivi.

22 aprile 2020
© Riproduzione riservata

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