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Cancro e farmaci. A che punto siamo e cosa ci aspetta, dalla Sif dieci risposte a dieci domande


Con uno schema semplice la Società Italiana di Farmacologia, in occasione della Giornata mondiale contro il cancro, ha voluto fare il punto della situazione sulle terapie farmacologiche in campo per contrastare il cancro, guardando anche al futuro. Temi che saranno approfonditi in occasione del 40° Congresso nazionale della società scientifica dal 9 al 13 marzo

04 FEB - In Italia, ogni giorno, circa mille persone ricevono una diagnosi di tumore maligno. La prevenzione è ancora la migliore cura, eppure nonostante uno stile di vita sano ci si può ammalare, e la probabilità aumenta con l’età, quando il corpo è meno efficiente a correggere gli errori dei geni. I farmaci rappresentano quindi un’arma fondamentale. Spesso accusati di essere poco efficaci e di provocare devastanti effetti collaterali, i farmaci antitumorali intanto evolvono. Migliorano, grazie alle nuove conoscenze della genetica.

Ecco che, in occasione Giornata mondiale contro il cancro che si celebra oggi, gli esperti di farmacologia oncologica della Società Italiana di Farmacologia, in attesa del loro 40° Congresso nazionale che si terrà dal 9 al 13 marzo, hanno voluto rispondere in maniera chiara a dieci domande sulle strategie farmacologiche in campo per contrastare i tumori: dalla chemioterapia alla radioterapia antitumorale, fino alle nuove terapie geniche e ai farmaci sperimentali sui quali i ricercatori hanno maggiori aspettative

1) Si guarisce oggi dal cancro, grazie ai nuovi farmaci?
Dipende dal tipo di cancro, e dalle caratteristiche del paziente. La natura di questa malattia, infatti, è talmente multiforme che sarebbe più giusto parlare al plurale, di tumori. Inoltre, anche la variabilità individuale è molto alta: ciascuno di noi possiede geni diversi e quindi reagisce diversamente allo stesso tumore e ai farmaci. Per avere una misura dell’efficacia delle terapie ragioniamo in termini di sopravvivenza a cinque anni, a dieci anni dalla diagnosi e così via. E quando non è possibile eradicare la malattia, cerchiamo di cronicizzarne l’evoluzione con i farmaci: significa che le cellule tumorali permangono ancora nell’organismo, ma non fanno in tempo a generare masse incompatibili con la vita del paziente.
 
2) Perché è difficile eradicare completamente i tumori?
Perché le cellule tumorali sono molto simili a quelle sane, e quindi i trattamenti non distinguono con accuratezza le cellule malate dalle cellule sane. Stando così le cose, non possiamo sempre trattare il paziente con alte dosi di farmaco, benché efficace, perché il rischio è quello di uccidere anche le cellule normali, provocando quindi pesanti effetti collaterali nel paziente. Da venti anni a questa parte la selettività dei farmaci antitumorali nei confronti delle cellule malate è però aumentata molto. La sfida resta ancora quella di identificare «bersagli» specifici, che si trovino solo sulle cellule tumorali, per poterle colpire senza uccidere i tessuti sani e minacciare la salute del paziente.
 
3) La chemioterapia antitumorale è ancora considerata efficace?
Il problema dei vecchi chemioterapici era proprio la bassa selettività, e quindi la capacità di attaccare cellule malate ma anche sane, causando pesanti effetti collaterali. La chemioterapia classica, quella basata sull’uso di sostanze citotossiche, capaci cioè di causare la morte delle cellule tumorali, interferendo con i loro meccanismi di crescita, ha comunque un ruolo ancora molto importante. Abbiamo infatti imparato a somministrare i farmaci chemioterapici con maggiore esperienza, e in maniera più mirata, diminuendo gli effetti collaterali: i chemioterapici sono ancora importantissimi nelle patologie tumorali del sangue in pediatria, e sono spesso utilizzati in combinazione con i più nuovi farmaci antitumorali in strategie terapeutiche che consentono un migliore rapporto tra efficacia e sicurezza. La combinazione tra farmaci della vecchia chemioterapia e farmaci biologici e biotecnologici, per esempio, ha cambiato la prognosi di molte neoplasie inducendo un significativo prolungamento dell’aspettativa di vita anche nel caso di tumori particolarmente aggressivi.
 
