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Alzheimer. Dieta mediterranea e attività fisica aiutano? Un nuovo studio per verificarlo


Alcune ricerche negli ultimi dieci anni suggeriscono che una corretta dieta e una moderata attività fisica potrebbero portare benefici alle capacità cognitive, riducendo il rischio di passare da declino cognitivo lieve a malattia di Alzheimer. Oggi un trial italiano vuole definitivamente verificare questa ipotesi.

31 MAG - Sempre più spesso, ricerche scientifiche scovano corrispondenze tra l’insorgenza della malattia di Alzheimer e particolari stili di vita. In particolare, negli ultimi 10 anni, alcune ricerche hanno dimostrato che un miglioramento delle abitudini alimentari può essere collegato ad effetti benefici su cervello e memoria. Per testare definitivamente quest’idea parte in Italia il reclutamento per un Progetto di sperimentazione coordinato dalla Fondazione Istituto Neurologico, Carlo Besta, in collaborazione con la Fondazione Ca’ Granda Policlinico, la Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori e dall’Istituto Scientifico San Raffaele. Lo studio vorrebbe verificare, arruolando complessivamente circa 350 persone, la possibilità che, utilizzando l’applicazione di un protocollo dietetico rigoroso di tipo mediterraneo si ottenga una significativa riduzione del tasso di progressione da declino cognitivo lieve (MCI) a malattia di Alzheimer.
 
In particolare erano stati i lavori di Nikolaos Scarmeas, neurologo della Columbia University, ad aver suggerito che l’adesione alla dieta mediterranea e a una moderata attività fisica, dimezzasse il rischio di Alzheimer. Lo scienziato aveva ottenuto questo risultato con un campione di 1.880 persone seguite per un periodo medio di 4,3 anni. La dieta occidentale è caratterizzata da un eccesso di calorie totali, zucchero e carboidrati raffinati, grassi e altri prodotti animali, che favoriscono la resistenza insulinica, l’obesità, le dislipidemie e uno stato pro-infiammatorio e, per contro, da una relativa carenza di pesce e di sostanze protettive anti-ossidanti ed anti-infiammatorie di origine vegetale. Tutto ciò, associato ad uno stato di alterazione del metabolismo, si ritiene che favorisca anche lo sviluppo dell’Alzheimer. 
Per lo studio italiano, inizialmente saranno reclutate solo 20 persone, al fine di verificare preliminarmente la fattibilità dello studio, in una fase di verifica che durerà 6 mesi. I pazienti verranno divisi in due gruppi, uno di controllo (10 soggetti) e uno di intervento (10 soggetti) da invitare a pranzo alla Cascina Rosa, presso la Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori, due volte alla settimana per tre mesi. Il cambiamento alimentare sarà proposto con attenta gradualità nel corso del primo mese allo scopo di evitare fermentazioni intestinali che potrebbero compromettere la compliance. Lo studio si propone, a seguito degli esiti positivi della fase preliminare, di reclutare successivamente almeno 350 soggetti da randomizzare in un gruppo d’intervento (con assistenza attiva per il cambiamento della dieta e l’incremento dell’attività fisica) e un gruppo di controllo (che riceverà solo raccomandazioni di stile di vita) di pari dimensioni.
Ogni soggetto reclutato sarà associato al proprio accompagnatore formando una coppia. In entrambe le fasi dello studio saranno raccolte informazioni anamnestiche e neuropsicologiche e strumentali: esame obiettivo internistico e neurologico, esami ematologici , liquorali e strumentali.
Il trattamento complessivo comprende: la progressiva adozione di una dieta mediterranea rigorosa; la progressiva introduzione dei principi di equilibrio nutrizionale della macrobiotica e di alcuni alimenti tipici della tradizione macrobiotica; un programma di esercizio fisico quotidiano (principalmente passeggiate e orticultura):
Negli incontri di cucina, i soggetti reclutati per sottoporsi alla dieta ‘rigorosa’ saranno accolti da Franco Berrino (Fondazione Istituto Nazionale dei Tumori) e da Susanna Fusari Imperatori (Fondazione IRCCS Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’) e assaggeranno piatti a base di zuppa,  oppure, d’estate, un’insalata mista, un piatto di cereali integrali (o pasta anch’essa integrale) con legumi e verdure, a volte pesce, un dolce senza zucchero e senza ingredienti di derivazione animale (uova, latticini) dolcificato con frutta fresca e/o secca. I primi incontri saranno preceduti da un breve corso di cucina per insegnare a cucinare i cereali integrali e i legumi in forma appetibile e adattata alle eventuali comorbilità, in particolare gastroenteriche, e con attenzione ad eventuali interferenze con le terapie farmacologiche in atto. Ad ogni  incontro si forniranno le ricette degli alimenti consigliati.  Ad ogni incontro, infine, si forniranno campioni di alimenti da cucinare a casa e anche alcuni piatti precotti che richiedano solo di essere riscaldati.
 
