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Diabete, verso una terapia genica?


Un gene, coinvolto nei processi di invecchiamento, è connesso anche all’insorgenza del diabete. Una ricerca della Cattolica di Roma dimostra che basta “spegnerlo” per azzerare il rischio di sviluppare la patologia.

13 LUG - Si chiama p66 ed è un “gene dell’invecchiamento”. Secondo un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica di Roma basterebbe silenziarlo per azzerare le probabilità di sviluppare il diabete. Lo studio, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences, è stato effettuato su topi, ma i ricercatori sono convinti che sia replicabile sull’uomo.
La ricerca è stata sostenuta da un finanziamento della European Association for the Study of Diabetes (EASD) e sembrerebbe dare un contributo decisivo nella spiegazione del legame tra alimentazione, metabolismo e invecchiamento identificando in p66 uno dei cardini del rapporto.
Il diabete, infatti, caratterizzato dalla incapacità dell’organismo di utilizzare e smaltire l’eccesso di zuccheri e nutrienti assorbiti mangiando, accelera il processo di invecchiamento colpendo tessuti come l’occhio, il rene e i vasi sanguigni, con danni molto simili a quelli osservati nelle persone molto anziane.
“L’obesità e la sindrome metabolica sono frutto di un eccesso calorico e in parte di una predisposizione genetica e sono legate al diabete ‘alimentare’ e all’invecchiamento accelerato – ha spiegato Tommaso Galeotti, direttore dell’Istituto di Patologia Generale della Cattolica ed esperto di bioenergetica – anche se i meccanismi molecolari che partecipano a questo processo patologico non sono completamente compresi”.
È noto però che la riduzione dell’apporto calorico è efficace nel ritardare l’invecchiamento e la comparsa di patologie a esso correlate come il diabete e il morbo di Alzheimer. Ma come fare a godere dei benefici della restrizione calorica senza fare la fame?
La risposta arriva proprio dallo studio della Cattolica: p66 è proprio uno degli interruttori chiave alla base del metabolismo dei grassi da parte del sistema adiposo. Nei topi da laboratorio è bastato “spegnerlo per fare in modo che i roditori potessero mangiare a piacimento restando protetti dal diabete.
Il gene era già stato oggetto di uno studio dell’Ieo di Milano, che qualche anno fa aveva dimostrato la capacità della proteina a esso associata di limitare la durata della vita e favorire l’invecchiamento degli animali attraverso la produzione di un eccesso di radicali dell’ossigeno. “Partendo da questa osservazione, il nostro studio arriva a una conclusione diversa”, ha spiegato il ricercatore della Cattolica Giovambattista Pani. Il gene, infatti, potrebbe agire da “sensore’ dei nutrienti, favorendo, non solo l’accumulo di grasso nelle cavie, ma anche e soprattutto l’insorgenza di iperglicemia e diabete. Infatti, topi obesi in cui questo gene viene messa “KO” sono molto meno suscettibili allo sviluppo della malattia rispetto a topi obesi che però hanno il gene funzionante”. Inoltre i topolini senza p66, benché obesi, vivono anche più a lungo, a conferma del ruolo già noto di p66 nell’invecchiamento.
“Dunque”, ha continuato Pani, il gene “accorcia la vita, non solo attraverso il meccanismo dello stress ossidativo, ma anche informando le cellule, soprattutto quelle adipose, della presenza di un eccesso di cibo da assimilare. L’eliminazione del gene - ha aggiunto - ricrea una situazione simile alla carenza di cibo o alla restrizione calorica, anche se gli animali continuano a mangiare a volontà”. Tuttavia, ha precisato, il blocco di p66 non preverrebbe tanto l'accumulo di grasso, ma solo le sue conseguenze negative sulla salute e la longevità. 
 
 
A.M.

13 luglio 2010
© Riproduzione riservata

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