4) La radioterapia antitumorale è ancora considerata efficace?
La radioterapia è impiegata nella terapia dei tumori per la sua capacità di causare danni irreparabili al DNA delle cellule tumorali, che così vanno incontro a morte. Il meccanismo d’azione, dunque, è abbastanza simile a tanti farmaci della chemioterapia classica. La radioterapia ha però il vantaggio di bersagliare con maggiore precisione l’area interessata dalla neoplasia, grazie ad apparecchiature capaci di far convergere il fascio delle radiazioni sul tumore da diverse angolazioni. In questo modo il tessuto sano viene esposto solo a basse dosi di radiazioni, e possiamo concentrare più fasci sui singoli bersagli tumorali, che così ricevono dosi massicce e in maniera molto precisa. L’uso e la valenza della radioterapia sono ancora molto importanti, perché essa rappresenta uno strumento altamente efficace che coadiuva le altre modalità di trattamento.
 
5) Esistono strategie più precise e meno invasive di chemioterapia e radioterapia?
Abbiamo a disposizione molti nuovi farmaci, perché la conoscenza sempre più approfondita della biologia dei tumori ha permesso di scoprire “bersagli” che si trovano in maniera molto specifica solo sui tumori e molto meno nelle cellule sane. Identificare bersagli specifici delle cellule tumorali ci ha quindi permesso di creare nuovi farmaci, sempre più selettivi, cioè precisi.
 
Facciamo alcuni esempi. Nuovi composti detti inibitori delle tirosin chinasi (le tirosin chinasi sono strutture-bersaglio che permettono alle cellule tumorali di comunicare con altre cellule) hanno portato alla scoperta di Imatinib, un farmaco capace di controllare la crescita di tumori nei quali il ruolo di queste strutture (tirosin chinasi) è molto importante. Esistono, inoltre, numerose varianti di tirosin chinasi, e quindi abbiamo anche altri farmaci, ciascuno con specifiche capacità di bersagliare queste diverse varianti genetiche. Naturalmente, esistono numerosi altri bersagli tipici dei tumori: in tutti i casi si tratta sempre di ostacolare una funzione vitale, o fondamentale, della cellula malata, in modo da ucciderla.
 
Gli inibitori del proteasoma, per esempio, colpiscono il proteasoma, un sistema molecolare deputato alla salvaguardia della vitalità delle cellule (ad esempio i farmaci Bortezomib e Carfilzomib), mentre gli inibitori di mTOR, colpiscono questa via metabolica cruciale delle cellule (ad esempio Temserolimus e Everolimus). Questi sono solo alcuni esempi dei numerosi nuovi farmaci più selettivi dei vecchi. È stato possibile svilupparli perché abbiamo aumentato notevolmente la capacità di “leggere” il genoma umano, e quindi identificare dove e come venivano costruiti i bersagli tipici. La conoscenza della genetica è quindi la chiave di volta per progettare farmaci sempre più precisi e potenti.
 
6) Se la genetica è così determinante nei tumori, non potremmo curarli con la terapia genica?
La possibilità di intervenire sui tumori con la terapia genica è uno degli obiettivi della ricerca in campo oncologico. Da poco tempo si parla, per esempio, dei risultati ottenuti con la terapia nota come CAR-T, che conferma questa possibilità. Si tratta di una terapia complessa in cui i linfociti, le cellule del sistema immunitario del paziente, vengono prelevati e il loro DNA viene modificato per insegnare loro a riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Successivamente, dopo averli moltiplicati in appositi laboratori, i linfociti così ingegnerizzati, vengo infusi al paziente, dove sono in grado di riconoscere e distruggere tutte le cellule tumorali presenti. I successi ottenuti con alcune neoplasie del sangue sono molto promettenti e la ricerca ora punta a utilizzare questa strategia genica anche per la terapia degli altri tumori.
 
7) Sarebbe possibile mettere a punto un vaccino per “prevenire” i tumori?
Il vaccino funziona sensibilizzando il sistema immunitario contro un ospite sgradito, di solito un virus o un batterio. Entrambi, una volta che hanno invaso l’organismo, sono percepiti come elementi estranei, perché costituiti da molecole molto diverse da quelle delle cellule che compongono il nostro organismo. Il sistema immunitario può quindi distinguerli facilmente e aggredirli. Purtroppo, come dicevamo prima, le cellule tumorali, benché “estranee” come virus e batteri, in qualche modo, sono però chimicamente molto simili alle cellule sane. E quindi la strategia del vaccino è complicata dal fatto che è difficile distinguerle e colpirle selettivamente. A complicare ulteriormente è il fatto che le cellule tumorali mandano segnali che addormentano il sistema immunitario. Al momento sono possibili vaccinazioni antitumorali contro alcuni tumori quali per esempio il cancro della cervice uterina, causato dal papilloma virus. La vaccinazione di adolescenti contro questo virus a trasmissione sessuale, principale causa scatenante dell’insorgenza del tumore, sta dando ottimi risultati e gli organismi di sanità internazionali stanno sensibilizzando maschi e femmine alla vaccinazione per la prevenzione di questa patologia.
 