Se la correlazione tra dieta e capacità cognitive venisse confermata,potrebbe risultare una scoperta epocale, se si considera che al momento non esistono cure farmacologiche in grado di arrestare o far regredire il processo patologico. “L’ipotesi che intendiamo verificare, ampiamente riportata dalla letteratura degli ultimi anni, supporta scientificamente l’idea di voler approfondire, con appositi ed appropriati studi, la ricerca di soluzioni percorribili, non medicalizzate, per la prevenzione delle patologie neurologiche degenerative cronicizzate e gravi quali le demenze”, ha spiegato Ferdinando Cornelio, Direttore Scientifico della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’. “L’ipotesi di una sperimentazione clinica per valutare l’efficacia preventiva di una dieta mediterranea particolare per la prevenzione di dette malattie è stata quindi inserita tra le priorità scientifiche del Piano Pluriennale della Fondazione ed il progetto “Prevenire la demenza di Alzheimer con l’alimentazione”  ha preso avvio con la costituzione di un Gruppo di lavoro multidisciplinare, nel gennaio 2012.”
Un lavoro possibile solo grazie alla collaborazione di più centri. “Vorrei sottolineare il valore della collaborazione tra i quattro importanti istituti di ricerca milanesi, sia di carattere pubblico che privato”,ha commentato Alberto Guglielmo, Presidente della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’. “L’aumento delle malattie neurodegenerative, in crescita esponenziale in rapporto alla crescita delle aspettative di vita e all’invecchiamento della popolazione,  infatti comporterà sempre di più il doversi misurare con enormi problemi finanziari, organizzativi e sociali, difficilmente sopportabili dalla singola famiglia, dai singoli Istituti di ricerca e dallo Stato. Anche da ciò nasce l’importanza di unire le forze per trovare rimedi capaci di contrastare preventivamente e ridurre gli effetti della neuro degenerazione. Noi vogliamo lavorare per far diventare lo studio un progetto regionale che possa anche inserirsi a pieno titolo nel dibattito e nelle iniziative di Expo 2015. Va in questa direzione la presenza, a questo incontro, del Direttore Generale della ASL di Lecco, Marco Votta, e il suo esplicito interesse a collaborare allo sviluppo del progetto”.
 
All’incontro di presentazione della ricerca, svoltosi presso la sede della Fondazione ‘Carlo Besta’, sono intervenuti: Alberto Guglielmo, Pierluigi Zeli, Ferdinando Cornelio; Fabrizio Tagliavini, rispettivamente Presidente, Direttore Generale, Direttore Scientifico e Coordinatore scientifico del progetto, della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’; assieme a Stefano Cappa, Ordinario di Neuropsicologia Istituto Scientifico San Raffaele; Patrizia Pasanisi, dell’Unità di Medicina Preventiva e Predittiva Fondazione IRCCS dell’Istituto Nazionale dei Tumori; Elio Scarpini, Responsabile Unità Valutativa Alzheimer Fondazione IRCCS Ca’ Granda Policlinico.

31 maggio 2012
© Riproduzione riservata

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