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Antibiotici: in Italia la situazione è ancora preoccupante


Gli italiani continuano a consumarne troppi. Il risultato è una diffusione estremamente alta delle resistenze. Dialogo sui farmaci propone nel suo ultimo numero un dossier dedicato all’argomento, che analizza il fenomeno e propone soluzioni. 

12 LUG - Arriva quasi in contemporanea al rapporto Osmed 2009 il dossier di Dialogo sui farmaci “Antibiotici - uso, resistenze e strategie di miglioramento” e presenta un’analisi ragionata dei dati sul consumo di antibiotici e sulla diffusione delle antibiotico-resistenze nel nostro Paese. Non è esagerato dire che i dati sono allarmanti. Secondo i ricercatori, nel 2007 l’Italia era il quarto Paese europeo per consumo di antibiotici, preceduta da Francia, Grecia e Cipro, con un aumento complessivo nei consumi del 15,5 per cento in un decennio.Siamo maglia nera, insomma, ma con opportune differenziazioni. Se al Sud il consumo è più alto di un terzo rispetto alla media nazionale, i valori toccano i minimi nella Provincia Autonoma di Bolzano.
Penicilline, cefalosporine, chinoloni e macrolidi le classi di antibiotici più consumate (coprono il 90 per cento del totale) e non è un caso che siano le stesse classi che presentano un significativo tasso di resistenza.
Basti pensare che la resistenza alla penicillina dello Streptococcus pneumoniae si attestava al 15-25 per cento nel 2008, mentre quella a eritromicina al 25-50. Escherichia coli è diventato resistente alle cefalosporine di III generazione nel 10-25 per cento dei casi, ai fluorochinoloni nel 25-50. Quanto a Klebsiella pneumoniae presentava una resistenza del 25-50 per cento a cefalosporine di III generazione e ai fluorochinoloni.
A guardare i dati, sembra quindi che le campagne istituzionali finalizzate a un uso corretto e consapevole degli antibiotici non abbiano avuto ancora il tempo di produrre risultati e che le cattive abitudini siano dure a morire: secondo i ricercatori è probabile che i pazienti perseverino nel ricorrere a questa classe di farmaci senza rivolgersi al medico e senza completare la cura, che i medici siano poco scrupolosi nella diagnosi e nella prescrizione della terapia e che qualche farmacista dispensi i medicinali senza ricetta, su semplice richiesta del paziente.
In una sola parola, inappropriatezza.
Contro cui, ormai quasi un decennio fa, l’Oms aveva adottato una risoluzione con cui invitava gli Stati a proporre piani indirizzati alla promozione di un uso razionale degli antibiotici, anche con campagne di comunicazione di massa. Le autorità non si sono risparmiate. Tuttavia, se in Stati vicini, come la Francia, i risultati sono oggi ben visibili e il consumo di antibiotici è diminuito, così come le resistenze, in Italia le analisi continuano a rilevare una situazione problematica.
Per questo i ricercatori propongono una ricetta fatta di cinque azioni strategiche. Il monitoraggio e il controllo delle resistenze batteriche in ambito nazionale e regionale; il monitoraggio dei dati di consumo in ospedale e territorio; la stesura di linee guida regionali che favoriscano l’appropriatezza d’uso degli antibiotici; la diffusione e la conoscenza dei dati relativi a consumi e resistenze nel territorio, per fornire ai medici strumenti utili per modificare la pratica clinica. Infine, propongono gli estensori del dossier, occorre insistere sulle campagne di informazione rivolte alla cittadinanza (contestualmente a un coinvolgimento dei medici) per sensibilizzare sui rischi connessi all’uso inappropriato di antibiotici e misurare, possibilmente, il loro reale impatto.
A.M. 

12 luglio 2010
© Riproduzione riservata

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