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Cancro. Il nuovo approccio è multitarget. Ma bisogna cambiare la ricerca farmacologica dalle basi


Non più farmaci che colpiscono il singolo processo, risultando tossici per l’organismo. Il futuro della cura vuole meno effetti collaterali: servono medicinali che colpiscano più target, lasciando intatti i tessuti sani dell’organismo. Utopia o realtà? A porre la questione uno studio su Nature, che promette di rivoluzionare la ricerca in medicina.

21 GIU - Quando si parla di personalizzazione della cura in campo oncologico, non di rado si sente usare la metafora del proiettile perfetto, ovvero di molecole sintetizzate per agire nello specifico su processi particolari dell’organismo – geni o proteine coinvolte nello sviluppo della malattia – e che proprio per questa specificità risultano più efficaci. Ma se invece di cercare la pallottola infallibile si cominciasse a cercare il fucile giusto? Questa l’idea di un gruppo di ricercatori dell’Università della California di San Francisco (UCSF) e del Mount Sinai Hospital di New York, che in un lavoro su Nature hanno ragionato su un nuovo approccio: per sconfiggere il cancro bisogna attaccare non un solo target specifico, ma più bersagli contemporaneamente. In questo modo, i farmaci non solo sono più efficaci, ma anche meno tossici.
Ma per applicare questo approccio bisogna cambiare le basi della ricerca farmacologica.
 
Si tratta di una ricerca che potrebbe sembrare quella della pietra filosofale,a dirla tutta: farmaci che colpiscono molti target e che non provocano effetti collaterali. Ma questi scienziati statunitensi ci credono fermamente e hanno già ottenuto i primi risultati: hanno sintetizzato due farmaciche hanno dimostrato di essere più efficaci e meno tossici di quelli già approvati. “Abbiamo sempre cercato il proiettile magico, ma l’approccio va cambiato. I farmaci che abbiamo ideato si chiamano AD80 e AD81: non bloccano un solo target, ma ne fanno fuori contemporaneamente diversi, e hanno comunque meno effetti collaterali”, ha spiegato Kevan Shokat, direttore del dipartimento di farmacologia cellulare e molecolare alla UCSF e co-autore dello studio.
 
Il segreto, secondo questi scienziati, è nel cambiare la prospettiva dalla quale si osserva il problema.Fino ad oggi alla base del processo di sintesi dei farmaci c’era il concetto di ‘distruzione’: ogni patologia vede delle interazioni molecolari o altri processi specifici tra diversi tessuti, i farmaci sono ciò che interferisce con le proteine o i geni coinvolti in questi processi, dunque più un medicinale li distrugge meglio funziona secondo i ricercatori. Anche se oltre a distruggere i meccanismi della malattia vengono distrutti anche quelli dell’organismo: le molecole a disposizione – soprattutto quando si ha a che fare con malattie persistenti o difficili da curare – hanno infatti spesso una tossicità piuttosto alta, ovvero interagiscono anche con altre molecole o processi all’interno del corpo oltre a quelli malati.
Per valutare il potere distruttivo di un farmaco sui tessuti sani dell’organismo, si usa di solito l’indice terapeutico, che si calcola nel rapporto tra la dose efficace e quella tossica, in modo da definire la gravità degli effetti collaterali con un valore. Così, se un farmaco sul mercato ha indice pari a venti, che è più o meno quello che ha l’aspirina, vuol dire che in condizioni normali bisogna prendere una dose venti volte maggiore di quella prescritta perché si abbiano effetti collaterali molto gravi e che dunque un leggero sovradosaggio occasionale non dovrebbe procurare problemi. Al contrario, se l’indice terapeutico è 1, come per alcuni farmaci contro il cancro, la quantità di medicinale che bisogna prendere per trattare la patologia è esattamente la stessa che risulta tossica all’organismo. Il problema è proprio in quel meccanismo spiegato prima: le molecole bersaglio del farmaco sono in realtà molto simili alle normali proteine dell’organismo, dunque gli effetti del medicinale sono diffusi anche nei tessuti sani. Tuttavia, fino ad oggi non sembrava esistere soluzione a questo problema.
 
L’approccio del team statunitense potrebbe però cambiare un po’ le carte in tavola.“Il dogma che i farmaci migliori sono quelli più selettivi potrebbe essere sbagliato”, ha commentato Shokat. “Forse dovremmo concentrarci più sul modo di minimizzare la tossicità, scegliendo un nuovo approccio: ecco perché ci siamo messi alla ricerca del ‘fucile magico’ piuttosto che del proiettile infallibile”.
Per questo i ricercatori hanno cominciato a testare a tappeto composti chimici sui moscerini della frutta, in un’inusuale collaborazione tra genetisti di questi insetti e chimici specializzati nella sintesi di farmaci. Così, se di solito gli scienziati usano le linee cellulari tumorali per testare farmaci antitumorali che hanno un bersaglio molto specifico, questi ricercatori hanno usato i moscerini come modello per testare medicine capaci di attaccare più processi della malattia, senza intaccare quelli dell’organismo sano. ‘Polifarmacologia’, la definiscono così gli stessi ricercatori. “Sempre più spesso scopriamo che farmaci più efficaci in commercio funzionano su più target tumorali, ed è probabilmente proprio per questo che hanno risultati così buoni”, ha spiegato Ross L. Cagan, docente alla Mount Sinai School of Medicine e coordinatore dello studio. “Così abbiamo testato di proposito le molecole a nostra disposizione su più bersagli. È stato proprio in questo che ci è stato utile il modello dei moscerini della frutta: abbiamo potuto identificare passo passo tutti i target che ci potevano essere utili, il tutto a costi contenuti”.
 
Ed è anche così che hanno trovato i due farmaci, AD80 e AD81, di cui in particolare il primo ha dato ottimi risultati. “Quando abbiamo dato AD80 ai moscerini ci è sembrata subito una molecola quasi miracolosa”, ha spiegato il ricercatore. “Soprattutto potevamo dargliene grandissimi quantità senza che loro battessero ciglio o avessero alcun tipo di effetto collaterale, ma allo stesso tempo eliminava i tumori in maniera molto più efficace di tutti gli altri farmaci in commercio”.
Anche testato su modello murino AD80 risultava essere 500 volte più efficace di un farmaco come vandetanib, farmaco orfano per il carcinoma midollare della tiroide di stadio avanzato approvato dall’Fda e testato dallo stesso gruppo di ricerca. “Per ora i risultati sembrano essere veramente molto promettenti”, ha concluso Cagan. “Ma speriamo soprattutto che il nostro lavoro possa porre la questione di base dell’approccio alla farmacologia: cercare target multipli potrebbe essere il modo di trovare farmaci altrettanto efficaci di quelli che già abbiamo – se non di più – ma eliminando il problema della tossicità”.
 
Laura Berardi

21 giugno 2012
© Riproduzione riservata

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