8) Al posto del vaccino sarebbe possibile somministrare direttamente anticorpi anti-tumore?
Uno degli aspetti cruciali sul quale si sono concentrati i ricercatori è stato quello di bersagliare in modo selettivo le cellule tumorali, evitando quindi che il farmaco antitumorale agisse anche sulle cellule sane. I bersagli della chemioterapia convenzionale sono condivisi tra le cellule tumorali e le cellule sane e questo provoca inevitabilmente effetti collaterali come le mucositi, i disturbi dell’apparato digerente, le linfo-, piastrino- ed eritro-penie, la caduta dei capelli e altri effetti ancora spesso caratteristici del singolo principio attivo. Una possibile soluzione a queste limitazioni è certamente l’uso di un anticorpo, una sostanza cioè, costruita in modo tale che sappia riconoscere e si leghi esclusivamente ad uno specifico bersaglio. Gli anticorpi utilizzati in chemioterapia sono costruiti in modo da riconoscere un bersaglio presente sulla cellula tumorale. Anche in questo caso vale il principio che spesso il bersaglio scelto è presente anche in cellule sane ma, in generale, nelle cellule tumorali è più frequente ed è più coinvolto nella sopravvivenza della cellula stessa.
 
9) Quali tumori è possibile oggi curare con gli anticorpi?
Gli anticorpi o, per meglio dire, gli anticorpi monoclonali (cioè quelli che permettono di avere la massima omogeneità di bersaglio) hanno trovato numerosi impieghi nella terapia dei tumori e, accanto all’attività intrinseca dei singoli prodotti, hanno permesso di veicolare sostanze tossiche per le cellule in modo preciso sui tumori contro i quali sono stati costruiti. Quella della combinazione di un anticorpo (capace di riconoscere il bersaglio sulla cellula tumorale) e una sostanza tossica è una strategia che ha già portato in terapia combinazioni come ad esempio Gentuzumab-ozogamicin per la terapia della leucemia mieloide acuta, Brentuximab-vedotin per le ricadute del linfoma di Hodgkin e per i linfomi anaplastici a grandi cellule, Ado-Trastuzumab-emtansine per il carcinoma della mammella positivo per HER-2, Inotuzumab-ozogamicin per leucemie linfatiche acute e a cellule B e Vadastuximab-talirine per la leucemia mieloide acuta. Altri ancora sono in fase di sviluppo clinico e saranno disponibili presumibilmente nei prossimi anni.
 
10) Quali sono quindi i farmaci sperimentali sui quali i ricercatori hanno maggiori aspettative?
Dal momento che abbiamo detto che la genetica è la chiave di volta, per capire i tumori, perché è la genetica che ci consente di capire con precisione le differenze tra cellule tumorali e cellule sane, le maggiori innovazioni arriveranno dai progressi che potremo fare nella conoscenza della genetica del tumore: in particolare la genetica che permette alle cellule tumorali di sopravvivere prevalendo sulle cellule sane. Una nuova frontiera è quella che riguarda l’esame delle mutazioni genetiche che caratterizzano i tumori: molte mutazioni sono presenti in tipi di tumore anche molto diversi tra di loro. Una nuova strategia terapeutica, rispetto quella che ci ha portato alle attuali terapie basate sul principio di avere un farmaco specifico per ogni tipo di tumore, è quella di avere farmaci «agnostici», capaci cioè di bersagliare tutti i tipi di tumore che condividono la stessa mutazione genica, indipendentemente dalle caratteristiche istologiche (il tipo di tessuto del tumore) o di organo di provenienza. Queste terapie, in avanzato stato di sviluppo, potranno presto permettere di trattare molti tipi di cancro diversi con la stessa molecola, con notevoli semplificazioni negli approcci terapeutici.

04 febbraio 2021
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